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Sulla situazione in Ucraina e le sue conseguenze negli equilibri mondiali

di Germano Dottori - Gianni Petrosillo - 28/07/2014

Fonte: Conflitti e strategie

Intevista a Germano Dottori sulla situazione in Ucraina

1) Dottori, com'è cambiata l’Ucraina dopo i fatti di Majdan e i successivi esiti elettorali?


L’Ucraina ha sostanzialmente cambiato posizionamento internazionale. E’ uscita dalla sfera d’influenza russa per entrare in prospettiva in quella baltico-anseatica di cui i tedeschi stanno gradualmente assumendo la leadership. La perdita della Crimea, per quanto possa sembrare paradossale, ha inoltre accresciuto la sua omogeneità interna, così come il conflitto in atto nel Donbas, che sta rafforzando la coscienza nazionale ucraina. Dopo una fase transitoria, come molti anticipavano in Ucraina si sono affermati i poteri forti. Il Presidente Petro Poroshenko, che ha vinto le elezioni del 25 maggio, è infatti un oligarca, esattamente come lo erano Viktor Yanukovych e Yulia Timoshenko. Poroshenko, che ha visitato segretamente la Russia almeno quattro volte prima del voto, pare un uomo ragionevole e realista, disponibile anche al compromesso. A questa dirigenza è però rimesso il compito di risanare le finanze pubbliche del Paese e modernizzarne l’apparato produttivo, seguendo i dettami del Fondo Monetario Internazionale. Gli interessi di quelle cento persone che detengono l’80% della ricchezza nazionale saranno difficilmente toccati e molti saranno coloro che se ne lamenteranno. Potrà derivarne ulteriore instabilità. Kiev verrà comunque aiutata dall’estero: quando l’ho visitata io in giugno, brulicava di cantieri. Un fatto significativo, che cozza contro l’immagine di uno Stato all’estremo. Ma il baricentro economico della nazione si sposterà verso Ovest, seguendo il magnete polacco e tedesco. Il Donbas è in rivolta anche per questo motivo.


2) Quanto hanno contato, secondo Lei, sulle sorti del Paese, i giochi di contrapposte potenze straniere?


Enormemente, ma non è stata una partita a due, tra Russia ed Occidente. L’Occidente, infatti, non è più così coeso come in passato, anche perché la ritirata americana dall’Europa ha riaperto nel Vecchio Continente la lotta per il primato. La Germania si sente già la “potenza indispensabile” dell’Unione, come scrive uno dei suoi più influenti analisti, Ulrich Speck. Ed il suo cambio di politica è stato decisivo nel portare l’Ucraina, la Georgia e la Moldavia verso gli Accordi di Associazione all’Ue. Mosca ha reagito, vincendo il primo round. Ma poi è scoppiata la rivolta dell’Euromajdan. I tedeschi hanno scelto un loro campione, Vitaly Klitchko, pupillo della Fondazione Adenauer, che il 21 febbraio 2014 firmava l’intesa sulla transizione con il Presidente Yanukovych, presenti i Ministri degli Esteri tedesco, polacco e francese. La piazza ha però reagito e la sua parte più intransigente e violenta, sobillata, armata e sostenuta anche da contributi monetari di origine estera, ha deposto il Capo dello Stato. La stella di Klitchko è tramontata e sono sorte quelle di Turcinov e Yatsenyuk, uomini della Timoshenko e quindi maggiormente legati agli Stati Uniti. Obama ha così dimostrato che l’America è ancora la potenza di riferimento dell’Est Europeo che guarda a Nato ed Ue. Anche se non intende far alcun investimento nella difesa dell’Ucraina. L’abbattimento dell’MH17 potrebbe avere a che fare proprio con questo fattore.


3) Lei è stato recentemente a Kiev, ha notato una reale volontà di cambiamento democratico oppure ha visto in atto tendenze contraddittorie che potrebbero rendere molto più difficile la fase di transizione in corso?


Ho visto molte cose strane. Io ritengo che ci sia un’élite che guarda con vero interesse all’Occidente. Più all’America che alla Germania, perché non ha ancora capito cosa sta succedendo. Ma molti dei protagonisti del nuovo corso paiono disponibili anche ad accettare una leadership tedesca, se si rivela in grado di liberare Kiev dall’influenza russa. Tutto sembra andargli bene, nella misura in cui costituisca una garanzia contro Mosca. Penso tuttavia che una parte cospicua della popolazione ucraina cambierà idea, quando comprenderà che anche l’Unione Europea contempla massicci trasferimenti di sovranità verso l’estero. Autorità e movimenti sono poi impegnati nel mostrare al mondo che i neofascisti di Pravi Sektor pesano nel panorama politico ucraino molto meno di quanto si creda. In un certo senso, è possibile che dicano la verità. Però, non riescono ad impedire che a Majdan si ascolti l’inno delle SS. E quando si è trattato di combattere, sono i miliziani provenienti da Pravi Sektor ad aver alimentato i primi due battaglioni della Guardia Nazionale Ucraina. Il terzo, che ho visto addestrarsi poco lontano da Kiev, è stato invece creato con reclute provenienti proprio dal Donbas, formate al combattimento urbano da un veterano israeliano reduce da diverse campagne di Tsahal a Gaza.


4) La cosiddetta operazione antiterrorismo nel sud-est, che doveva essere conclusa in poche settimane, si sta rivelando interminabile. Com’è possibile che una milizia nata in pochi mesi riesca a tener testa ad un esercito regolare, per quanto disorganizzato, come quello ucraino?


Succede perché il Donbas è periferico, lontano dalla capitale ed adiacente al confine con la Russia, nella quale esistono sportelli per il reclutamento di volontari che desiderano battersi per proteggere la minoranza russa residente in Ucraina orientale. L’infiltrazione di questi combattenti, alcuni dei quali, specialmente i ceceni, sono malvisti dai residenti, è iniziata mentre tutti prestavano attenzione alla crescita della presenza militare russa in prossimità della frontiera. Neanche alla Nato, comunque, nessuno ha mai veramente creduto che i russi intendessero invadere l’Ucraina. Mi è stato detto un mese fa, con grande candore, dall’ufficiale americano che risponde delle attività alleate collegate alla crisi in atto. Da quanto ha affermato e dal modo in cui lo ha fatto, mi sono convinto che gli americani non muoveranno mai un dito per l’Ucraina. Pur fornendo tutte le garanzie immaginabili a polacchi, baltici, cechi, rumeni, bulgari eccetera.


5) Gli americani sono direttamente coinvolti in questo conflitto. I viaggi a Kiev, prima e dopo Majdan, di Nuland, Biden e Brennan sembrano confermarlo. Cosa sperano di ottenere gli Usa dall’Ucraina?


Agli americani interessava molto verosimilmente soltanto creare una diversione nell’orto di casa di Mosca, forse eccessivamente attiva in Medio Oriente, e verosimilmente indebolire Putin. All’inizio. Poi, ha fatto premio su tutto la necessità di dimostrare alla “Nuova Europa” che sono sempre gli Stati Uniti e non la Germania il riferimento essenziale della sicurezza continentale. A farne le spese, è stato Klitchko. I tedeschi, comunque, avranno tempo per rifarsi, anche se è auspicabile che resistano alla tentazione di porsi sulle orme del loro infelice passato, contrapponendosi contemporaneamente a Russia ed America.


6)  Anche i russi, ovviamente, sono implicati nei destini del Paese, per prossimità geografica e storiche motivazioni di egemonia regionale. In questo senso, fino a che punto la Russia si spingerà nel sostenere i separatisti del Donbas?


Non penso faranno molto più di ciò che fanno attualmente. Putin ha fatto capire sin da maggio che in Donbas la Russia si sarebbe comportata molto diversamente da come aveva fatto in Crimea. Come ha sottolineato Fyodr Lukyanov in un saggio che sarà pubblicato in autunno su Nomos & Khaos, l’annuario economico-strategico di Nomisma, questo doppio standard nell’applicazione della politica di sostegno alle minoranze russe minacciate all’estero sta creando dei problemi al Cremlino. Secondo George Friedman, fondatore e direttore di Stratfor, Putin rischierebbe addirittura di subire la sorte di Krusciov dopo la sconfitta patita a Cuba. Probabilmente si sbagliano: ma è forte la sensazione che la grande impennata di consensi di cui ha beneficiato il Cremlino dopo l’annessione della Crimea sia destinata ad esaurirsi presto.


7) In termini geopolitici quanto cambieranno gli equilibri mondiali dopo i fatti ucraini? E l’Europa come si collocherà rispetto a questi eventuali mutamenti?


E’ imprevedibile. I russi stanno cercando di contrattaccare a tutto campo, ma non è certo che dispongano della forza economica e politica per farlo. Anzi, c’è ragione di dubitarne. E non sono pochi gli analisti russi che infatti si mostrano preoccupati da quanto sta accadendo. Gli Stati Uniti sono chiaramente in grado di infliggere a Mosca gravi danni, manovrando i movimenti dei capitali anche tramite una strategia sanzionatoria intelligente, che orienta i mercati e punisce Stati ed aziende che non ottemperino. La Federazione ha già sperimentato una significativa fuga di capitali, l’indebolimento del rublo e la compromissione degli ingenti investimenti fatti nelle Olimpiadi di Sochi. Credo che ci sia la constatazione di questi limiti dietro l’idea di dar vita ad una Nuova Banca di Sviluppo dei Brics, poi effettivamente varata a Fortaleza il 15 luglio scorso. Ma basteranno i 100 miliardi di dollari di capitale ad arginare spinte che possono mobilizzarne migliaia nell’arco di ore? Il fatto è che saranno i cinesi a dirigerla e controllarla, inoltre, non rassicura più di tanto i russi. Il rischio della politica che sta mettendo la Russia con le spalle al muro è in effetti proprio quello di spingerla nelle fauci della Cina. Un risultato che conviene agli Stati Uniti nella misura in cui allontana Pechino dal mare. Ma a noi?


 


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* Germano Dottori è Docente del BA in International Studies presso l' Università Link-Campus University of Malta, Titolare della Cattedra di Sicurezza Internazionale. Docente di Studi strategici presso la LUISS-Guido Carli. Dal giugno 2001 all’aprile 2006 è stato consulente del Presidente della Commissione Affari Esteri del Senato della Repubblica. Dal 1996 al 2006 è stato consulente presso la Camera dei Deputati ed il Senato della Repubblica in materia di affari esteri, difesa (dal 1998) ed aspetti ordinamentali di sicurezza interna (dal 2006). È Segretario Generale del Centro di Studi Strategici e di Politica Internazionale, basato presso la LUISS-Guido Carli, membro del Comitato di Redazione di Limes dal novembre 2009 e membro dell’Osservatorio Strategico di Nomisma dal dicembre 2009. È autore di numerose pubblicazioni e articoli.