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Antisemitismo: uso a sproposito

di Ferdinando Menconi - 30/07/2014

Fonte: Il Ribelle

 

Le parole sono importanti, il loro uso secondo significato anche, ma il riuscire a travisarlo e ad usarle in maniera impropria fino ad imporre questo uso distorto è fondamentale per il propagandista, per chi vuole piegare la verità alle sue esigenze: possiamo veramente parlare di una battaglia delle parole.

Uno dei termini più usati a sproposito è antisemita. Antisemiti sono ad esempio coloro che sono visceralmente contro Israele e a favore dei palestinesi, quando, invece, più propriamente si dovrebbe dire antisionisti. Solo che, mentre essere antisionisti è, per ora, socialmente accettabile, essere antisemiti è un marchio di infamia.

Il filosionista che marchia di antisemitismo i suoi avversari, in pratica marchia di "infamia" anche se stesso, perché i palestinesi odierni(1), in quanto arabi, sono tanto semiti quanto gli ebrei. 

Nei dibattiti televisivi si può, addirittura, arrivare a sentir pronunciare l’ossimoro “arabi antisemiti”, persone che o trovano un analista molto bravo o finiscono suicide. Il termine “Filoarabi antisemiti”, anch’esso sentito, può spingere solo a una risata che squalifichi l’opinionista di turno. 

Antisemitismo islamico è un’assurdità ancora peggiore: l’Islam è una religione appartenente alla cultura semitica. Per certi versi è l’islamofobia ad essere una forma di antisemitismo. Il termine specifico che scongiuri l’accusa di “antisemitismo” stavolta l’abbiamo, perché un “cristiano antisemita” sarebbe in contraddizione con se stesso visto che: il suo Gesù è ebreo, la sua religione si basa sulla Bibbia e prega il dio di Abramo come Musulmani e Ebrei. 

Al limite si potrebbe definire antisemita un neopagano, ma in quegli ambienti si preferisce il termine abramita, più preciso. Termine che toglie ogni pericolosa, discriminante, ombra di odio razziale. Il termine antiabramita, invece, non è in uso: il politeista è infatti aperto verso le divinità altrui. Sono piuttosto gli abramiti ad essere antipoliteisti e a cacciare gli Dei altrui col proprio. Anzi talvolta arrivano a sostituire il proprio con il proprio, visto che in Sinagoga, Chiesa o Moschea, sempre di quello di Abramo si tratta, pur chiamandolo con nomi diversi.

Sull’antisemitismo come razzismo poi si raggiunsero i massimi livelli di contraddizione, ma nessuno osò fiatare per non beccarsi il marchio, con il caso Guzzanti. Si voleva chiudere il suo programma, non bello a dire il vero, per motivi che erano ben altri dall’aver definito quella ebraica una “razza”. Il programma invece fu chiuso proprio con la scusa di quella frase definita razzista. Ora, se quella ebraica non è una razza, l’antisemitismo verso gli ebrei, almeno, non è razzismo; se quella ebraica è una razza, invece, allora la Guzzanti non aveva detto nulla di sbagliato. Bisognerebbe mettersi d’accordo sul significato di razzismo, ma quella dell’uso inflazionato e improprio del termine razzista è un’altra storia.

L’importante è appiccicare il marchio dell’infamia a propri fini, poco importa la coerenza o la proprietà del termine, perché se viene applicato al momento giusto permette di evitare di entrare nel cuore delle questioni e il fastidioso doversi confrontare sui fatti. 

 


 

 

 

1) La Palestina era la terra dei Philistim, i Filistei, popolo di origine incerta, comunemente fatta risalire ai Popoli del Mare, secondo alcuni di origine indoeropea. Questo avvalorerebbe la tesi “antisemita”, se non fosse che i palestinesi di oggi non sono più i filistei di allora, anche se la comunanza del nome spiega molte cose.