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Gilad Atzmon: uno scomodo artista jazz

di Gilad Atzmon - Marinella Corongiu. - 18/08/2014

 


 

 

Gilad Atzmon ha partecipato a “Mondi Scomodi”, un festival svoltosi a Cantù il 7 e 8 giugno 2014, quest' anno dedicata alle identità e alla contaminazione tra i popoli rom e palestinese. Quella che segue è l’intervista che ci ha rilasciato:

 

M.C.

Cosa ti spinge a partire da Londra all'alba per essere qui a Cantù tra noi oggi, e ripartire domani all'alba per essere in Francia?

 

G. A. (Gilad Atzmon)

Mi interessa molto lo spirito umano, il processo che porta le persone a pensare, a comprendere cosa significhi essere, ed essere nel mondo. Sono anche molto interessato al potere ebraico. A differenza di molte menti deboli all'interno di questo discorso, penso che abbiamo a che fare con un potere molto interessante; ma un potere anche molto pericoloso. E pericoloso non soltanto per i palestinesi. E' molto pericoloso anche per l'Occidente, per la pace, per l'Iran, per l'Afghanistan, per l'Iraq.

E non impongo mai me stesso ad alcuno; siete stati voi che mi avete invitato qui a parlare. Domani a Vichy, e dopodomani a Parigi, sono invitato da persone che sono interessate al mio pensiero.

E penso si possa ben dire che, in una certa misura, sono coraggioso. Non ho paura di dire quello che penso, perché credo che la situazione sia mutevole e molto pericolosa. Muoiono molte persone ogni giorno, e sono stanco di tutto questo. E sono forse l'unico che può parlarne: non sono riusciti a ridurmi al silenzio.

 

M.C.

Se dovessi definire te stesso con una sola espressione, cosa diresti?

 

G.A.

Molto semplice: sono un artista di jazz. E anche come pensatore, opero come un artista di jazz. Questo significa che non smetto mai di riesaminare il mio pensiero, sono in continuo sviluppo. Quando si suona il jazz, puoi suonare ogni sera lo stesso pezzo, ma ogni sera dovrai dargli  nuova vita, come do nuova vita ai miei pensieri. Devi tenerli in vita.

Non pretendo di conoscere la verità, nessuno conosce la verità, ma è molto facile identificare le menzogne. E più osservo il discorso sulla solidarietà con la Palestina, più mi rendo conto che siamo saturati, soffocati da menzogne. All'interno di questo discorso, ogni parola, ogni termine, ogni espressione è una menzogna. E tutto questo insieme di menzogne è presente per difendere gli ebrei. Per esempio: anziché riferirci a Israele come Stato ebraico diciamo “Stato sionista”.

Israele non chiama se stesso Stato sionista ma Stato ebraico.  A Benjamin Netanyahu è molto chiaro che cosa significhi Stato ebraico. Altro esempio: in Israele non c'è apartheid. Apartheid è un sistema di sfruttamento, e Israele non vuole sfruttare i palestinesi: vuole che se ne vadano via, li vuole espellere. Dunque Israele è, di fatto, molto simile alla Germania nazista. Si tratta di una filosofia nazionalista, razzista, predatoria, una filosofia da Lebensraum.  Vogliono che i palestinesi se ne vadano via. Allora: usiamo il termine sionismo, perché non vogliamo offendere gli ebrei; usiamo il termine apartheid e non usiamo l'espressione 'di tipo nazista', perché non vogliamo offendere gli ebrei. Mi sono reso conto che se ci sta a cuore la Palestina e i palestinesi, dobbiamo essere sicuri che questo movimento non diventi un’ ulteriore strumento per salvaguardare gli ebrei.

 

M.C.

In te sento qualcosa che va di là dalla critica: una rabbia profonda ma anche una critica spietata nei confronti dei vari movimenti. Se capisco bene, ritieni che non facciano molto e alimentino il ricatto dell’antisemitismo.

 

G.A.

In realtà fanno molto, ma non ottengono niente. La situazione in Palestina è un disastro, e non sta migliorando. Questo è un fatto. Com'è possibile allora che questo movimento, che prende soldi da George Soros, non riesca a ottenere niente? La mia conclusione è questa: il movimento non ottiene nulla perché è regolato in modo tale da non ottenere nulla, e in modo tale da deviare dalle questioni veramente importanti. E se quello che dico vi sembra che faccia di me un antisemita, dite pure che sono un antisemita. Chiamatemi come vi pare. Ma allora anch'io voglio mantenere il diritto a usare la mia terminologia.

Il progetto è stato quello di fare apparire grandi gli ebrei. Questo è il motivo per il quale, negli ultimi anni, hanno cacciato via tutti gli intellettuali: hanno cacciato via John Mearsheimer e Richard Falk, Gilad Atzmon, Israel Shamir e James Petras. Com'è possibile avere un movimento di resistenza senza un solo intellettuale? E poi c'è qualche idiota dei movimenti degli ebrei per la Palestina in Italia che viene a una iniziativa e dice di tenere il mio libro sotto al tavolo. Ma che razza di pratica è questa?   E' esattamente l'idea di coloro che vogliono bruciare i libri. Com'è possibile che gli ebrei, che sono il “Popolo del Libro”, si mettano a bruciare libri? In Israele, almeno, non ci sono persone che vogliono mandare i libri al rogo. Penso che la sinistra ebraica sia molto peggio dei coloni ebrei. Pur con Benjamin Netanyahu e con i coloni, il libro di Shlomo Sand è stato un best-seller, e Ilan Pappe ha prodotto degli ottimi lavori accademici quando era all'Università di Haifa. E qualcosa di ancor più devastante: qual è il problema con Israele? E' che è uno Stato ebraico, esclusivo per gli ebrei. Ma anche un'associazione, a Roma, di ebrei per la Palestina è un'organizzazione per soli ebrei, in modo esclusivo. E se uno non è ebreo, può forse diventare segretario di un'associazione di ebrei per la Palestina? E' esattamente lo stesso principio. E' molto probabile che un palestinese diventi primo ministro in Israele, prima che un palestinese diventi segretario di un'associazione di ebrei per la Palestina. E' esattamente lo stesso problema.

 

M.C.

Riguardo ai movimenti pro-Palestina, in quale modo dovrebbero trasformarsi per essere più incisivi nella lotta? Dovrebbero forse dire le cose come stanno e non avere paura di passare per 'antisemiti'?

 

G.A.

Non credo nell'attivismo, non credo nei movimenti. Credo in una cosa sola: la capacità di dire quello che si pensa. Così, se Israele è uno Stato ebraico, si deve avere la capacità di dire che è uno Stato ebraico. E se è uno Stato ebraico che decora i suoi bombardieri con simboli ebraici, la Stella di David, devi essere capace di dirlo. Ma, al momento, non lo si può dire, siamo censurati; è il problema del 'politicamente corretto'. Il modo in cui io definisco il potere ebraico è questo: il potere ebraico è la capacità di impedirci di discutere su cosa sia il potere ebraico. Questa è la cosa più importante. E questa è esattamente la cosa che non è portata avanti dai sionisti. I sionisti, l'AIPAC e la lobby sono soltanto i sintomi del potere ebraico. Il potere ebraico è detenuto dalla sinistra ebraica. Da Chomsky, che si erge a dire 'Non parlate della lobby ebraica', ma perché non possiamo parlare della lobby ebraica?   Mister Chomsky ci può fornire un'argomentazione? Lei è un professore, conosce le procedure accademiche; non cerchi di ingannarci. La sinistra ebraica non è la soluzione: è il cuore del problema. Mondoweiss: un sito web ebraico, uno dei più importanti sulla Palestina negli Stati Uniti, ha cambiato la sua politica non permettono più che si discuta di cultura ebraica nel loro sito. Questo è il potere ebraico. Per questo sostengo che la sinistra ebraica è il vero cuore del problema.

 

M.C.

Mi sembra di capire che, secondo te, il disegno di Israele stia morendo. Più che una previsione, mi sembra che sia una tua constatazione.

 

G.A.

Non penso che Israele possa mantenere la sua egemonia sulla regione per sempre. Ma con questo? Chi dice che il problema sia Israele? Io non parlo di Israele. Israele è solo un sintomo, è uno strumento ebraico. E i palestinesi sono il fronte avanzato in questa battaglia. Ma forse sono  più sfortunati gli americani, dopo tutto quello che è successo loro con la Federal Reserve, gestita per generazioni da membri tribali. Di tutto questo, noi vogliamo discutere. Non sono così sicuro che tutto si riduca a Palestina o Israele. Israele non è un problema, potremmo risolvere la questione domani, se volessimo.  Questo è il motivo per il quale dobbiamo parlare della lobby ebraica, perché è la lobby ebraica negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia che ci spinge alle guerre, sempre più guerre.

 

M.C.

Perché, nei confronti di tutti, tu sei così 'scomodo', un termine presente nel titolo della nostra iniziativa?

 

G.A.

Molto semplice: perché sono davvero molto pericoloso, e sono molto felice di esserlo. Riesco a scuotere i pilastri ingannevoli del loro discorso ma ora si son fatti più intelligenti, ormai non mi attaccano più. Hanno capito che devono cambiare tattica. Potrebbero usare un'altra opzione: uccidermi. Ne sono consapevole, ma questo sarebbe leggermente pericoloso per loro, perché mi trasformerebbero in un martire. Potrei eliminarli tutti, non in senso fisico, non sono un violento.

Sono stato io a scoprire che il movimento BDS è venuto a compromessi sul diritto al ritorno. E ho scoperto che i palestinesi della diaspora sono rimasti in silenzio su questo punto. Così il mio istinto mi ha portato a credere che i palestinesi in Occidente – non quelli di Sabra, Chatila o Bourj El Barajneh – sono contenti di andare avanti così. La situazione dei  palestinesi nei campi in Libano è peggiore che a Ghaza. Perché la gente non ne parla? Perché in realtà non gliene importa molto dei palestinesi. Perché la loro soluzione è il ritorno, e gli ebrei non vogliono sentirne parlare. Ne parla chi vede le cose da una prospettiva etica; mentre gli ebrei in questi movimenti vedono le cose da una prospettiva giudeocentrica. E' tutto molto semplice. Questa è un'altra caratteristica del mio discorso: tutto quello che dico, è semplice. E non ho mai bruciato un libro in vita mia. Amo anche libri che contengono idee diverse dalle mie.

 

M.C.

Ti piacerebbe tornare in Palestina?

 

G.A.

Sì. Anzitutto mi sento a casa. E' casa mia, ci sono nato. E mi piacerebbe fare di più per queste persone. Ora non sono più un combattente, sto diventando vecchio. Ma la mia penna è la mia arma.

La lotta di queste persone è qualcosa della quale io, come ex-israeliano, mi sento direttamente responsabile. E non pochi israeliani sentono la stessa cosa. A un certo punto, capiscono che la loro esistenza si celebra a spese del  popolo palestinese. E queste persone sono più interessanti e  producono più materiale di quanto non facciano gli ebrei della diaspora. Fra i più importanti,  Israel Shahak, Israel Shamir, Gideon Levy, Shlomo Sand, me stesso. Invece, niente di tutto questo è presente tra gli ebrei della diaspora. Anche in America ci sono altre persone, come James Petras, Richard Falk - che è di origini ebraiche, ma non opera affatto come ebreo, ma come un umanista - e John Mearsheimer. Ma dagli ebrei della diaspora cosa abbiamo? Si parano il culo.

 

 

 

M.C.

Perché sei tornato in Libano nel 2012?

 

G.A. Sono stato invitato da Al Mayadeen TV,  mi hanno portato a visitare le postazioni di Hizbollah. E' stato il punto più vicino alla mia terra natale dove sono stato negli ultimi venti anni. Non è molto facile per un israeliano entrare in Libano. Io sono britannico, ma è stato comunque difficile, sono state necessarie autorizzazioni governative eccetera. E' stato molto emozionante, E' stata una delle cose più toccanti che abbia mai fatto nella mia vita. Sono stato soldato in Libano. Era la prima volta che visitavo il Libano dopo così tanti anni. E' stato stupefacente vedere il modo in cui sono stato accolto. E' stato anche stupefacente vedere il panico del BDS. Ne prendo atto. Avevano buoni motivi per provare panico.

 

 

M.C.

Come ti sei sentito?

 

G.A.

Ero estremamente eccitato. E' stata una grossa presa di posizione da parte mia, perché sostengo Hamas e Hezbollah da molti anni, e quindi è stata una mossa molto rischiosa per me, perché mi ha posto sulla lista dei terroristi. E ogni volta che faccio una cosa simile, sento che ho appeso un'altra paura al muro e che posso andare avanti verso la liberazione. E' il mio percorso personale verso la liberazione. Lo amo. Come ho detto prima, sono un artista jazz: la libertà, andare al di là della paura. Quando ero soldato in Libano, prima di lasciare l'esercito, nel 1984, visitavo Ansar (un campo di concentramento) e là ho visto queste piccole gabbie dentro le quali chiudevano  i prigionieri: un blocco di cemento, alto 80/90 cm, lungo un metro e venti, con una porta metallica, e pensavo che ci rinchiudessero dentro i cani. Era estate, quarantadue gradi. Ho detto al comandante israeliano: “Ascolta, ma non potete mettere cani lì dentro”, e lui mi ha risposto “Non preoccuparti, non è per i cani, è per i palestinesi. Ci metti dentro un palestinese, e dopo un po' di giorni diventa un sionista”.

Io ho raccontato questa storia, ma non l'ho mai sentita raccontare da nessun altro. Erano passati venti anni, magari avevo sognato. E invece nel 2012 sono tornato in Libano e ho trovato le immagini di queste gabbie in un libro. Sono ad Al Khiam, sono esattamente uguali. Sono andato in Libano e ho visto le stesse cose. Eppure i palestinesi non ne parlano, è veramente un fatto unico. Stavamo andando in auto verso il confine israeliano e ho detto: “Fermatevi, voglio scendere dall'auto e fare qualche foto”. Mi hanno risposto “Ma sei pazzo? Se fermiamo l'auto, ci sparano dopo un secondo”. Mi sono reso conto che queste persone vivono in una condizione di costante paura. E le persone in Occidente non lo capiscono per niente. Lì si vive come vicino a un pazzo fuori di testa.

 

M.C.

Hai avuto paura quando sei arrivato in Libano nel 2012?

 

G.A.

Ormai non ho più paure. Ero molto commosso all'idea che sarei andato a visitare Sabra e Chatila. E non è affatto facile andare a Sabra e Chatila e girare video per una televisione: hai bisogno di autorizzazioni. Dopo che abbiamo finito, siamo andati al cimitero, ed ero molto emozionato. Capivo cosa significava, ero soldato nel 1982. Non so cosa mi ha commosso, cosa fosse così doloroso, ovviamente la tragedia è chiara. Non so cosa ho visto che mi ha rotto il cuore, erano tante cose insieme. E' stato il senso di disperazione, il fatto che nessuno ne parla,  né Electronic Intifada né Mondoweiss ne parlano.

Queste persone, che sono le prime vittime, sono lasciate sole. Ed ero commosso dal modo in cui queste persone portavano avanti la loro vita. E' incredibile. Il loro ordine, l'empatia, il modo in cui operano insieme. Dovunque vai, c'è qualcuno che ti invita a casa, che ti offre un caffè, un baklawa, un mahmul. E' incredibile.

 

 

 

M.C.

Eri preoccupato per il fatto di incontrare queste persone, tu che in Libano c'eri stato da soldato?

 

G.A.

Preoccupato no, ma ero molto imbarazzato. Sapevano, probabilmente, cosa io ero stato e, malgrado questo, erano comunque molto gentili. Ma io mi sentivo estremamente in colpa, e mi sento in colpa ancora adesso.

E questo è il motivo per cui, quando mi sono reso conto che Omar Barghouti prende soldi da Soros e viene a compromessi, io l'ho detto. Non intendo proteggere nessuno. Quando mi rendo conto che questo idiota gestisce il BdS, e però al tempo stesso ha studiato all'università di Tel Aviv, e a chi gli  chiede qualcosa risponde che lui è libero di studiare dove vuole...

Ipocrita? Molto peggio. E' una mente profondamente corrotta. E spiego perché. 'Apartheid' è una cazzata, Israele non è apartheid, è molto peggio di apartheid. Ma lui vuole chiamarla apartheid. Se tu fossi stato un nero in Sudafrica nel 1968 o nel 1975, saresti andato in un’università di bianchi per fare campagna contro quella stessa università? Che idiota! Così il mio dovere è di spiegare perché questa tendenza traditrice così dannosa sia presente nella élite palestinese.

Ho letto una recensione del film Omar. E' molto facile capire come i palestinesi siano spinti a  diventare collaboratori. Gli israeliani  possono usare le tattiche più sporche. Eppure c'è qualcosa che il film non spiega: perché Ali Abu Nima è così corrotto. Perché Ali Abu Nima mi contatta e si offre di aiutarmi se io smetto di parlare di sionismo. Perché Ali Abu Nima è corrotto? Perché Omar Barghouti prende soldi da un sionista liberale? Questo è qualcosa che non possiamo spiegare.

 

M.C.

Queste cose non si sanno nemmeno all'interno del movimento.

 

G.A.

Il movimento ora è dominato dagli ebrei. Ma è successo qualcosa di molto importante. Negli Stati Uniti, in Inghilterra e in Francia hanno capito che la Palestina è molto pericolosa per gli ebrei. Non solo per Israele, ma per gli ebrei. Perché se quello della Palestina diventa un movimento di massa, lo Stato ebraico diventa un riflesso della identità ebraica. E allora dicono: dobbiamo ripulire il movimento. E così hanno cominciato a espellere tutte le persone. Perfino George Galloway, la voce inglese più importante per la Palestina, è stato attaccato dal BDS. E così  hanno ripulito e ripulito, hanno continuato a espellere. E questo è esattamente quello che hanno fatto con i palestinesi. Espellere, espellere.. Fino a che un giorno il movimento sarà pulito. E sapete allora cosa accadrà? Che alla fine non sarà più un movimento: sarà una sinagoga ebraica.  E ancora: dicono che Dieudonné sarebbe un razzista, ma se è nero! E i palestinesi dicono di no a un artista nero? No, non sono i palestinesi: sono gli ebrei.

Ma se gli ebrei vogliono dominare questo movimento, devono star sicuri che li smaschereremo.

 

 

 Intervista di Marinella Corongiu.

 Traduzione di: Federico Giampiero Lastaria e Andrea Cappellini