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Il conflitto siriano in evoluzione

di Leonardo Olivetti - 25/08/2014

Fonte: Stato e Potenza


149081-MA8010_SyriaGovenorateMaps_mapseries_Landscape_Aleppo_pdfIl conflitto siriano, che dura da 3 anni, sta notevolmente cambiando i suoi equilibri; stanno mutando le forze in campo, per l’ascesa di nuovi gruppi terroristici e il declino di altri, ma anche per le fruttuose manovre dell’Esercito Arabo Siriano. I “ribelli” siriani delle vecchie formazioni (Esercito Libero Siriano, Fronte Islamico, Jabhat al-Nusra, Ahrar al-Sham, etc.) stanno continuando a perdere peso, influenza, uomini, morale, e sembrano sempre più vicine a trasformarsi in relitti di una guerra per loro già persa. Al contempo, il gruppo dello Stato Islamico, un’“evoluzione” del vecchio gruppo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIS o ISIL) sta guadagnando terreno a danno delle vecchie formazioni di insorti. Ecco i principali campi di battaglia e i mutamenti tattici.

Il nord della Siria: i “vecchi” terroristi in declino e l’ascesa dello Stato Islamico
Le principali direttive dell’avanzata dello Stato Islamico nel nordest della Siria sono state a scapito delle altre formazioni di insorti e di jihadisti, e non delle forze lealiste, che controllano solo alcune aree (Qamishli, Hasakah, parte di Deir el-Zor). Se si escludono alcune aree strappate direttamente alle forze dell’Esercito Arabo Siriano (la base della Divisione 17, che per molto tempo ha resistito a nord di Raqqa, e la base della Brigata 93), le principali città del nordest (Raqqa, Mayadin, al-Bab), e moltissimi villaggi sono stati conquistati dallo Stato Islamico ai danni di altre forze ribelli rivali. La prima linea dell’avanzata dei “soldati del Califfo” è stata nella provincia di Deir el-Zor, a est, ricca di pozzi petroliferi, e la conquista di metà di questa città. Qui, lo Stato Islamico ha distrutto e costretto alla fuga gli uomini di Jabhat al-Nusra, formazione che rappresenta ufficialmente al-Qaida in Siria, ma che è in conflitto con il “Califfato”. A metà luglio, i “vecchi” terroristi sono stati cacciati anche dalle aree circostanti Deir el-Zor, e la provincia è caduta, per oltre il 90%, nelle mani dello Stato Islamico (1).
Un’altra parte consistente dell’offensiva dello Stato Islamico contro i gruppi terroristi rivali si è verificata a nord di Aleppo (Siria settentrionale), lungo il confine con la Turchia, proprio negli ultimi giorni. Qui, i terroristi hanno catturato le cittadine di Akhtarin, Turkmanbareh, Masoudiyeh, che, secondo un comandante ribelle, sono «il cancello per la campagna a nord di Aleppo» (2). Lo Stato Islamico in quella regione, ha già cominciato le operazioni per prendere la città di Mare’, roccaforte del Fronte Islamico, anch’esso in declino. «Se Mare’ cade, ciò aprirà la strada (allo Stato Islamico) per marciare in tutte le parti del nord di Aleppo» (3). Un altro obiettivo, non lontano dalla cittadina di Mare’, sembra essere Azaz, altra importante città della zona: se entrambe le città cadessero, si ha ragione di pensare che la già traballante impalcatura dei “vecchi” terroristi cadrebbe in tutta la regione di Aleppo, data l’interruzione completa delle vie di rifornimento dalla Turchia, ma che ,ad Aleppo, le forze lealiste dovrebbero vedersela proprio con i terroristi del Califfo.
La debolezza e la decadenza militare e politica dell’Esercito Libero Siriano e dei suoi alleati nella regione, è evidente anche dalle parole di Hadi al-Bahra, il capo della falsa opposizione e della marionetta denominata “Coalizione Nazionale Siriana”, che ha chiesto esplicitamente che i raid contro lo Stato Islamico siano condotti anche in Siria, in loro aiuto. Al-Bahra ha chiesto alla comunità internazionale di «rifornire velocemente l’Esercito Libero Siriano di armi e munizioni» e di «usare l’aviazione americana, o quella di qualsiasi altro paese, per sostenere l’Esercito Libero Siriano» (4). Il fatto che anche il loro protettore e finanziatore americano non abbia mostrato alcun segno di voler accondiscendere a queste richieste, è un segno evidentemente che gli Stati Uniti non hanno più interesse a mantenere in vita milizie terroristiche quasi sconfitte.
Alcune immagini degli stessi ribelli, anche se palesemente stereotipati dai media, sulla loro situazione penosa, sono riportate dal New York Times: «Il senso di sconfitta imminente è palpabile nella provincia di Aleppo. Due anni fa, Abu al-Hassan [un comandante dell’Esercito Libero Siriano, ndt], piccolo e allegro, si sedeva comodamente in un ufficio a Mare’, una sonnolenta cittadina di campagna, emettendo rapporti per i media internazionali. […] Ma giovedì, Abu al-Hassan stava preparando le sue cose, rompendo la sua promessa di non andarsene. Si è definito disgustato dai leader dei ribelli – che ora si incolpano l’un l’altro per le sconfitte contro l’ISIS, che ha, delle volte, preso dei villaggi con forze veramente piccole – e della loro decisione di attaccare l’ISIS mesi fa»(5).

La Battaglia di Aleppo: la chiave della Guerra
Che la città di Aleppo fosse la chiave militare di questo conflitto, era già chiaro. «Se perdiamo Aleppo perdiamo la rivoluzione», aveva detto un ex combattente nelle file degli insorti, che aveva abbandonato la lotta, riportato dal Washington Post (6). Per i terroristi la situazione nella città non è affatto positiva (7): l’Operazione “Stella Canopo”, lanciata dalle forze lealiste, mira ad accerchiare i ribelli nel centro di Aleppo e costringerli alla resa. Passando dalla città industriale di Aleppo, Sheikh Najjar, nel nordest, per poi interrompere le vie di rifornimento (provenienti da nord) dei terroristi: questa è la strategia perseguita dall’Esercito Arabo Siriano, che è a poche miglia dall’accerchiamento e dall’assedio dei terroristi nel centro di Aleppo.
Lo stesso articolo del New York Times, citato poc’anzi, riporta anche i pensieri dei terroristi assediati nel centro di Aleppo: «Gli insorti siriani ad Aleppo dicono che sono sull’orlo di una sconfitta che potrebbe porre fine effettivamente alla loro lotta per rovesciare Assad. […] Alcuni insorti sono entrati nell’ISIS piuttosto di combatterlo, per salvarsi dalla decapitazione o per la frustrazione che i loro stessi leader sono stati incapaci di mettere al sicuro armi e denaro. […] “Il cappio si sta stringendo attorno ad Aleppo, e tutti stanno solo a guardare”, ha detto al-Marie [un portavoce dell’Esercito Libero Siriano nel nord della Siria, ndt] aggiungendo che la perdita della città sarebbe “irrecuperabile” e “un colpo per i nostri comuni obiettivi di una Siria moderata”».
Dalla battaglia, le ultimissime notizie sembrano premiare l’Esercito Arabo Siriano: il 4 agosto, la città di Khan Tuman, a sud di Aleppo ed occupata dai terroristi del Fronte Islamico per due anni, è stata riconquistata, il 18 agosto pure la collina di Khan Tuman, e le forze lealiste continuano ad avanzare nel quartiere di al-Layramoun, a nordovest della città, al fine di raggiungere Anadan, poco più a nord. La situazione dei terroristi ad Aleppo, militarmente parlando, sembra logora. Benché abbiamo tutti ricevuto l’ordine di non mollare (8), sono a corto di munizioni, e sembra che le loro comunicazioni radio siano così labili da poter essere ascoltate da radioamatori (9).
Le strategie per far collassare i terroristi sembrano molteplici: al di là del ricorso all’amnistia, che ha avuto i suoi effetti nel causare diserzioni, l’accerchiamento e la resa sembrano la soluzione migliore. Stando a Syrian Perspective, la strategia per completare l’assedio totale della città e costringere alla resa i terroristi è questa: prendere il controllo dell’area di Shuqayyif a nord della città, attaccandola da tre direzioni (est, ovest e sud). In questo modo, il fronte ad al-Layramoun, a ovest, sarà sfondato, ed una volta messe in sicurezza queste zone si procederà verso Anadan, a nordovest rispetto a Shuqayyif, e i terroristi sarebbero così assediati nel centro di Aleppo (10). Secondo il già citato articolo del New York Times, le forze governative, insieme a uomini di Hezbollah, delle Forze di Difesa Nazionale e delle Guardie Repubblicane, hanno questa strategia per prendere Aleppo: «Dividere le zone controllate dai ribelli in settori, colpire i confini tra i settori per renderli impraticabili ed espugnare ogni settore uno alla volta».

Altre aree di conflitto
Benché la chiave per la risoluzione del conflitto siriano sia nel nord, precisamente nelle città di Aleppo e di Raqqa, anche in altre parti della Siria si combatte.
Nella Siria centrale, sono intensi gli scontri nelle province confinanti di Idlib e Hama. La loro importanza strategica risiede nel fatto che l’autostrada M5, che collega Damasco ad Aleppo, passa proprio da qui. In questa zona, gli insorti controllano solo città secondarie tra Hama ed Idlib (Khan Shyakhun, Ma’arat al-Numan), e non sono riusciti ad avanzare né a prendere Hama, come hanno cercato di fare. L’Esercito Siriano è impegnato nella conquista della cittadina di Morek, che è la porta di accesso a Khan Shaykhun, e il suo obiettivo e collegare militarmente i due fronti, di Idlib, a nord, e di Hama, a sud (11).
Un altro fronte è nella periferia est di Damasco, nel Ghouta, dove, proprio pochi giorni fa, l’Esercito ha liberato al-Maliha. Questo sobborgo era importante perché a ridosso dell’autostrada verso l’aeroporto, ma, dopo molti mesi di intensi combattimenti è stato espugnato; i terroristi di Jaysh al-Islam (“L’Armata dell’Islam”) non solo si sono ritirati vergognosamente, ma sono entrati in conflitto anche con i ribelli qaidisti di Jabhat al-Nusra (12).
L’ultimo fronte di rilievo è quello lungo il confine libanese. Lo Stato Islamico, i primi di agosto, è riuscito a portare la guerra anche in Libano, prendendo la città di Arsal, uccidendo una ventina di soldati libanesi, prima che l’8 agosto l’Esercito Libanese liberasse la città e desse inizio ad una controffensiva contro i terroristi (13). Da allora, gli eserciti siriano e libanese sono impegnati in un’offensiva per ripulire il confine tra i due paesi dai criminali dello Stato Islamico, di Jabhat al-Nusra e del Fronte Islamico.

Moderati e terroristi: la farsa
Uno dei principali cliché giornalisti che giustificano la nascita e l’affermazione militare dello Stato Islamico è che esso sarebbe differente dagli altri gruppi ribelli, in questo questi ultimi sarebbero una corrente “moderata”, un efficiente deus ex machina che combatte sia contro una “dittatura” sia contro il “terrorismo”. In realtà, questa versione dei fatti è assolutamente falsa, alla luce dei dati concreti.
L’Occidente tende a prendere l’Esercito Libero Siriano come esempio di “moderazione”; al di là di ricordarsi che questo gruppo non è per nulla il più forte, anche tra i ribelli anti-ISIL, bisogna notare le sue alleanze. L’ELS è alleato ufficiale con Jabhat al-Nusra, organizzazione che si riconosce fedele ad Ayman al-Zawahiri, capo di al-Qaida, e che è stata dichiarata “terrorista” perfino dagli Stati Uniti. Incontriamo poi il Fronte Islamico, che sembrerebbe essere, attualmente, il gruppo “moderato” quantitativamente ancora più forte. Tuttavia, il Fronte Islamico è tutt’altro che moderato: in documento da loro diffuso, riportato da Hurriyet Daily (14), gli uomini del Fronte specificano di essere contrari alla democrazia e di rifiutare il secolarismo, e che il loro obiettivo è imporre la legge islamica della sharia. «Dividere l’Islam dalla vita e dalla società, e ridurlo esclusivamente a rituali, costumi e tradizioni. […] Ciò è in contraddizione con l’Islam». Mentre il governo siriano ha chiesto di inserire anche il Fronte Islamico nella lista dei gruppi terroristici, gli Stati Uniti e i suoi alleati si sono rifiutati, inserendo solo lo Stato Islamico e al-Nusra.
Anche gli altri gruppi terroristici che combattono in Siria non hanno nulla di “moderato”: si prendano l’Armata dei Mujaheddin, Jaysh al-Sham, ma soprattutto Ahrar ash-Sham. Questo gruppo, che avrebbe tra i 10.000 e i 20.000 combattenti, è strettamente legato con al-Qaida, e persino l’Intelligence americana ha svelato che gran parte dei comandanti, tra cui Abu Khalid al-Suri, sono membri di al-Qaida e seguono gli ordini di al-Zawahiri (15). Anche altri gruppuscoli ancora più estremisti, fortunatamente di minor peso, collaborano con i ribelli “moderati”, tra cui il fantomatico “Fronte Bin Laden” (16). L’enorme quantità di queste formazioni, che spesso non sono altro che qualche centinaia di uomini non deve ingannare: tutti combattono per imporre un regime islamista, ed anche quelli che parlano di “democrazia”, essendo a rimorchio dei gruppi islamisti più forti, non fanno altro che partecipare ad una guerra terrorista contro la Siria.
Considerando che anche gli uomini dell’ELS si sono macchiati di numerosi crimini e collaborano apertamente con formazioni qaidiste e jihadiste, l’invenzione dei ribelli moderati è semplicemente una trovata diplomatica americana, ben lontana dalla realtà, per coprire il loro pieno fallimento in Siria. Una trovata con la quale gli Stati Uniti mascherano il volto di chi finanziano: ufficialmente parlano di sostegno a dei “moderati”, ma sanno benissimo che costoro non esistono, e che, volenti o nolenti, si tratterà sempre di scegliere tra gruppi più o meno jihadisti, più o meno criminali.

 
 
 
 
 
 

 

Note:
1.Sulla presa di Deir el-Zor
2.Washington Post
3.Washington Post
4.Washington Post
5.NYTimes
6.StatoePotenza
7.La situazione ad Aleppo in data 12 luglio 2014, con le avanzate delle varie forze. Qui invece una mappa della situazone al 21 agosto.
8.Stando a quanto riportato da Syrian Perspective, le comunicazioni più diffuse tra i comandanti ribelli ad Aleppo sono: «Mandateci più rinforzi! Noi non possiamo! Dobbiamo tenere ad ogni costo!».
9.Syrian Perspective
10.Syrian Perspectivel
11.Per una mappa aggiornata al 21 agosto 2014 della situazione, ed una concisa analisi delle mosse dei due schieramenti
12.Syrian Perspective
13.Ansa.it
14.Hurriyet
15.Long War Journal
16.Youtube