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Il principio di atodeterminazione e i venti di guerra in Ucraina

di Francesco Mario Agnoli - 08/09/2014

Fonte: Arianna editrice

      

   Ricorre quest'anno il centenario dell'inizio della prima guerra mondiale.

   Al termine del conflitto le trattative e l'accordo di pace, siglato a Versailles il 28 giugno 1919, furono dominati dalla figura e dai programmi del  presidente americano Woodrow Wilson. Anche se i paesi vincitori  cercarono di strattonarlo a proprio favore  il principio base del Trattato di Versailles fu il riconoscimento del diritto dei popoli all'autodeterminazione, che da quel momento divenne uno dei fondamenti del diritto internazionale. In base a questo principio venne completamente rimodellata la carta politica d'Europa. Sorsero nuovi Stati, altri ingrandirono il proprio territorio, altri ancora, come l'Ungheria e la Bulgaria, persero intere province.

    Una risistemazione che subì ulteriori modifiche con la seconda guerra mondiale e  altre ancora dopo il tracollo dell'impero sovietico. Mutamenti che   non solo non coinvolsero il principio dell'autodeterminazione, ma anzi lo rafforzarono. Il diritto all'autodeterminazione è, difatti, espressamente sancito  nella Carta della Nazioni Unite (capitolo I, art. 1/par. 2) ed è stato recepito nella legislazione di moltissimi paesi. Fra questi  l'Italia con la legge n. 881/1977 di ratifica del Patto Internazionale di New York del dicembre 1966 relativo  ai diritti civili e politici. Tale Patto si apre all'art. 1 con l'affermazione  che “tutti i popoli hanno il diritto all'autodeterminazione e in  virtù di questo diritto essi decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro sviluppo economico e sociale”. Il successivo comma 3  impone agli aderenti al Patto il dovere “di promuovere l'attuazione del diritto di autodeterminazione dei popoli e rispettare tale diritto in conformità alle disposizioni dello Statuto delle Nazioni Unite”.

    Ciò nonostante nelle vicenda ucraina tanto gli Usa, che pure dell'autodeterminazione sono storicamente i padri, quanto l'Europa non ne fanno parola e preferiscono  proclamarsi  paladini dell'integrità territoriale dell'Ucraina, a cominciare  dal nostro Renzi, che  ha solennemente assicurato il suo “appoggio incondizionato”. Ora il rispetto dell'integrità territoriale degli Stati è certamente una delle regole  del diritto internazionale,  che tuttavia deve cedere, ogni qual volta risulti in contrasto, al superiore diritto dei popoli all'autodeterminazione,  che di necessità, comporta, quando un popolo sceglie di costituirsi in una nuova entità politica, una diminuzione territoriale  dello Stato nel quale  quel popolo era inserito. Così potrebbe avvenire fra meno di un mese alla Gran Bretagna se  nel referendum che si svolgerà il 18 settembre il popolo scozzese  sceglierà (l'esito è molto incerto  e nei sondaggi i contrari prevalgono sui favorevoli) l'indipendenza.

    La domanda (retorica) è perché  ciò che viene riconosciuto come un diritto agli scozzesi non   è invece nemmeno preso in considerazione in via di ipotesi, come ragionevole alternativa  alla guerra civile, per  gli ucraini di lingua russa? La risposta è fin troppo facile e sta nella certezza  del governo di Kiev e dei paesi Nato che, pur con tutte le garanzie e i controlli internazionali possibili sulla regolarità della consultazione, una volta indetto il referendum i popoli di quelle regioni si pronuncerebbero, a larga maggioranza, come è avvenuto (senza controllo internazionale)  in Crimea e al contrario di quanto forse accadrà in Scozia, per la secessione (segua poi o no l'unione alla Russia). Proprio quello che gli USA non vogliono e  l'Europa, costi quel che costi   (e le sta costando moltissimo), si accoda,  finge di non avere mai sentito parlare del diritto dei popoli all'autodeterminazione e approva coi fatti   bombardamenti di case  e  ospedali, che cagionano la morte non (o non solo) di più o meno fantomatici soldati russi, ma di civili ucraini  colpevoli soli di non sentirsi più in sintonia con Kiev.