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Il caos, nuova presenza permanente

di Paolo Sensini - 30/09/2014

Fonte: Megachip


Il caos è una strategia funzionale al nuovo 'Medio Oriente Allargato' che gli USA intendono modellare. Un libro ha descritto in anticipo lo scenario. Intervista all'autore.

Intervista di Giacomo Guarini a Paolo Sensini.

"Divide et impera. Strategie del caos per il XXI secolo nel Vicino e Medio Oriente" (Mimesis Edizioni, 2013, pp. 322 + 26 tavole, € 24,00) è un recente saggio di Paolo Sensini. Lo abbiamo già precedentemente illustrato. Stavolta ne parliamo direttamente con l'autore.
Sensini aveva in precedenza affrontato con serietà e coraggio l'analisi della situazione libica con Libia 2011, saggio che ha riscontrato interesse ed apprezzamento anche presso la grande stampa nazionale. La ricostruzione effettuata da Sensini sulla guerra condotta contro la Libia di Gheddafi nel 2011 mostrava una realtà dei fatti radicalmente diversa da quella che, per mesi, aveva accompagnato la rappresentazione del conflitto negli stessi grandi media nazionali ed internazionali.

Divide et impera parrebbe un'ideale prosecuzione dell'analisi effettuata con Libia 2011, pur se caratterizzata da un notevole allargamento di obiettivo e di campo d'indagine. L'autore infatti prende adesso in considerazione l'intera area del ribattezzato Grande Medio Oriente - dai paesi nordafricani attraversati dalle "Primavere arabe" sino all'Afghanistan - cercando di mostrare al lettore le linee fondamentali che guidano l'agire politico e militare della superpotenza occidentale USA nella vasta area nonché quelle dell'alleato israeliano. Le ricostruzioni effettuate nel saggio non si limitano a rilievi sull'immediata operatività dei due attori nell'area, fornendo invece importanti elementi per ricostruire la base delle alleanze e dei rapporti di forza esistenti, le strategie di lungo periodo, le rappresentazioni mediatiche funzionali agli stessi interessi strategici.
L'analisi si concentra in particolare sull'evolvere degli scenari a partire dalla vigilia del nuovo millennio, con le strategie elaborate in ambienti statunitensi e poi perseguite nell'area del Grande Medio Oriente dopo i fatti dell'11 settembre, senza mancare di dedicare ampio spazio anche ai punti oscuri della stessa tragica vicenda dell'attentato. Si arriva infine alle strategie sottese ai grandi sommovimenti destabilizzatori che hanno preso il nome di "Primavere arabe", ed alle tragiche conseguenze cui queste hanno portato in termini di propagazione di conflitti e crisi umanitarie, in particolare nello scenario siriano ed in quello maliano, che - al momento della stesura del libro - rappresentava la «nuova frontiera della "Guerra Santa"» come indicato nel capitolo conclusivo del libro. L'evoluzione degli scenari è stata, come prevedibile, rapida e profonda, e tuttavia appare ben lontana dal delineare nuovi equilibri e concrete prospettive di stabilità. Abbiamo intervistato l'autore di Divide et impera per discutere con lui degli ulteriori sconvolgimenti che hanno attraversato l'area ad un anno dalla pubblicazione del testo.


Il suo saggio termina con l'analisi della situazione in Mali. La crisi maliana ha tuttavia lasciato mediaticamente il posto ad altri fenomeni di tragica violenza. Per restare nell'area, si è molto parlato di recente dell'acuirsi delle violenze in Nigeria, in particolare dell'operare del gruppo 'jihadista' di Boko Haram. Ritiene che le attuali tensioni in Nigeria segnino uno spostamento ulteriore verso Sud della "frontiera della Guerra Santa" da lei richiamata? C'è, in altre parole, un collegamento fra le destabilizzazioni conseguenti alle "Primavere" e quest'ultimo scenario? O possono in ogni caso, in questo scenario di crisi, configurarsi interessi legati ad un più vasto "Grande Gioco" africano?

PS: I due "scenari" di cui parla non sono affatto divisi o contrapposti, ma si intersecano piuttosto in quella che sembra essere l'attuale frontiera della "strategia del caos" nel continente africano. Da questo punto di vista gruppi come Boko Haram seguono, ovviamente ben supportati dai loro confratelli e dalla rete di poteri che si è mobilitata a partire dalle cosiddette "Primavere arabe", quella che è un'offensiva ad ampio raggio delle milizie islamiste. Tutto ciò con il solito tributo di sangue e atrocità che contraddistinguono le loro offensive, come per esempio l'ultima operazione in cui Abubakar Shekau, leader dell'organizzazione islamista locale, ha dichiarato di aver creato un "califfato islamico" a Gwoza, città del Nord-Est della Nigeria, che ha provocato la fuga di circa 11.000 persone.


Riavvicinandoci agli epicentri delle "Primavere", assistiamo ad una Libia tutt'altro che pacificata, ed anzi proprio negli ultimi mesi ancora più soggetta a caos e conflitti; già nel suo saggio dedicato all'intervento NATO in Libia lei lasciava poco o nullo spazio a concreti segnali positivi per il futuro del paese. Cosa ha da dirci sulla Libia di oggi?

PS: Purtroppo non era difficile prevedere ciò che sarebbe accaduto scoperchiando il "vaso di Pandora" libico, ossia sbarazzarsi militarmente di Gheddafi e lasciare quindi il Paese senza una vera leadership capace di affrontare la situazione. Del resto l'obiettivo era esattamente questo: consegnare il Paese in preda a bellicose tribù rivali e contrapposte, tese unicamente a rafforzare ed espandere quanto più possibile il loro potere territoriale. Anche l'analista geopolitico più sprovveduto poteva agevolmente prevedere ciò che avrebbe significato un intervento occidentale di quel genere, peraltro del tutto pretestuoso e infondato anche sul piano del "diritto internazionale" (Risoluzione ONU 1973 che decretava la No-Fly Zone sullo spazio aereo libico), con il quale Francia, Gran Bretagna, USA, petromonarchi del Golfo, Turchia e Italia hanno iniziato i bombardamenti sistematici sulla Libia. Ora è del tutto irreale pensare che un tale groviglio inter-tribale possa essere sbrogliato nel breve-medio periodo. Quindi gli allarmi lanciati adesso dalla classe politica-burocratica e dal mainstream giornalistico suonano fasulli e grotteschi per due ordini di ragioni: primo, perché se non conoscevano la situazione interna libica e hanno avallato la guerra, avendo oltretutto l'Italia stipulato nell'agosto 2008 un Trattato di Amicizia e Cooperazione che vincolava i due Paesi, sono degli incompetenti del tutto inidonei a occuparsi degli affari pubblici; secondo, se sapevano e si sono nonostante ciò prestati a questa sporca operazione sono degli irresponsabili in malafade. Tertium non datur.


Spostandoci su scenari di ancor più stringente rilievo mediatico, assistiamo con preoccupazione all'evoluzione della questione dell'ISIS e dell'autoproclamato califfato islamico fra Iraq e Siria. La situazione è suscettibile di rapidi rivolgimenti, in ogni caso il blocco occidentale ha optato da alcune settimane per una linea più interventista. Come deve inquadrarsi l'affaire ISIS nell'ambito delle strategie 'mediorientali' dei grandi decisori politici occidentali?

PS: L'ISIS non è quella "strana creatura" saltata fuori dal nulla come vorrebbe far credere il circo mediatico internazionale, ma è il frutto di una lunga e laboriosa cooperazione tra diverse entità durata svariati anni. Com'è peraltro avvenuto anche con il suo "gemello" attualmente in disarmo: Al-Qa'ida, con la quale era in simbiosi fino a poco tempo fa. Non è infatti credibile che, in uno degli spazi più monitorati e tenuti sott'occhio dagli apparati di sicurezza di mezzo mondo, tale gruppo abbia potuto dilagare a sorpresa e conquistare in pochi giorni una così ampia fetta di territorio tra Siria e Iraq per stabilirvi il cosiddetto "Califfato islamico". Un'operazione, questa, che invece ha tutta l'aria di essere una risposta alle esigenze geopolitiche scaturite dalla sconfitta subita dalle milizie fondamentaliste in Siria, la quale poneva l'esigenza di spezzare quanto prima l'asse che, di fatto, lega vicendevolmente il regime siriano all'Iran. Tra i due Paesi, infatti, a dispetto dei piani statunitensi e israeliani sull'intera area a partire dal marzo 2003, è prevalsa in Iraq una realtà politico-sociale organica agli interessi iraniani, che non può che rappresentare un intralcio ai progetti di risistemazione del "Grande Medio Oriente". Da qui la repentina insorgenza di un gruppo su cui l'opinione pubblica occidentale non sapeva nulla, ma che è nata e prosperata sotto gli auspici di Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti Turchia e Israele. Tra l'altro l'autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, il cui nome pare essere Ibrahim al-Badri, è stato detenuto - tra il febbraio 2004 ed il 2009 - a Camp Bucca, in Iraq, fino a quando venne rimesso in libertà grazie all'indicazione di una commissione (Combined Review and Release Board) che ne raccomandò il "rilascio incondizionato". La sua liberazione suscitò lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di al-Baghdadi. Ciò spiegherebbe la riluttanza degli Stati Uniti a utilizzare i droni e la US Air Force per contrastare l'immediata avanzata del ISIS in Iraq, com'era insistentemente richiesto dal primo ministro iracheno al-Maliki. Mentre ora invece, grazie alla Risoluzione n. 2170 votata prontamente dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU, gli Stati Uniti e un'ampia coalizione internazionale di "volenterosi" intendono bombardare nuovamente la Siria per sconfiggere i terroristi dell'ISIS.


L'ultima grande offensiva israeliana contro Gaza si è svolta in un contesto politico regionale che ha subito rilevanti cambiamenti, soprattutto in ragione delle più volte richiamate "Primavere". Cosa ritiene che sia cambiato, se qualcosa è cambiato, nell'azione e nelle strategie politiche e militari israeliane in ragione dei rapidi rivolgimenti occorsi negli ultimi anni?

PS: Da un punto di vista strategico per Israele non cambia nulla, nel senso che le priorità dello Stato Ebraico rimangono le stesse tracciate fin dalla sua fondazione, come ho dimostrato nella prima parte del mio libro Divide et Impera. L'unica battuta d'arresto è dovuta all'inaspettata resistenza della Siria di Bashar al-Assad, che nelle previsioni iniziali doveva essere rovesciato e il Paese spezzettato su linee etnico-confessionali. Ma tutto ciò non è avvenuto anche grazie al veto in sede del Consiglio di Sicurezza ONU da parte di Russia e Cina, che hanno scongiurato la guerra contro la Siria. Per quanto riguarda invece i Territori occupati, i sionisti non fanno altro che seguire il medesimo copione di pulizia etnica cui si sono sempre attenuti, come abbiamo visto nel corso dell'ultima operazione denominata "Protective Hedge", che rende bene l'idea dell'ennesimo attacco genocidiario contro la popolazione civile palestinese. E ovviamente, as usual, sicuri della più completa impunità di fronte alla comunità internazionale.


Muovendoci al di fuori del "Grande Medio Oriente" troviamo un ulteriore grave scenario di crisi in Ucraina. Riscontra delle analogie fra la situazione in Ucraina e quella nei conflitti nel Vicino e Medio Oriente da lei analizzati, sul piano delle modalità d'intervento e delle strategie perseguite da USA ed altre potenze occidentali?

PS: In effetti le similitudini e i punti di contatto che si possono ravvisare tra ciò che sta accadendo in Ucraina e le "Primavere arabe" sono molteplici. Non a caso i rivolgimenti avvenuti nel corso degli anni in diversi paesi dell'Est sono stati definiti "Rivoluzioni colorate" per marcarne, appunto, l'eterodirezione e il supporto ricevuto dall'esterno. Basti solo pensare alla gestione mediatica delle varie crisi e al ribaltamento della realtà operati in questo come nei contesti mediorientali di cui si è parlato. In tale caso il sostegno al governo di Kiev burattino degli americani e le sanzioni alla Russia assediata dalla NATO mirano a indebolire sempre più la sua sfera d'influenza. E credo proprio che ciò non avvenga per caso, in quanto negli ultimi anni essa ha ritrovato una crescente capacità d'intervento e prestigio nel contesto geopolitico internazionale, come ha ben dimostrato la vicenda siriana dove se non vi fosse stato il veto russo all'interno del Consiglio di sicurezza ONU ci saremmo trovati dentro uno scenario bellico dagli esiti imprevedibili. Un'ulteriore analogia è rappresentata dalle forze in campo che, come nel caso delle "Primavere arabe", hanno supportato i "ribelli" presentati invariabilmente come dei sinceri rivoluzionari desiderosi d'instaurare dovunque la "democrazia". È un copione già visto, così come già viste sono le "Primavere" trasformatesi pressoché subito in rigidi Inverni, con buona pace degli Stranamore che vaticinavano scenari del tutto immaginifici. Sembra che il passato anche recente abbia sedimentato ben poco in termini di esperienza e di "esportazione della democrazia". Ma ce ne accorgeremo molto presto sulla nostra pelle cosa significa il dispiegamento della "strategia del caos", perché anche la realtà che ci circonda non è affatto immune da tale modus operandi, come constatiamo ogni giorno di più dalle cronache quotidiane. Tempo al tempo.