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Kobane, "Gli unici amici dei curdi sono le montagne"

di Costanza Spocci, Giulia Bertoluzzi - 07/10/2014

Fonte: pagina99





Tra i profughi della tendopoli di Suruç, al confine turco-siriano. La polizia di Ankara respinge la gente in fuga e permette ai militanti jihadisti di andare e venire. E blocca i peshmerga del Pkk che provano a passare per correre in soccorso della cittadina dove si combatte strada per strada
 
SURUÇ (KURDISTAN TURCO) - I marciapiedi della via principale di Suruç, sovraffollati dai 100 mila profughi scappati da Kobane, sono pattugliati dalla polizia turca e da carri carichi di materassi. Tutti i parchi e campetti giochi della città sono stati riallestiti a tendopoli, molte delle quali organizzate e finanziate direttamente da Suruç e dai comuni vicini. Addentrandosi nella zona industriale che il comune utilizza per stipare i beni di prima necessità, Faruk Tatli, responsabile della municipalità e membro attivo di Rojava, gesticola a un camion pieno di riso e farina che deve essere scaricato in magazzino per poi ripartire al più presto. “L’IS esisteva anche un anno fa e aveva già attaccato Kobane” commenta Faruk mentre decine di persone caricano e scaricano i camion in modo coordinato. “In quel periodo negli Stati Uniti e in Europa nessuno aveva idea di cosa fosse l’IS. Com’è possibile che ora sia all’ordine del giorno?”
Decine di volontari del posto sono accorsi, “il governo non ci ha aiutato” continua Faruk con due cellulari in mano che squillano, “e molte persone non accettano di dormire nelle tende che l’AFAD ha messo a disposizione, così abbiamo montato le nostre.” In molti hanno parte della famiglia in Turchia, e si sono quindi affidati al loro aiuto. Dei 160.000 profughi che sono stati registrati, solo 80.000 sono nelle tende di Suruç, mentre la maggioranza si è già sparpagliata in diverse parti della Turchia.
Erdogan ha riconosciuto formalmente sia la leadership di Barzani che la sovranità territoriale del Kurdistan Iracheno, con cui intrattiene oggi anche proficui scambi commerciali. “Lo stesso riconoscimento non è avvenuto per il PYD né per la regione di Rojava” precisa Oskan “e questo per due motivi: per il patto di non belligeranza con Assad e per la sua affiliazione con il PKK”. Ed è proprio a Kobane che la strategia turca si svela: Ankara attende con pazienza tattica, aspettando che l’YPG sia indebolito dagli attacchi dell’IS al punto tale da dover far ricorso ad un “aiuto” militare turco. In questo modo il PYD perderebbe significativamente il suo potere negoziale e potrebbe accettare le pressioni turche per entrare nella coalizione anti-Assad. Perché questo avvenga, però, Erdogan non può prescindere da un accordo con il PKK, con cui il PYD non solo condivide una visione politica di lungo termine, ma è anche l’unico attore in questo momento a sostenere PYD e YPG a Kobane.
“Nonostante i controlli dei militari turchi, la resistenza riesce ad entrare a Kobane per combattere” conferma Faruk. Quando gli chiediamo se sa quante unità del PKK siano passate al di là della frontiera, preferisce mantenere una risposta un po’ vaga. Tiene però a precisare: “in ogni caso, anche se ci fossero membri del PKK che entrano a Kobane, da lì in poi, in questa guerra, dobbiamo considerarli come parti integranti delle milizie dell’YPG”. Mentre le forze turche girano le spalle al confine e si concentrano a sparare e lanciare lacrimogeni contro gli abitanti di Suruç, tremila combattenti sono rimasti soli a resistere all’assedio dell’IS e con l’intensificarsi degli scontri si preparano alla guerriglia urbana. “Fatta eccezione per il PKK siamo completamente soli”, dice Kamiran, “i curdi non hanno amici all’infuori delle montagne”.