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“Perchè ho rotto con la sinistra”

di Jean-Claude Michéa - 14/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Se sono arrivato a rimettere in discussione il vecchio schema destra/sinistra - insieme, tra gli altri, a Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch - ritenendolo ormai una mistificazione, è semplicemente perché il compromesso storico siglato in seguito all'affare Dreyfus tra il movimento operaio socialista e la sinistra liberale e repubblicana (il "partito del movimento", dove il partito radicale e la massoneria volteriana dell'epoca marciavano fianco al fianco) sembra ormai aver esaurito tutte le sue qualità positive.


Fonte: Intervista raccolta il 12 Marzo 2013 dalla testata francese Marianne.

[...] I libri di Jean-Claude Michéa si fanno sempre desiderare. Qualcuno ne attende l’uscita con trepidazione, qualcun altro affila i coltelli. In primo luogo perché le parole di questo filosofo, ispirato dal pensiero di George Orwell, di Guy Debord e del miglior Marx, sono riportate molto di rado dai media. Inoltre, dato che appartiene ad una specie politicamente ambidestra, purtroppo così poco rappresentata e spesso fraintesa, Michéa si mostra crudele verso una sinistra liberale ridotta ad una caricatura di sé stessa, impegnata a valorizzare tutte le presunte trasgressioni morali e culturali, ma riesce a restare lucido di fronte all’incredibile cinismo dei leader della destra attuale (Sarkozy e Copé in testa) che si atteggiano a difensori del “popolo minuto”, in realtà la principale vittima del loro programma economico dedicato all’espansione illimitata degli interessi del CAC 40(1).

Diciamolo subito: “Mystères de la Gauche” (edito in Francia da Climats) è il libro che tutti noi, da molti anni, attendevamo da Michéa. Vi sono molti aspetti che giustificano quest’attesa. In primo luogo il suo rifiuto definitivo di riconoscere nella “sinistra” il fronte popolare di liberazione a cui fa appello nei suoi scritti. “La sinistra” è un significante-padrone fatto prostituire già da molti anni: Michéa lo considera ormai foriero di “inutili divisioni, dal momento che è necessario riunire le classi popolari.” Anche perché il filosofo risponde colpo su colpo alla “virata a destra” che gli viene regolarmente imputata. Così questo anti-capitalista conservatore ammette che l’attaccamento ai “valori tradizionali” può produrre delle derive inquietanti e che “su questo punto, i costanti allarmi lanciati dalla sinistra restano pienamente validi.” Una grande annata, quindi, per il filosofo orwelliano di Montpellier. Disturbante, pungente e spesso esilarante quando prende in giro l’autocelebrazione delle sinistra come “partito del domani” (Zola), Michéa riesce ad essere illuminante e quasi sempre convincente.

Marianne: Lei ritiene che sia urgente abbandonare il nome “sinistra”, cioè cambiare il significante che descriverà le forze politiche che prenderanno di nuovo in considerazione gli interessi della classe operaia … Questo nome non può più tornare in vita e superare le sue ferite storiche, i suoi fallimenti, il suo passato ingombrante? Lo stesso problema sussiste per la parola “socialismo”, che in origine indicava il mutuo soccorso operaio promosso da persone come Pierre Leroux e negli anni ’80 è diventato sinonimo delle pagliacciate à la Jack Lang. Non potremmo ravvisare, in questo desiderio di abolire un nome che ha fatto la storia, una sgradevole eco di quello spirito della tabula rasa che in altre occasioni ha denunciato in modo instancabile?

Jean-Claude Michea: Se sono arrivato a rimettere in discussione il vecchio schema destra/sinistra – insieme, tra gli altri, a Cornelius Castoriadis e Christopher Lasch – ritenendolo ormai una mistificazione, è semplicemente perché il compromesso storico siglato in seguito all’affare Dreyfus tra il movimento operaio socialista e la sinistra liberale e repubblicana (il “partito del movimento”, dove il partito radicale e la massoneria volteriana dell’epoca marciavano fianco al fianco) sembra ormai aver esaurito tutte le sue qualità positive. Difatti, se andiamo a studiarne le origini, si è trattato solo di un’alleanza difensiva siglata contro un nemico comune, incarnato all’epoca dall’onnipotente “reazione”. Quest’ultima era un patchwork di forze in gran parte pre-capitaliste che speravano ancora di restaurare in tutto o in parte l’Ancien Régime, in particolare il dominio incontrastato della Chiesa cattolica sulle istituzioni e sulle anime. Questa destra clericale, reazionaria e monarchica è stata definitivamente sconfitta nel 1945 e le sue ultime vestigia sono state spazzate via dal Maggio Francese (quella che oggi chiamiamo “destra”, nei fatti, indica gli ultras del liberalismo economico di Friedrich Hayek e Milton Friedman). Privato del suo nemico storico e dei suoi bersagli specifici (come la famiglia patriarcale o “l’alleanza tra il trono e l’altare”), il “partito del movimento” è stato immediatamente costretto, per mantenere la sua identità originaria, a perseguire a tempo indeterminato la sua opera di “modernizzazione” del mondo (che è il motivo per cui, oggi, “essere di sinistra” non significa altro che essere in testa a tutti i movimenti che lavorano per la costruzione della società capitalistica moderna, che vadano incontro o meno agli interessi del popolo, o finanche al semplice buon senso). Anche se i primi socialisti condividevano con i liberali e i repubblicani il rifiuto di tutte le istituzioni oppressive e portatrici di ineguaglianza dell’Ancien Régime, non avevano alcuna intenzione di abolire tutte le forme di solidarietà popolare tradizionale, neppure quindi di attaccare le fondamenta del “legame sociale” (perché questo è ciò che inevitabilmente accade quando si afferma di voler fondare una “società” moderna – ignorando tutti i dati dell’antropologia e della psicologia – esclusivamente sulla base di un accordo privato tra individui considerati come “indipendenti per natura”). La critica socialista degli effetti atomizzanti e distruttivi sull’umanità del credo liberale, secondo il quale il mercato e il diritto astratto sarebbero stati sufficienti a formare, secondo le parole di Jean-Baptiste Say, un “collante sociale” (Engels scrisse nel 1843 che l’ultima conseguenza di questa logica sarebbe stata un giorno la “dissoluzione della famiglia”), divenne quindi chiaramente incompatibile con il culto del “movimento” come fine in sé, di cui Eduard Bernstein aveva formulato il principio sin dalla fine del XIX secolo, proclamando che “il fine è nulla” e “il movimento è tutto”.Per liquidare quest’alleanza ormai priva di senso tra i sostenitori del socialismo e recuperare la sua indipendenza originaria, la “nuova” sinistra non dovette fare altro che imporre mediaticamente l’idea che qualsiasi critica dell’economia di mercato o dell’ideologia dei diritti umani (il “pomposo catalogo dei diritti dell’uomo” a cui Marx contrapponeva, ne Il Capitale, l’idea di un modesta “Magna Carta” capace di proteggere realmente le sole libertà individuali e collettive fondamentali) porterebbe ineluttabilmente al “gulag” e al “totalitarismo”. La missione è stata portata a termine alla fine degli anni ’70 da quella “nouvelle philosophie” che oggi è diventata la teologia ufficiale della società dello spettacolo. In queste circostanze, io continuo a pensare che oggi è diventato politicamente inefficace, se non pericoloso, continuare a promuovere un programma di ritiro graduale del capitalismo sotto le insegne esclusive di un movimento ideologico la cui missione emancipatrice è finita, in sostanza, quando la destra monarchica, reazionaria e clericale è definitivamente scomparsa dal panorama politico. Il socialismo è per definizione incompatibile con lo sfruttamento capitalistico. La sinistra, purtroppo, no. E se tanti lavoratori – autonomi o dipendenti – ormai votano a destra, o non votano per nulla, è spesso perché hanno percepito intuitivamente questa triste verità.

Marianne: Nel libro Mystères de la gauche, lei ricorda con molta efficacia i tanti crimini commessi dalla sinistra liberale contro il popolo, e soprattutto il fatto che le due repressioni degli operai più sanguinose dell’Ottocento sono ad essa imputabili. Eppure oggi, dopo che l’inventario critico della sinistra culturale mitterrandiana è divenuto banale, non possiamo ammettere che i socialisti sono cambiati? Si sono verificate diverse prese di coscienza importanti. Una tra queste, ad esempio, è stata il lungo abbandono della classe operaia: un fenomeno recente, ma reale. Anche sulle questioni in materia di sicurezza, non si può dire più che Manuel Valls incarni una sinistra permissiva e buonista. Dalle sue parole traspare l’impressione che la sinistra, in linea di principio, non riuscirà mai a riformarsi. È questa la conclusione a cui giunge?

J.-C.M. : Quello che mi colpisce di più è che le cose vanno esattamente come avevo previsto. Dal momento in cui, nei fatti, la sinistra e la destra si sono accordate nel considerare l’economia capitalista come l’orizzonte ultimo del nostro tempo (non è un caso che Christine Lagarde sia stata nominata direttrice del Fondo Monetario Internazionale per poi perseguire la stessa politica di Strauss-Khan), era inevitabile che la sinistra – una volta tornata al potere indossando la rigida veste dell’”unica alternativa” – cercasse di nascondere alle urne questa complicità ideologica sotto la cortina fumogena delle sole questioni “sociali”. Da qui l’attuale e desolante spettacolo. Ora il sistema capitalistico globale si sta dirigendo in tutta calma verso l’iceberg, stiamo assistendo ad una surreale e feroce lotta tra coloro la cui unica missione è difendere tutte le implicazioni antropologiche e culturali di questo sistema e coloro che devono far finta di combatterlo (il presupposto filosofico comune di tutti questi liberali è, naturalmente, il diritto assoluto di ogni individuo di fare ciò che vuole con il suo corpo e il suo denaro). Ma non ho il merito di descrivere qualcosa di nuovo. Questo è ciò che Guy Debord annunciava già vent’anni fa: i futuri sviluppi del capitalismo moderno avrebbero necessariamente trovano il loro principale alibi ideologico nella lotta contro il “razzismo, l’omofobia e l’anti-modernismo” (da qui, egli aggiunge, il “neo-moralismo indignato che mettono in scena le pecore dell’attuale intellighenzia”). Per quanto riguarda le posture marziali di un Manuel Valls, si tratta solo di una strategia comunicativa. La vera posizione della sinistra su questi temi è ovviamente quella di un ex groupie di Bernard Tapie e di Edouard Balladur come Christiane Taubira.

Marianne: A differenza di altri, ciò che la tiene ancora lontano dalla “sinistra della sinistra”, dai movimenti anti-globalizzazione o dagli altri indignati, non è l’invocazione di un passato totalitario da rinfacciare ai cuginetti comunisti… Piuttosto è la base liberale di questi movimenti: l’individuo isolato che manifesta per il diritto di restare un individuo isolato, citando le sue parole. Ad ogni modo, non vi è alcuna di queste lotte o di questi movimenti verso cui ha avvertito una certa affinità negli ultimi anni?

J.-C.M. : Se si ammette che il capitalismo è diventato un fatto sociale totale (inseparabile, in quanto tale, da una cultura e da un modo di vivere specifici) è chiaro che i critici più lucidi e radicali di questa nuova civilizzazione si trovano dalla parte dei sostenitori della “decrescita”. Intesa, naturalmente, non come una “crescita negativa” o un’austerità generalizzata (come vorrebbero farci credere, ad esempio, Laurence Parisot o Najat Vallaud-Belkacem), ma come la necessità di rimettere in questione uno stile di vita quotidiano alienante, basato – citando Marx – sulla sola necessità di “produrre per produrre ed accumulare per accumulare.” Uno stile di vita necessariamente privo di ogni reale senso umano, iniquo (dal momento che la logica di accumulazione del capitale porta inevitabilmente a concentrare la ricchezza ad un polo della società mondiale e l’austerità, ossia la miseria, all’altro polo) e, in ogni caso, impossibile da universalizzare senza contraddizione in un mondo dove le risorse naturali sono, per definizione, limitate (sappiamo, infatti, che sarebbero necessari diversi pianeti per estendere a tutta l’umanità il tenore di vita dell’americano medio di oggi). Noto con interesse che queste idee di buon senso – anche se presentate sempre in un modo caricaturale e fuorviante dalla propaganda mediatica e dai suoi economisti prezzolati – stanno cominciando a essere comprese da un pubblico sempre più ampio. Auguriamoci solo che non sia troppo tardi. Nulla può garantire, infatti, che il crollo inevitabile del nuovo Impero Romano globalizzato dia vita ad una società decente, piuttosto che a un mondo barbaro, sbirresco e mafioso.

Marianne: In questo libro lei riafferma la sua fede nell’idea che il popolo sarebbe depositario di una “decenza comune” ["common decency", secondo l'espressione coniata da George Orwell] avversata dalle “élite” liberali sin dal principio. Ma, in tutta sincerità crede che oggi sia l’attaccamento ai valori morali a definire il “popolo minuto di destra”, come ha riportato? La scomparsa delle strutture sociali tradizionali, insieme alla de-cristianizzazione e all’impatto dei flussi mediatici di cui lei descrive gli effetti catastrofici sulla cultura, ha colpito duramente anche queste classi. Non crede di farsi delle illusioni – nobili, certo, ma piuttosto irrealistiche – nel considerarle come l’unico terreno fertile per un “riarmo” morale e politico?

J.-C.M. : Se tra le classi popolari che votano per i partiti di destra non ci fosse ancora un solido attaccamento all’idea orwelliana che ci sono “cose ​​che non si fanno”, non potremmo capire perché i leader di questi partiti sono costantemente costretti a simulare o a esaltare grottescamente la propria adesione incrollabile ai valori della decenza comune. Anche quando in realtà questi leader credono, per citare un recente discorso dell’ideologo liberale Philippe Manière, che solo il “desiderio di lucrare” possa sostenere “moralmente” la dinamica del capitale (in questo senso, è sicuramente più difficile essere un politico di destra che un politico di sinistra). Questo è anche il motivo per cui il popolo minuto di destra è strutturalmente condannato alla disperazione politica (da qui l’inclinazione logica, che nasce oltre una certa soglia di delusione, per il voto di “estrema destra”). Nelle parole del critico radicale americano Thomas Franck, questo popolo minuto vota per il candidato di destra credendo che solo lui possa ristabilire un po’ d’ordine e di decenza in questa società senz’anima e, in ultima analisi, l’unica cosa che finisce per ottenere è la privatizzazione delle centrali elettriche! Detto questo, credo che lei abbia ragione. La logica dell’individualismo liberale, minando in continuazione tutte le forme di solidarietà popolare ancora esistenti, nello stesso momento distrugge necessariamente le condizioni morali che rendono possibile la rivolta anti-capitalista. Ecco la ragione per cui quest’epoca si sta muovendo sempre di più contro la vera libertà e la vera felicità degli individui e dei popoli. L’esatto contrario, infatti, della tesi sostenuta dai fanatici della religione del progresso.

Les Mystères de la gauche, di Jean-Claude Michéa, Climats, 144 p., 14 €.

1: CAC40 indica l’indice borsistico francese che raccoglie le 40 azioni più rilevanti della Borsa di Parigi. Il 46,7% dell’azionariato è detenuto da investitori stranieri, in buona parte fondi d’investimento americani.

Traduzione a cura di Stefano Bruno (riproduzione riservata)