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Italia: portaerei a stelle e strisce

di Alvise Pozzi - 28/10/2014

Fonte: L'intellettuale dissidente


Come nell’antica Roma vi erano popoli clienti che non erano altro che uno strumento per la strategia difensiva nelle mani dell’Impero; così nella moderna visione egemonica statunitense, le basi dislocate in mezzo mondo – in barba a qualsiasi diritto internazionale o parlamento nazionale – sono le pedine indispensabili per il mantenimento dell’ordine mondiale a stelle e strisce.

  

Ufficialmente sul suolo italiano non ci sono basi americane. Le infrastrutture, i presidii, le armi e gli equipaggiamenti sono legalmente semplici distaccamenti ospiti all’interno di basi italiane destinate alla NATO, ma ovviamente la realtà è ben diversa. Lo stesso numero dei siti dove si trova personale statunitense varia dai 59 indicati dallo stesso Pentagono1 ai 113 individuati da A. B. Mariantoni nella sua approfondita ricerca sul territorio2. Vi sono basi dell’esercito, della marina, dell’aviazione e quelle dell’NSA; oltre alla task force sudeuropea, ai depositi di armamenti e ai centri di ascolto e sorveglianza.

I militari di stanza in Italia sono circa 13mila (più 16mila familiari) e il loro numero è stabile da quando è crollata la cortina di ferro. È come se la Guerra Fredda nel nostro Paese non fosse mai terminata, con un’unica grossa differenza: la presenza statunitense non è più qua per difenderci da un improvviso attacco sovietico, ma per altri scopi e interessi che riguardano i Balcani, il Medio Oriente e l’Africa. L’accordo bilaterale, tuttora segreto, che regola la presenza e lo status delle forze dislocate nella penisola venne stipulato nel 1954 all’interno del contesto NATO; eppure le basi furono ampiamente utilizzate contro l’Irak, la Serbia, in Bosnia e in Libia per guerre in cui l’Alleanza Atlantica – di natura esclusivamente difensiva – non c’entrava assolutamente nulla.

L’Italia, per la sua conformazione e la sua posizione geografica, è la piattaforma di lancio ideale per le future guerre in Medio Oriente e Africa, nonché una eccellente base navale per il controllo del Mediterraneo. Nel 2005 infatti la US Navy ha trasferito proprio il suo quartier generale da Londra a Napoli e ha investito 300 milioni di dollari nel rinnovo della base aerea di Sigonella, rendendola la seconda base aereonavale più trafficata d’Europa da cui partono i droni di sorveglianza Global Hawk e gli aerei P-3. L’esercito ha raddoppiato la Dal Molin – ora ribattezzata caserma Del Din – in provincia di Vicenza che ospita due battaglioni della 173ª brigata aviotrasportata, uno di artiglieria con capacità nucleare, tre compagnie del genio e l’importante stazione di telecomunicazione. Poi c’è la nota base aerea di Aviano – la più grande dell’USAF in Italia – al cui interno si presume vi siano bombe atomiche stipate nei bunker sotterranei e dalla quale si effettuarono più di 9.000 missioni nei 78 giorni di guerra contro la Serbia nel 1999; il centro di San Bartolomeo, non meglio precisato centro ricerche per la guerra subacquea; Camp Darby in Toscana, sede del più grande centro logistico del Mediterraneo per lo stoccaggio della riserva strategica di armi e munizioni; la base navale di Gaeta sede della VIª Flotta e quella dei sommergibili a Napoli, oltre a svariate stazioni di telecomunicazioni, antenne, radar e depositi disseminati praticamente ovunque nel Belpaese.

L’utilizzo della penisola italiana come enorme portaerei statunitense deriva però anche dalla precisa strategia che vede l’allontanamento delle basi americane dai due paesi vinti più ricchi – Germania e Giappone – verso nazioni più povere e diplomaticamente irrilevanti – come appunto l’Italia e la Corea del Sud – più accondiscendenti sullo status delle forze dislocate e maggiormente sensibili alle pressioni politiche ed economiche di Washington. Come rivelò il dispaccio reso pubblico da Wikileaks: il governo italiano concesse subito al Pentagono “tutto ciò che voleva.”3

Come nell’antica Roma vi erano popoli clienti che, mentre attendevano il giusto grado di sviluppo politico ed economico dei propri regni in vista di una futura integrazione, non erano altro che uno strumento per la strategia difensiva nelle mani dell’Impero4; così nella moderna visione egemonica statunitense, le basi dislocate in mezzo mondo – in barba a qualsiasi diritto internazionale o parlamento nazionale – sono le pedine indispensabili per il mantenimento dell’ordine mondiale a stelle e strisce. Basi come Gibuti nel Corno d’Africa, Diego Garcia nell’Oceano Indiano, Bahrein e Qatar nel golfo Persico, Bulgaria, Romania, Ucraina nell’est Europa, Australia, Guam e Filippine nel Pacifico, Colombia e Guantanamo in Sudamerica non sono altro che i primi bastioni della linea difensiva del Pentagono.

 1http://www.tomdispatch.com/blog/175755/tomgram%3A_david_vine%2C_the_pentagon%27s_italian_spending_spree_

2 http://www.kelebekler.com/occ/busa.htm

 

3Mel Sembler – ambasciatore statunitense in Italia (2001-2005) – nel dispaccio svelato da Wikileaks e pubblicato dal Guardian. Incluso l’insabbiamento del caso Calipari.

4 E. Luttwak: La Grande Strategia dell’Impero Romano, Bur, Milano 1981.