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Pasticcio pakistano a Washington

di Michele Paris - 19/11/2014

Fonte: Altrenotizie


    

Nel relativo disinteresse dei media americani, una ex diplomatica molto vicina alla famiglia Clinton è finita qualche giorno fa sotto indagine nell’ambito di un’operazione di contro-spionaggio condotta dall’FBI. La donna, Robin Raphel, è considerata una delle voci più autorevoli a Washington tra quelle che appoggiano una partnership più solida degli Stati Uniti con il Pakistan e, pur non essendo stata finora incriminata formalmente, nei suoi confronti graverebbe l’accusa di avere fornito informazioni riservate proprio al governo di Islamabad.

Quando l’FBI ha fatto visita all’abitazione di Robin Raphel una decina di giorni fa, i giornali hanno subito ipotizzato che la ex funzionaria del Dipartimento di Stato avesse sottratto documenti classificati, per condividerli appunto con le autorità pakistane.

Se nei suoi confronti verrà aperto un formale procedimento non è ancora chiaro, ma il suo nulla osta di sicurezza è già stato sospeso, mentre il Dipartimento di Stato l’ha di fatto sollevata dal suo incarico nel del team assegnato alle questioni relative a Pakistan e Afghanistan.

Visto il silenzio che prevale sulla vicenda all’interno del governo USA, risulta al momento difficile comprendere quali siano i reali motivi o le ramificazioni dell’indagine ai danni di Robin Raphel. Tuttavia, le possibili implicazioni del caso si possono facilmente dedurre dal suo curriculum e dai suoi legami politici a Washington.

I giornali d’oltreceano hanno definito la donna come una presenza fissa nei circoli diplomatici degli Stati Uniti negli ultimi decenni. Nata Robin Johnson nel 1947 nello stato di Washington, la ex diplomatica aveva iniziato a lavorare per il governo come analista della CIA per poi giungere per la prima volta in Pakistan negli anni Settanta come funzionaria della famigerata Agenzia Americana per lo Sviluppo Internazionale (USAID), con la quale gli USA distribuiscono aiuti economici e umanitari (e spesso spionaggio) a seconda dei propri interessi strategici.

Robin Rapel era già stata coinvolta in una vicenda dai contorni oscuri un quarto di secolo fa, sia pure in maniera indiretta. Nel 1988, infatti, il suo ex marito, l’ambasciatore USA a Islamabad Arnold Raphel, era morto assieme all’allora presidente pakistano, generale Zia ul-Haq, in un incidente aereo avvenuto in circostanze mai interamente chiarite.

I suoi rapporti con il Pakistan sono sempre rimasti molto solidi, come confermano i toni celebrativi dei giornali indiani nei giorni scorsi, i quali hanno ricordato tra l’altro come Robin Raphel fosse giunta in passato a mettere in discussione le fondamenta su cui Nuova Delhi basa la propria sovranità sul Kashmir.

Proprio al Pakistan è così legata quasi tutta la carriera della ex diplomatica americana. Nel 1992 fu il presidente Clinton a nominarla a sorpresa alla carica di assistente segretario di Stato per l’Asia centrale e meridionale. In questa veste, Robin Raphel aveva anche incontrato i vertici del regime talebano in Afghanistan per promuovere la costruzione di un mai realizzato gasdotto e di un oleodotto che avrebbero dovuto collegale il Turkmenistan al Pakistan.

Dopo altri incarichi, tra cui quello di ambasciatrice USA in Tunisia a partire dal 1997, Robin Raphel decise di lasciare il Dipartimento di Stato nel 2005, anche se il Pakistan sarebbe rimasto al centro dei suoi interessi professionali. Infatti, due anni dopo fu assunta dalla compagnia di consulenza Cassidy & Associates, lavorando come lobbista a favore di vari governi stranieri, tra cui ovviamente quello di Islamabad.

Il suo ritorno al governo fu deciso poi sempre da un membro della famiglia Clinton, poiché fu Hillary nel 2009 a chiamarla nuovamente al Dipartimento di Stato guidato dalla ex first lady, assegnandola allo staff di Richard Holbrooke, a sua volta appena scelto come inviato speciale dell’amministrazione Obama per l’Afghanistan e il Pakistan.

Secondo quanto riportato dalla testata conservatrice Washington Free Beacon, quest’ultima nomina era avvenuta solo pochi giorni dopo la cancellazione della sua registrazione da lobbista per un governo straniero, contravvenendo perciò alla legge che prevede, per personalità che svolgono impieghi simili, un’attesa di almeno due anni prima di essere assunte dal governo.

Inoltre, la compagnia Cassidy & Associates si sarebbe messa in contatto con la stessa Raphel nemmeno un mese dopo il suo ritorno al Dipartimento di Stato, in modo da sfruttare precocemente i legami precedenti per promuovere politiche favorevoli al Pakistan. In particolare, la società di lobbying era interessata alla discussione “delle priorità e dei meccanismi” relativi alla gestione dei fondi e degli aiuti da destinare al paese centro-asiatico.

Secondo i media americani, d’altra parte, Robin Raphel nel suo ultimo incarico di governo avrebbe controllato la gestione di aiuti “non militari” a favore del Pakistan per oltre 7 miliardi di dollari.

I suoi guai con l’FBI non sembrano in ogni caso essere legati né a quest’ultimo aspetto del suo incarico né al conflitto di interessi emerso al momento del ritorno al Dipartimento di Stato. Una fonte governativa anonima ha invece spiegato alla CNN che un’indagine di contro-spionaggio come quella in corso “ha a che fare solitamente con accuse di avere passato informazioni a governi stranieri”.

Per altri ancora, come ha scritto l’agenzia di stampa indiana Aninews, se un comportamento illegale da parte di Robin Raphel c’è effettivamente stato, si tratterebbe esclusivamente di “negligenza” nel trattare documenti classificati oppure l’FBI intenderebbe fare pressioni sulla donna per ottenere informazioni su altre persone al centro delle indagini.

Quel che è certo è che Robin Raphel deve avere avuto nemici e detrattori molto potenti nell’apparato militare e dell’intelligence degli Stati Uniti vista la sua posizione tutt’altro che comune riguardo al Pakistan. Negli ultimi anni i rapporti tra Washington e Islamabad si sono infatti deteriorati in seguito alle continue violazioni della sovranità pakistana da parte americana a causa dei ripetuti bombardamenti con i droni per colpire presunti terroristi islamici.

Da parte sua, il governo americano ha spesso puntato il dito contro il Pakistan in maniera più o meno esplicita, accusando soprattutto i servizi di intelligence di appoggiare segretamente alcuni gruppi fondamentalisti, così da mantenere una certa influenza sulle vicende del vicino Afghanistan.

Per la stessa agenzia indiana Aninews, poi, anche alcuni funzionari del Dipartimento di Stato sarebbero concordi nel definire “straordinaria” la capacità di Robin Raphel di “avvelenare le acque della diplomazia in relazione alle questioni di India e Pakistan”.

In quest’ottica, la sorte di Robin Raphel potrebbe inserirsi nel riassetto delle priorità strategiche americane in Asia centrale, in concomitanza con il ritiro della gran parte delle truppe da combattimento dall’Afghanistan a fine anno e con l’intensificarsi degli sforzi per rafforzare la partnership strategica con l’India.

Alla luce delle inclinazioni decisamente favorevoli al Pakistan attribuitele dai media, sarebbe d’altronde facile far credere a una sua attività spionistica per il governo di questo paese. Se così fosse, poi, le reazioni quasi euforiche registrate nei giorni scorsi sui giornali indiani dopo il suo congedo forzato dal Dipartimento di Stato confermerebbero ampiamente che Nuova Delhi ha recepito il messaggio proveniente da Washington.

Tutt’altro che da escludere è infine la possibilità che l’indagine ai danni della 67enne ex diplomatica possa rappresentare anche un colpo basso per mettere in imbarazzo Hillary Clinton, proprio mentre sta per prendere il via la corsa alla successione di Obama e la ex senatrice di New York appare come la logica favorita per il Partito Democratico.

Come già ricordato, Robin Raphel deve d’altra parte molto alla famiglia Clinton e soprattutto all’ex presidente, con il quale era entrata politicamente in sintonia fin dai tempi del loro primo incontro in Inghilterra sul finire degli anni Sessanta, quando i due erano studenti poco più che ventenni rispettivamente all’università di Cambridge e a quella di Oxford.