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Professionisti della provocazione e del piagnisteo

di Enrico Galoppini - 24/02/2015

Fonte: Il Discrimine

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passeggiata_parigiCosa vorrà mai “dimostrare” un “cronista israeliano” che, girando per dieci ore a Parigi indossando il copricapo degli ebrei osservanti, “riceve minacce e sputi”? E persino… “minacce omofobe”?

Voleva “testare se la capitale francese sia un posto sicuro per la comunità ebraica”. Tutto bene, pare di capire, finché l’israeliano finto-religioso, ha girottolato per il centro. Ma dopo aver passeggiato nelle banlieue, abitate in prevalenza da maghrebini e africani “antisemiti”, ha ricevuto la “risposta” che s’aspettava: Parigi non è un posto sicuro per gli ebrei.

Queste a casa mia si chiamano provocazioni.

Cosa pensava di trovare passeggiando in mezzo ad immigrati o cittadini francesi di seconda o terza generazione di origine araba? Non sa che il suo “Israele” è associato – volente o nolente – a tutti i disastri che affiggono il mondo arabo-musulmano?

È tutta questione di “pregiudizi” o quest’ostilità ha un suo perché?

Certo, gli arabi, i musulmani hanno usato e continuano ad usare Israele come scusa per coprire malamente tutti i loro pasticci. Ma non si venga a dire che Israele dovrebbe essere amato e rispettato da costoro, perché sarebbe come provare buoni sentimenti verso chi per prendersi la tua casa non ha esitato a sparare a te e ai tuoi familiari.

S’immagini cosa succederebbe ad un arabo che, vestito da pio musulmano o da fedayn palestinese (il tipo poteva sembrare anche un “colono” israeliano), s’aggirasse per certi quartieri di Gerusalemme abitati praticamente solo da “ebrei ultraortodossi” (non sia mai detto che i si chiami “integralisti”). Non credo che passerebbe inosservato, e forse non se la caverebbe solo con qualche commento o sputacchio. E figuriamoci cosa accadrebbe se quest’inedito ed improvvido ‘attore’ tentasse l’attraversamento del Ghetto di Roma o del quartiere ebraico della stessa Parigi. Luoghi poco sicuri anche per gli italiani ed i francesi d.o.c. individuati da attenti ‘servizi’ d’ordine’ interni come “indesiderati” o “potenzialmente pericolosi”. A Roma è successo infatti più d’una volta che persone subito ‘avvistate’ per il loro abbigliamento siano state insultate e malmenate.

Il ‘passeggiatore israeliano’ si era comunque prefissato di battere sul chiodo fisso della propaganda sionista, fin dall’inizio: convogliare tutti gli ebrei del mondo in Palestina, pardon Israele, per rimpolpare i ranghi della popolazione israeliana.

betarberlin1936biszd7Per giungere a quest’obiettivo, ancora ben lungi dall’essere realizzato, era necessario far sentire l’ebreo in pericolo ovunque. Ne hanno provate di tutte, anche alleandosi e addirittura spalleggiando i più accesi movimenti antiebraici. Stiamo parlando dei sionisti, di una certa élite, ché la massa degli ebrei, quella che insomma non cede alle sirene della “migrazione” (o “ascesa” al Monte del Tempio), se n’infischia altamente d’Israele, capendo perfettamente perché e per come è stato istituito questo unicum tra gli Stati del mondo, dove non si vuol mai far capire se la preminenza ce l’ha l’etnia o la religione, o tutt’e due insieme. E, soprattutto, dove il ruolo del non ebreo/israeliano è quello di “ospite” più o meno tollerato, autoctoni compresi.

Nei paesi arabo-musulmani, dove gli ebrei avevano sempre vissuto senza troppi patemi d’animo, l’esodo si ebbe solo dopo la nascita del cosiddetto “Stato d’Israele”, al quale fecero seguito, per esacerbare i sentimenti anti-ebraici delle popolazioni arabe, dall’Egitto all’Iraq, ripetute provocazioni ad opera del Mossad.

Ogni trucco è buono per convincere gli ebrei che prima o poi dovranno lasciare la loro patria a favore della loro vera ed unica destinazione. Allo stesso tempo, i non ebrei devono essere coinvolti in questo psicodramma, che da un lato sfrutta la “vicinanza” ideale e morale con gli ebrei sviluppata dopo la Seconda guerra mondiale, dall’altro indirizza le preoccupazioni degli uni e degli altri verso l’immigrato arabo minaccioso.

Davvero incredibile quest’ultimo passaggio, perché proprio i rappresentanti delle “comunità ebraiche” dei Paesi europei sono sempre stati in prima fila nel predicarci le virtù della società multietnica e multireligiosa. Ed ora che anche loro hanno contribuito a rendere intere parti delle nostre città a immagine e somiglianza delle medine del Maghreb, ci vogliono mettere paura imbarcandoci in un bega, quella che ha Israele coi paesi arabi e islamici, dalla quale dovremmo stare solo alla larga.

Perché il danno l’hanno fatto loro, e solo loro, spalleggiati dall’Inghilterra prima e dall’America poi. Mentre noialtri europei e mediterranei mai avremmo avuto di che preoccuparci se, punto primo, avessimo tirato diritto nella politica mediterranea indicataci dai nostri migliori statisti; punto secondo, se non avessimo ceduto al ricatto dell’immigrazione facile e della relativa ideologia, che annovera tra i suoi campioni anche il fior fiore dell’ebraismo militante, alleato degli arcobalenisti, dei cattocomunisti e compagnia “accogliente”.

Ormai, signori, il danno è fatto. Se non vi piace farvi una passeggiata nelle banlieue di Parigi o nel Londonstan, evitatele e fatevene una ragione. Anche gli italiani, i francesi ecc., sapete, evitano accuratamente certe zone delle loro città; ma a differenza vostra, qualora la situazione diventasse ovunque invivibile non saprebbero dove scappare.

flotillaMentre voi sapete almeno dove rifugiarvi quando non ne potete più, serrando la porta e spianando il mitra. Come del resto avete dato ampia prova di saper fare, costruendo “muri” e strade solo per voi, demolendo case ed abbattendo olivi, e trucidando, nell’autoassoluzione più completa, anche chi – gli attivisti della Freedom Flotilla – tentava di avvicinarsi alle vostre coste solo per “dimostrare” qualcosa.

Smettetela, per favore. Smettetela di sentirvi sempre minacciati. Di concepirvi come il centro del mondo. D’inscenare drammi solo se le vittime siete voi. Uscite dal vostro incubo e vi accorgerete che a Parigi, a Londra o in qualsiasi altra grande città di questo mondo “globalizzato”, nessuno in fondo sta bene e tutti, alla fine, almeno qualche volta, hanno avuto paura.