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Caratteristiche della nuova guerra neocapitalista

di Eugenio Orso - 03/03/2015

Fonte: Pauperclass


Tutte le guerre finiscono, lasciando dietro di sé una scia di morte e distruzione, o almeno così è stato fino in tempi recenti, nel caso di guerre fra stati sovrani o delle guerre cosiddette civili all’interno degli stati stessi. Il disegno geopolitico delle élite neocapitaliste occidentali, che utilizzano come strumenti principali la potenza usa e l’alleanza atlantica, nella sua realizzazione ha comportato un “mutamento dell’angolo visuale” e nuove soluzioni di morte e distruzione per “costruire” progressivamente il nuovo ordine mondiale, di natura nuovo-capitalistica e finanziaria.

Con il senno di poi è facile osservare che alle “rivoluzioni colorate”, connotate da un elemento cromatico a sfondo psicologico, ampiamente twitterate e sostenute dall’apparato ideologico-massmediatico occidentale, si sono sostituite le infiltrazioni di mercenari e combattenti stranieri, negli stati ribelli da destabilizzare. Costoro vanno subito al sodo, cioè trucidano, sgozzano, bombardano, demoliscono. Non puntano a sovvertire l’ordine costituito con oceaniche manifestazioni di popolo, per quanto manipolate e indotte, più o meno pacifiche e reclamanti la “democrazia”. Oppure, nel corso di manifestazioni e disordini, ampliano la frattura, portano al limite lo scontro con il cecchinaggio indiscriminato, il lancio di ordigni esplosivi e incendiari, gli attacchi armati alle forze di sicurezza, come nel caso del Maidan ucraino.

Le infiltrazioni armate di professionisti della guerra e del terrore, o di lanzichenecchi avidi di emozioni violente e bottino (i foreign fighters dell’isis o di al-nusra), scatenano un conflitto inestinguibile, sanguinoso per la popolazione e distruttivo per le infrastrutture, in cui i primi obbiettivi sono il popolo stesso e le strutture che alimentano la vita civile, politica ed economica nel paese. La situazione libica e quella medio-orientale, con Siria e Iraq in prima fila, sono le prove più evidenti di questo mutamento di strategia che possiamo chiamare di “destabilizzazione permanente”. Si realizza, così com’era nelle intenzioni di G. W. Bush e dei neocon che lo manovravano, la “guerra infinita”. Una guerra non contro il terrore, come si dichiarava propagandisticamente ai tempi di Bush junior, ma – nel tempo di Obama e del millantato softpower – disseminata di “false flag”, finalizzata a fomentare e perpetuare il terrore. L’obbiettivo non era e non è tanto un “nuovo secolo americano”, quanto un nuovo secolo completamente omologato in senso neocapitalistico-finanziario, con la società individualistica di mercato statunitense quale modello replicabile nei paesi controllati. Negli altri, si procede eliminando le resistenze con le buone (colpo di stato relativamente incruento, ferreo controllo sopranazionale degli stati come nell’eurozona), ma soprattutto con le cattive (destabilizzazione permanente e guerra inesauribile).

Per comprendere meglio la situazione geopolitica attuale, dobbiamo sostituire il concetto di “impero americano”, di “popolo indispensabile” o anche di “lonely superpower” con riferimento agli usa (ormai percepiti come superpotenza criminale, secondo S. Huntington), con quello più aderente alla realtà di classe dominante neocapitalista, su base global-finanziaria. Gratta la potenza usa – non più solitaria e indiscussa in un abbozzo di divisione del mondo in blocchi (Russia, Cina, Brics) – e sotto trovi una classe sociale postborghese vampiresca, che fonda le sue fortune e il suo dominio sulle speculazioni finanziarie, i ricatti ai popoli, l’economia di rapina e naturalmente la guerra. Una guerra proposta in versione 2.0, come quella dell’isis nel mondo arabo o degli euronazisti nel Donbass ucraino.

Il cosiddetto network del terrore universalmente noto come al-qaeda non bastava più, così com’erano insufficienti le “rivoluzioni colorate”, che potevano non andare a buon fine (vedi il fallimento della “rivoluzione verde” in Iran, nel 2009) mancando l’obbiettivo di installare stabilmente nel paese un governo favorevole all’occidente, se non proprio fantoccio. Ci voleva qualcosa di più forte, di matrice islamica nel mondo arabo – un’interpretazione della religione bellicosa e crudele, con forti elementi ideologici, in grado di terrorizzare per l’efferatezza dei suoi crimini – e una nuova, cupa forma di nazismo, con il suffisso euro e la complicità della nato, nell’oriente Europeo, nel Baltico e soprattutto nei Balcani profondi (Ucraina). Target primari di queste guerre, sporche che più sporche non si può, Gheddafi, Assad, la Russia, l’Iran e i rispettivi popoli.

Notiamo che nella nuova guerra neocapitalista gli eserciti regolari e nazionali passano in secondo piano, se non sono addirittura surclassati da milizie agguerrite, ben pagate, bene equipaggiate e senza scrupoli, come quelle dello stato islamico, pompate con dollari, droga, carte di credito e viagra per le violenze sessuali. Emerge una sorta di “privatizzazione della guerra” in linea con lo spirito del neocapitalismo ultraliberista, perché il conflitto è affidato a mercenari, avventurieri e “volontari” di ogni fatta (i già citati foreign fighters islamosunniti, i baltici e altri volontari euronazi nel Donbass), nonché a gruppi armati costituiti da oligarchi/signori della guerra locali (come Kolomoisky e Akmatov in Ucraina) e ad agenzie private “di sicurezza” che offrono a pagamento i loro servigi, il più delle volte criminali (ad esempio l’americana blackwater-academi). I capi dei “volontari” non sono certo idealisti che rischiano la vita per realizzare i loro ideali, se islamici ortodossi per “vivere come gli antenati” (i primi compagni meccani del profeta e gli ansar convertiti di Medina/Yathrib), ma individui senza scrupoli che agiscono per i soldi e il potere. Pensiamo al capo militare dell’isis in Siria, reduce dalla sconfitta di Kobane, il georgiano convertito Tarkhan Batirashvili, diventato Omar al-Shishani dopo la conversione all’islam sunnita per andare in Siria a combattere. Secondo il padre, cristiano ortodosso che vive in Georgia, questo individuo, ufficiale mancato dell’esercito georgiano, fanatico di armi ed ex galeotto, partì in fretta e furia per la Siria principalmente per i soldi che avrebbe potuto mettersi in tasca. Poi, fece carriera e divenne uno dei capi dei tagliagole. Oppure si tratta di ricchi oligarchi (diventati “magnati della guerra”), come nel caso dell’ebreo ucraino Kolomoisky, che comprano i miliziani a suon di dollari e dominano con le milizie armate i territori sconvolti dal conflitto, con un occhio ai loro personali interessi (un ebreo che foraggia e muove gli euronazisti!).

E pensare che c’è qualche rimbambito di giornalista che crede – senza fare nomi, Massimo Fini – o qualche furbetto di politico che finge di crederci – continuando a non fare nomi, Di Battista del 5 stelle – che i tagliagole dello stato islamico sunnita, affluiti a migliaia da tutto il mondo e anche dall’Europa, siano mossi dal bisogno di nobili ideali e giustizia, tradizioni incrollabili e solidi valori da contrapporre con forza al vuoto occidentale!

La potenza neocapitalista americana, assieme agli “alleati”, dove serve ci mette gli aerei, i droni, le portaerei nucleari, gli addestratori e gli invii di armamenti e logistica – contrastando addirittura i suoi protetti, ma senza annichilirli del tutto, come nel caso dei bombardamenti aerei sull’isis – ma non impiega intere divisioni sul terreno. Si limita, così, l’impatto del costo della guerra sul bilancio federale, anche se per la destabilizzazione dell’Ucraina, fino a Maidan e prima del conflitto nel Donbass, gli usa hanno speso la bella cifra di cinque miliardi di dollari e in Siria, di armi ai “ribelli moderati” (isis, al-nusra, fronte islamico) con gli “alleati” ne hanno inviate in gran quantità, sopportandone il costo. Si limita, inoltre, il numero di americano-occidentali caduti sul campo, prevenendo eventuali proteste di popolo contro la guerra.

In Medio Oriente, con estensioni in Libia e nel nord-est della Nigeria è nato un vero e proprio stato del terrore sostenuto dalle aristocrazie neocapitaliste occidentali (comprese quelle del Golfo ed ebree), che rappresenta un “passo in avanti” rispetto alla più fluida e meno incisiva al-qaeda. Questo stato ha addirittura i tribunali, una propria banca, naturalmente “islamica”, e una propria moneta, il dinar.

1) Massima ferocia, se non sadismo, nei confronti delle popolazioni, profittando della spietatezza insita nell’islam più puro e ortodosso soggetto a ideologizzazione (invivibile per uomini minimamente civili. Se non ci credete, chiedete gli abitanti di Raqqa o di Mosul!). 2) Capacità di colpire in modo rapido i punti deboli (dove c’è un vuoto di potere e di forza militare compare come un avvoltoio lo stato islamico). 3) Espansione di un’economia criminale, nei territori controllati, collegata con quella neocapitalista (contrabbando di petrolio, di reperti storici, mercato di schiavi, traffico di droga, eccetera). Queste sono le caratteristiche del cosiddetto stato islamico, sponsorizzato dalle élite occidentali del denaro, della finanza e del petrolio (ci sono anche gli arabi) che ufficialmente lo combattono con i raid aerei della coalizione.

Nel Donbass ucraino, la guerra contro la popolazione russa è sempre più gestita da gruppi armati di “volontari” euronazisti, legati a oligarchi locali e sostenuti dall’alleanza atlantica. Pensiamo al battaglione Azov, al battaglione pravi sektor, alle componenti della guardia nazionale, alimentate anche da mercenari stranieri. Nonostante le sconfitte militari inflitte a questi lanzichenecchi dai resistenti della Novorossia, la loro pericolosità è destinata ad aumentare e le loro provocazioni, proseguite dopo il cessate il fuoco di Minsk 1 e tuttora in corso dopo Minsk 2, potrebbero coinvolgere la Federazione Russa in una guerra in Europa.

Concludendo, le caratteristiche della nuova guerra neocapitalista sono sostanzialmente le seguenti:

a)     Dallo stato di network del terrorismo (modello al-qaeda) allo stato islamico che ha una base territoriale e destabilizza due continenti, Asia e Africa, ai quali potrà aggiungersene un terzo, l’Europa. Parimenti, l’Ucraina meridionale e orientale non liberata dai russi, dopo la sconfitta di Debaltsevo tenderà sempre di più a diventare una sorta di stato controllato dalle milizie euronaziste e filo-atlantiste. Possiamo affermare che si è passati dallo stato di network del terrore, senza una base territoriale vera e propria, allo stato del terrore con base territoriale, che però non rinuncia al network e a un’efficace propaganda in rete, come nel caso di quello islamico. Uno “Stato di guerra” con base territoriale, fondato sull’arbitrio e sul terrore.

b)    Largo uso di milizie, mercenari, “volontari” internazionali e avventurieri di ogni fatta, veri attori dei conflitti, che tendono a prevalere sugli eserciti nazionali e regolari. Si realizza così la “Privatizzazione del conflitto armato”, in linea con i peggiori impulsi ultraliberisti.

c)     Affermazione dell’economia formalmente criminale, come accade nello stato islamico con il petrolio contrabbandato, gli schiavi, la droga, e sua saldatura con l’economia neocapitalista, informalmente criminale (contrabbando di petrolio attraverso la Turchia compiacente). Fenomeno che potremmo chiamare “Mercato globale e criminale” di guerra.

d)     Stato di guerra e di destabilizzazione permanente, a macchia di leopardo in vaste aree del mondo. Una guerra “strutturale” che si somma alla crisi strutturale neocapitalista, di natura economica, finanziaria e patrimoniale, così chiamata perché essenziale per la riproduzione di questo modo di produzione sociale. La “Guerra infinita”, ma non contro il terrore perché del terrore si nutre, come puntello della formazione sociale neocapitalistica.