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Grecia, UE e geopolitica americana

di Luigi Tedeschi - 25/03/2015

Fonte: Italicum

E' forse scongiurata la crisi dell'euro grazie alla proroga di 4 mesi degli aiuti alla Grecia concessa dalla UE? E' forse stato “ricondotto alla ragione” il figliol prodigo Tsipras, che ha rinunciato ai suoi programmi “populisti”, grazie ad un ammorbidimento della linea del rigore della Germania? Tutte queste domande hanno una risposta negativa sulla questione greca la vulgata mediatica rivela tutta la sua falsità. In realtà la linea del rigore è stata imposta a Tsipras dalla BCE e dalla UE, che, a fronte di una proroga di 4 mesi (la Grecia ne aveva chiesti 6), erogherà 7,2 miliardi in aprile, a condizione che la Grecia attui il programma di riforme imposto dall'Europa. Pertanto alla Grecia è stata imposta la rinuncia ai programmi elettorali del governo di Tsipras, che prevedevano il blocco delle privatizzazioni, la nazionalizzazione delle banche, l'aumento dei salari minimi, alleggerimento della pressione fiscale, aiuti umanitari alla popolazione stremata, mediante l'intimidazione e il ricatto, dinanzi allo spettro del default.

 

In Europa è inutile votare?

La linea intransigente della Germania e della UE si pone in aperto contrasto con la volontà popolare espressa dai popoli e dai governi eletti. Anzi, la linea dura della UE, circa l'osservanza delle misure di austerity imposta alla Grecia, vuole essere un severo monito ai partiti euroscettici: la volontà dei popoli nell'eleggere i propri governi è legittima nella misura in cui le scelte democratiche si adeguino alle direttive degli organismi finanziari europei, altrimenti, la democrazia è condannata all'impotenza. L'Europa ha quindi abrogato materialmente la sovranità popolare e le istituzioni democratiche degli stati. La UE è stata concepita come una unione creata mediante la rinuncia a quote di sovranità da parte degli stati aderenti. Ma anche tale principio di rivela falso. La sovranità degli stati debitori viene infatti ad essere negata a favore di quelli dominanti. I governi degli stati deboli debbono adeguarsi alle regole del patto di stabilità e quindi, debbono imporre ai loro popoli politiche di austerità, che fatalmente conducono alla distruzione dello stato sociale, alla recessione, alla disoccupazione dilagante. Il governo tedesco invece deve sottoporre le direttiva europee al Bundestag, che verifica se le decisioni della UE siano compatibili con la costituzione tedesca. E' dunque la corte costituzionale tedesca il giudice in ultima istanza che decide sulla legittimità o meno di una direttiva europea e, in tal modo, finisce per estendere la propria materiale sovranità a tutta l'Europa. Gli stati europei, con l'adesione alla UE, hanno rinunziato alla propria sovranità in favore delle istituzioni e degli interessi della Germania. Si comprende quindi l'atteggiamento strafottente e arrogante assunto dal ministro delle finanze tedesco Schaubler nei confronti della Grecia, che così si è espresso: “Mi dispiace per i greci e per il governo che hanno eletto”. Da questa umiliazione inflitta alla Grecia, si comprende infatti che in Europa le elezioni sono inutili, quando è la UE ad imporre la propria volontà, a prescindere dai governi eletti.

 

I popoli pagano i disastri dell'economia del debito

La politica di rigore finanziario ha determinato, grazie all'irrigidimento della Germania in occasione della crisi greca del 2010, incremento del debito greco da 40 miliardi agli attuali 320. Ed è oggi la Germania a reclamare nei confronti della Grecia il rispetto dei patti stabiliti con l'intervento della Troika (UE, BCE, FMI), per il salvataggio dal default. La Grecia viene accusata di non aver realizzato le riforme prescritte in tema di spesa pubblica, pubblica amministrazione, liberalizzazioni (o svendite del patrimonio dello stato?). In verità la Troika non si è occupata di riforme, ma ha imposto devastanti tagli alla spesa pubblica e una pressione fiscale insostenibile, al fine di reperire risorse per salvaguardare il pagamento degli interessi sul debito pubblico detenuto in larga parte da banche tedesche e francesi. La Troika ha tutelato i creditori a danno del popolo greco, che oggi versa in condizioni di emergenza umanitaria.

I timori per l'eventuale insolvenza del debito greco sono stati avvertiti anche in Italia, che ha concesso un prestito per il salvataggio della Grecia di circa 40 miliardi. Il prestito erogato dal governo Monti fu tuttavia conferito al fondo salva stati, ed è stato impiegato dalla Troika per far fronte alle rate di interessi sul debito pubblico. In realtà i governi greci non hanno usufruito dei prestiti degli altri stati, ed è quindi pretestuoso affermare che, in caso di uscita della Grecia dall'euro sarebbero stati gli altri popoli a pagare per la dissennata politica assistenziale di cui avrebbe usufruito il popolo greco. Dalla vicenda greca emerge invece che in questa Europa, sono tutti i popoli condannati a pagare (a prescindere dalla loro appartenenza a stati creditori o debitori), le insolvenze sul debito, quali conseguenze della rapacità indiscriminata del sistema finanziario europeo. Per quanto poi concerne il prestito italiano, occorre evidenziare che tale prestito è stato concesso al tasso dell'1,50%, ma per reperire la necessaria liquidità, lo stato italiano ha dovuto incrementare il proprio debito pubblico a tassi di interesse ben superiori. Il costo di tale prestito, la cui solvibilità è tuttora ad alto rischio, è dunque assai superiore a quello dichiarato ufficialmente.

 

Ma Tsipras non ha trovato alleati

La sconfitta di Tsipras è però dovuta alla sua scarsa capacità contrattuale dinanzi alla granitica compattezza del fronte del rigore tedesco e dei suoi alleati, forti e deboli. Tsipras ha fatto leva sulla necessità assoluta di un accordo, in assenza del quale, le conseguenze dell'uscita della Grecia dall'euro sarebbero state devastanti per gli stessi paesi creditori, fino alla deflagrazione dell'intera Eurozona. Tale presupposto avrebbe determinato un ammorbidimento della rigidità tedesca. Ma tali previsioni si sono rivelate fallaci. Lo spettro di un eventuale default greco non ha nemmeno turbato, se non in misura minima, i mercati. La Grecia rappresenta solo il 2% del Pil europeo.

Ma l'insuccesso di Tsipras è dovuto soprattutto al fatto di non aver trovato alleati in Europa. I paesi eurodeboli e soprattutto i paesi baltici hanno ostentato anzi una intransigenza estremista nei confronti delle proposte greche. I governi dei paesi Piigs hanno infatti ribadito l'osservanza del patto di stabilità, del fiscal compact. Tali governi hanno imposto su direttiva europea (vedi Italia nel 2011 con l'insediamento del governo Monti), misure gravi di austerità a danno dei loro popoli, che sarebbe stato difficile da giustificare dinanzi ai propri elettorati, qualora si fossero accattate le proposte greche contrarie alla austerità per far fronte alle esigenze umanitarie e per il rilancio dell'economia. Si è creato quindi in Europa un fronte compatto tra paesi euroforti ed eurodeboli a difesa della politica di rigore finanziario, perché, qualora tale rigidità fosse venuta meno, si sarebbe infranto un principio finanziario assunto a dogma teologico europeo: l'irreversibilità dell'euro. Le oligarchie europee non vogliono dar luogo ad un precedente: che si possa fuggire dalla gabbia dell'euro, o che si possa riformare l'Eurozona, oppure che i diktat vessatori della Troika possano essere elusi, smentiti o disattesi.

Le classi dirigenti dei paesi eurodeboli quindi sposano la causa delle politiche vessatorie della Germania e dei suoi alleati per preservare la loro autoconservazione e danno dei propri popoli. La sopravvivenza delle classi dirigenti dei paesi eurodeboli si basa dunque sulla oppressione finanziaria, fiscale, sociale dei propri popoli. Del resto, il ruolo conclamato delle classi dirigenti dei paesi eurodeboli, è quello dei vassalli verso la UE e la BCE: la loro stessa ragion d'essere consiste nel preservare l'equilibrio politico – finanziario europeo. I governi europei non hanno programmi politici  specifici, ma eseguono solo mandati europei: il dibattito politico è limitato, o comunque condizionato allo spread, al Pil, al fiscal compact, al default e, in questo contesto, è proprio la politica a fare default.

Riguardo poi all'ottimismo mediatico diffuso in concomitanza all'entrata in vigore del QE di Draghi, occorre rilevare che la Grecia non usufruirà di tale misura di espansione della liquidità che in quantità minima perché tale provvedimento è condizionato dalle quote di partecipazione di capitale nella BCE e dal rating, da parametri sul debito cioè che la Grecia non ha rispettato. Ne usufruiranno in misura ridotta anche altri paesi tra cui l'Italia.

 

Le alternative negate alla Grecia e la politica dei due pesi e due misure

La stessa proposta del ministro delle finanze greco Varoufakis, di emettere bond i cui rendimenti fossero indicizzati alla crescita del Pil non è stata presa in alcuna considerazione. L'emissione di tali titoli avrebbe costituito una innovazione rilevante in sede europea. Verrebbe stabilita una soglia di crescita del Pil che, qualora venisse superata, il paese debitore pagherebbe interessi più elevati. In tal caso si verificherebbe una convergenza di interessi tra i paesi creditori e i paesi debitori: con tale misura si favorirebbe la crescita dell'economia reale e la solvibilità del debito, che da onere vessatorio, si trasformerebbe in un fattore di sviluppo. Una simile proposta fu avanzata dall'Argentina in occasione del default finanziario del 2001/2002, ma Wall Street allora, come la BCE oggi, hanno avversato tali proposte. Il capitalismo finanziario non vuole smentire i suoi dogmi e preservare il propri equilibri finanziari interni, ma soprattutto non vuole generare commistioni con interessi di natura politico – sociale che possano alterare il sistema finanziario e mettere in dubbio il suo primato costruito sul dominio globale dei popoli.

Gli squilibri europei sono tuttora evidenti. Non si può favorire una crescita equilibrata europea in presenza di squilibri macroscopici tra i paesi aderenti in termini di pressione fiscale, di risorse per gli investimenti (sacrificate al rispetto del patto di stabilità), vistose sperequazioni dell'import – export interni tra i paesi euroforti ed eurodeboli. Così come è del tutto evidente in Europa il divario di trattamento tra i vari paesi in tema di flessibilità delle regole. Alla Francia sono stati concessi ulteriori 2 anni di proroga relativamente alla inosservanza del rapporto deficit / pil, mentre per l'Italia, che mantiene tali parametri al di sotto del 3%, non è stata concessa quasi nessuna flessibilità. Alla rigidità mostrata nei confronti della Grecia, fa riscontro l'impotenza della UE nell'adottare misure sanzionatorie nei confronti della Germania, circa lo squilibrio della bilancia commerciale che eccede di gran lunga il 6% relativamente all'export verso gli altri paesi membri della UE. Tale squilibrio, oltre a favorire il predominio tedesco in Europa, ostacola la crescita degli altri paesi. In Europa non regna la solidarietà, ma la selvaggia competitività poiché la struttura dell'Eurozona appare evidente oggi in tutta la sua brutale realtà: il primato dei paesi forti trova la sua ragion d'essere nel declino dei paesi deboli.

 

Il debito non sostenibile: quello greco e non solo

Al di là della supremazia del rigore di marca tedesca, dimostrata nei confronti della Grecia, la sconfitta di Tsipras è solo temporanea e apparente. Infatti la situazione greca tornerà a generare nuove crisi nel corso del 2015. Niente e nessuno può smentire al realtà di questa drammatica situazione dalle soluzioni impossibili, fintantoché continuerà a dominare la rigidità finanziaria nell'Eurozona. Il debito greco è al 175% del Pil. Esso non è sostenibile. Secondo uno studio del FMI, il debito pubblico greco può scendere al 100-120% del Pil solo nel 2022, a condizione che si verificasse una crescita del 3,5% annuo e un avanzo primario del 4%. Tali previsioni possono essere estese anche all'Italia, il cui debito ammonta al 132% del Pil e ci si chiede quale fantascientifico tasso di crescita dovrebbe conseguire nei prossimi anni per rendere sostenibile il debito, quando l'OCSE ha stimato il tasso di crescita italiano intorno all'1% nei prossimi 2 anni. Ma nel caso greco è lecito chiedersi se tale politica economica sia compatibile con i costi sociali che la Grecia dovrebbe sostenere. Trattasi cioè di un paese che il cui Pil è calato del 24% in 5 anni (grazie anche alla cura della Troika), e la disoccupazione ha raggiunto il 25%. Non vi sono quindi altre soluzioni (e non solo per la Grecia), che l'uscita dall'euro.

Le oligarchie europee non possono certo illudersi che la politica del pugno di ferro usata con la Grecia possa dissuadere o reprimere i movimenti euroscettici di fusi in tutta Europa. Anzi, la strategia repressiva della UE può solo alimentare le spinte centrifughe dell'Eurozona.

 

L'Europa nella morsa della geopolitica americana

Nella ultima crisi greca sono più volte intervenuti gli Stati Uniti nella persona dello stesso presidente Obama. Quest'ultimo ha dapprima criticato la rigidità tedesca e auspicato un ammorbidimento verso la Grecia al fine di evitare una crisi dell'euro che avrebbe conseguenze pregiudizievoli per la stessa economia americana. Successivamente ha rivolto un severo monito alla Grecia perché di addivenisse comunque ad un accordo. In realtà, in presenza della crisi ucraina e dell'offerta di esplicito sostegno da parte di Putin alla Grecia in caso di default, la volontà degli USA è stata  quella di salvaguardare i propri interessi strategici in Europa. La Grecia è importanza strategica è oggi vitale per gli americani, data la sua posizione geografica di testa di ponte verso il medi oriente e la politica autonoma svolta dalla Turchia negli ultimi anni. Gli USA vogliono preservare l'unità europea in finzione della stabilità della Nato, perché l'Europa rappresenta una base essenziale per la politica espansionista americana nell'Eurasia e soprattutto per la presenza minacciosa per l'Occidente dell'Isis sulle coste mediterranee, a seguito della dissoluzione della Libia.

Si deve dunque concludere che l'Europa della UE sussiste, in quanto sostenuta dalla Nato e dagli USA. La sua ragion d'essere è in diretto rapporto con la difesa degli interessi strategici americani in Europa. Lo stesso primato tedesco sussiste in quanto può usufruire del sostegno politico - strategico americano. La potenza economica tedesca è inversamente proporzionale al suo stato di vassallaggio politico nei confronti degli USA. Appare quindi farsesco vedere nella Germania della Merkel un possibile quarto reich.

Questa situazione è comunque destinata ad evolversi e una qualsiasi politica antagonista all'euro non può prescindere dalla delegittimazione dell'alleanza atlantica e dai disegni imperialistici americani in Eurasia.

La sovranità europea può sussistere in virtù della sovranità degli stati. L'uscita dall'euro non può quindi verificarsi senza parallela uscita dalla UE e soprattutto dalla Nato.