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Mia Madre di Moretti e la presa di coscienza del declino italiano

di Maurizio Cabona - 14/04/2015

Fonte: Barbadillo

 


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Nanni Moretti e Margherita Buy

Nanni Moretti e Margherita Buy

Il senso della patria riappare dove meno l’aspetti. L’Italia del ‘900, quella che oggi muore tenuta per mano da quella che invecchia e da quella che – troppo protetta nell’infanzia e nell‘adolescenza – stenta a crescere, trova la sua storia in Mia madre di Nanni Moretti, che sarà al prossimo Festival di Cannes (13-24 maggio).

Con La grande bellezza di Paolo Sorrentino, il nuovo film di Moretti completa dunque la presa di coscienza del declino nazionale. Se non è meno seriale dei suoi film precedenti (anche qui lo sfondo romano borghese-cinematografico, un momento onirico-coreografico, la presenza di liceali, l’ironia sugli orrori alla moda), rivela la maturazione di Moretti. Chi avrebbe immaginato che anche lui, un giorno, avrebbe preso le distanze da se stesso?

La locandina di Mamma mia

La locandina di Mia Madre

Per raccontare una svolta che sorprende, Moretti affida il ruolo di regista ambizioso, preciso, esigente, volentieri sprezzante con collaboratori e giornalisti, insomma il suo, a Margherita Buy, attrice che è il suo alter ego femminile. Per sé, come attore, Moretti riserva un personaggio secondario: il taciturno fratello di lei, ingegnere sessantenne che ha perso non il lavoro – come è capitato a quasi tutti i coetanei in ogni ambito -, ma la voglia di farlo. E ciò dal momento che la madre è vicina alla fine. Il suo abbandono della professione, senza apparente perché, significa più o meno: quel che ho fatto, l’ho fatto per te, mamma, perché dovevo essere laureato e rispettabile, però ora, quando tu muori, non ha più senso. Sottinteso: peccato che, per obbedirti, se ne sia andata, col mio lavoro, la mia giovinezza… E ora il tempo che resta a un sessantenne non va sprecato per guadagnare qualcosa in più, ma per non restare solo. Il profilarsi della morte altrui insegna, se non altro, a prepararsi alla propria.

Dramma con alcuni momenti di commedia, cioè quando è in scena John Turturro nel ruolo dell’attore americano venuto a girare un film in Italia, Mia madre conferma che Moretti mette tutto, sempre e comunque, in prospettiva personale. Ma anche qui affiorano sia un’altra autocritica, come artista questa volta, sia il disprezzo per chi non sa mai dirti di “no”, quando sei uno importante. Anche in questo caso tocca alla Buy constatarlo tra la costernazione dei lacché.

Davanti alla fine dell’epoca del lavoro in fabbrica, almeno in Occidente, Mia madre filtra il disagio dei residui lavoratori attraverso un film nel film, la cui regista nemmeno tenta di capire che cosa sia stata la condizione operaia. E’ la riprova dell’incapacità di Moretti di mettersi realmente nei panni altrui, il difetto notevole per chi recita e fa recitare? Piuttosto è il riconoscimento dei propri limiti: non si nasce in una famiglia di insegnanti universitari senza abituarsi a guardare gli altri dalla cattedra del docente, anziché dal banco del discente. Poiché però muoiono sia privilegiati, sia diseredati, a separarli alla fine c’è solo il quesito connesso all’estinzione. Figlia della sua classe elevata, la regista di Margherita Buy si domanda: “Che fine farà tanta cultura? Che fine faranno tanti libri di latino, una parete intera…”?

Nanni Moretti nel film

Nanni Moretti nel film

Se è vero che firmare film è un modo per essere qualcuno, ciò riempie la vita a quarant’anni, ma molto meno a sessanta. In questo Mia madre è un film sulla senilità: se la madre (Giulia Lazzarini) dimentica nomi propri e nomi comuni, se l’attore americano dimentica i dialoghi del copione, la regista dimentica aperto, a casa, il rubinetto dell’acqua. Sono osservazioni amare che nei film di Moretti appaiono spesso. Si pensi a Bianca, dove lui stesso è un insegnante scontento, tanto da mutarsi in giustiziere votato all’ergastolo (“E’ triste morire senza figli”, dice al momento dell’arresto). Come ci sono osservazioni malinconiche nel successivo La messa è finita, dove la madre del parroco (Moretti stesso) si uccide lasciando sul comodino un libro letto a metà (“Non t’interessava arrivare alla fine?” – si chiede lui davanti alla salma).

Trent’anni dopo il futuro, che al giovane Moretti di allora sembrava forse eludibile, non è stato eluso. Così le certezze di un uomo forse acerbo, certo esacerbato, sono diventate, con l’età, errori da riconoscere. Dagli anni ‘80 Dino Risi ingiungeva a Moretti, per la sua onnipresenza sullo schermo: “Spostati! Facci vedere il film!”. Moretti ne soffriva, ma ricascava nel difetto. Ora invece ha il coraggio di ammettere indirettamente che Risi non era un detrattore e, soprattutto, che gli dava un buon consiglio.