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Con Syriza e Podemos, la sinistra europea riscopre la patria

di Mario Giro - 30/06/2015

Fonte: Limes


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[Carta di Laura Canali]

Diversi nella genesi, nell’uso dei media e nella considerazione della storia, Syriza e Podemos costituiscono due novità vincenti sul panorama politico europeo. Sovranità nazionale e interesse popolare: due modelli a confronto.

Gli obiettivi di Syriza dopo la vittoria delle elezioni in Grecia


Sinistra e patriottismo non sono sempre andati d’accordo, specie in Europa. Qualcosa sta cambiando, con tonalità diverse. Syriza è il frutto di una travagliata e progressiva ricomposizione della complessa storia delle sinistra greca. Alla base di tale ristrutturazione vi è un’accoppiata singolare: sovranità nazionale e interesse popolare. Podemos in Spagna ha un’origine del tutto diversa ma condivide con il partito greco la stessa intuizione: ridare sovranità al popolo. Per entrambi un nuovo modo di essere patriottici.

 

L’austerità non è legittima

 

Grecia e Spagna si avviano a essere i due paesi europei in cui la lotta all’austerità diviene fonte di legittimazione politica. Syriza è già al potere. Podemos, forse, lo sarà presto ma già conta. La reazione alle politiche della troika non poteva non esserci, soprattutto in questi due paesi martoriati dalle politiche di tagli e riduzioni del welfare. Ma non è solo il tasso di austerità a spiegare quello che succede: altri paesi hanno subito simili cure senza suscitare ribellioni collettive. Come in altri casi, le crisi greca e spagnola sono legate alla credibilità della classe dirigente. C’è tuttavia una differenza.

 

Malgrado il gran numero di scandali – da Mani Pulite in poi – a nessuno o quasi in Italia verrebbe in mente di accusare le imprese o il settore produttivo o la classe politica di antipatriottismo, di alto tradimento o di simili cose. In Grecia e Spagna la situazione è in parte diversa. Gli scandali a ripetizione (non minori di quelli italiani, ricordiamolo) non hanno soltanto screditato un’intera classe politica, destra e sinistra di governo assieme. Non solo hanno fatto crollare la reputazione di un’intera classe imprenditoriale, in particolare bancaria e finanziaria. Sono stati soprattutto percepiti come una forma di abiura dello spirito nazionale, di svendita dell’identità. Non si tratta solo di contrastare la “Germania”, ma di qualcosa che viene dal fondo della storia dei due paesi e che li fa reagire in maniera, appunto, “patriottica”.

 

Il comune imprinting latinoamericano

 

Innanzitutto c’è una connessione con le sinistre latinoamericane da cui Podemos e Syriza hanno preso una parte notevole della loro ispirazione. Non a caso Pablo Iglesias, fondatore del partito spagnolo, ha partecipato assieme a molti dei suoi all’elaborazione politica del cantiere latinoamericano: dal Socialismo del XXI secolo di stampo chavista, al “correismo” fino al “lulismo”. Anche la sinistra radicale greca ne è stata attratta. Una delle chiavi che spiegano le ripetute vittorie delle sinistre in America Latina negli ultimi 15 anni é proprio l’aver sottratto alla destra il “patriottismo”.

 

Per decenni la destra del subcontinente – tutta Dio Patria e famiglia – aveva rappresentato la difesa dei cosiddetti “interessi nazionali” (e della dottrina di “sicurezza nazionale” di triste memoria), che si opponeva a una sinistra internazionalista accusata di essere “straniera” e di voler importare la rivoluzione. Così nel subcontinente, la sinistra degli anni Sessanta-Ottanta si era scontrata contro un muro invalicabile: il forte radicamento patriottico dei latinoamericani. Con la globalizzazione e le politiche liberiste, le posizioni si sono capovolte: i nuovi leader di sinistra hanno capito che potevano presentarsi come i difensori della tradizione e dei valori nazionali contro un potere senza più volto, mondiale ma inafferrabile.

 

Tale è la fragilità politica del liberismo contemporaneo, basato su leggi del mercato scritte altrove e non negoziate, tecnocrazia e poteri globali senza radici nazionali. È stato dunque relativamente semplice per la sinistra latinoamericana spostarsi sull’asse della sovranità nazionale e, alla fine di tale processo, divenire l’interprete della “difesa nazionale”, una volta incarnata dalla destra.

 

Una sinistra più nazionale della destra

 

Un fenomeno simile sta ora accadendo in Grecia e Spagna, dentro Syriza e Podemos: il contrasto alle politiche della troika si fa in nome della “sovranità nazionale” e del “popolo”. Per vincere le elezioni Syriza ha messo in sordina le classiche parole d’ordine “internazionalistiche” della sinistra radicale, concentrandosi su una narrazione convincente per tutti i greci: noi – dice Alexis Tsipras – difenderemo le vostre radici, i valori del popolo greco, messi in pericolo da politiche che rischiano di cancellarne l’identità. Facile è stato per il leader greco descrivere privatizzazioni, difesa delle banche private, alienazione delle spiagge o di monumenti nazionali e chiusura della tv pubblica come la svendita del patrimonio nazionale per mano di poteri anonimi, che non si mostrano e sono irrispettosi delle radici culturali del popolo greco. Per Syriza è stato questo il modo di ottenere la maggioranza, ma non è stato indolore. Non a caso qui terminano anche le analogie con Podemos spagnola, che su questo terreno si è spinta molto oltre: cancellare definitivamente la parola “sinistra” dal lessico politico e propagandistico, dando inizio a una forma di populismo astorico.

 

Il patriottismo è di sinistra?

 

Sul tema della patria la polemica storica interna alla sinistra greca è di antica data. Le relazioni tra sinistra radicale e “sinistra patriottica” sono sempre state difficili, legate alla questione se mettere al primo posto i criteri di classe o quelli dell’origine etnica, inclusa la relazione con la chiesa ortodossa. Ciò emerge, ad esempio, nella gestione di minoranze come quelle musulmana e turca (non esattamente sovrapponibili), che in Grecia pone da tempo una serie di problemi. Paradossalmente, i sei seggi ottenuti da Syriza alle europee del 2014, sono andati ad esponenti vicini alla sinistra patriottica, con notevoli strascichi interni. La polemica, che Tsipras ha recentemente ripreso, sul pagamento dei danni di guerra da parte dei tedeschi, fa parte del bagaglio culturale di tale parte della sinistra. Come scrive Dimitri Delioulanes nel suo La sfida di Atene: piano piano accanto alla parola popolo si comincia ad accostare anche la parola patria e persino nazione… il leader di Syriza ha dimostrato di aver compreso che […] l’elettorato che ha scelto il suo partito si muove nell’area della sinistra democratica e patriottica”.


Esiste la Grecia?

 

Dentro Syriza ci sono forti resistenze, in particolare da parte della corrente marxista internazionalista di provenienza eurocomunista o della corrente più moderna vicina ai temi dei diritti civili. Entrambe sono accusate di sottovalutare la difesa dell’identità nazionale, culturale, storica e linguistica del popolo greco. Gli avversari più forti sono coloro (in genere intellettuali) che dentro il partito avversano da tempo il legame storico tra sinistra e patriottismo espresso dalla lotta comune contro il nazifascismo durante la seconda guerra mondiale. Costoro criticano l’esistenza stessa di un’identità nazionale greca, percepita come costruzione ideologica importata allo scopo di legittimare uno stato nazionale che non esiste, portando – in modo avventato – come esempio il Belgio. Tale corrente è insofferente a quella che loro chiamano la “retorica sull’ellenismo”, tema che ha provocato lunghe polemiche nella sinistra greca. Su tale versante la differenza con la sinistra italiana (ed europea in genere) è molto grande.

 

Una lotta tra comunisti greci

 

La storia della creazione di Syriza è un compendio delle vicende frastagliate della sinistra greca, radicale e non. La natura interna della prima Syriza è quella di una lista, fragile aggregazione tra sensibilità diverse. L’adesione non è individuale ma avviene solo attraverso le correnti organizzate, generando confusione e diffidenze negli elettori. La componente più importante è quella degli “eurocomunisti”, ovvero del partito comunista ellenico “dell’interno”, da non confondere con il Kke. La scissione tra comunisti è avvenuta nel 1968 con la primavera di Praga e l’invasione sovietica, ma le radici della separazione risalgono alla sconfitta nella guerra civile 1945-49 quando i comunisti furono cacciati dal paese.

 

Era la guerra fredda e gli occidentali volevano essere certi del posizionamento greco nell’Alleanza atlantica. Mentre la dirigenza comunista si rifugiò nei paesi del Patto di Varsavia, ad Atene rimase clandestina una debole forza (quella appunto “dell’interno”) che iniziò a collaborare in clandestinità con altre compomenti democratiche. Nel 1951 ne emerse un partito legale, l’Unione democratica greca (Eda), che conquistò il secondo posto alle elezioni del 1954 con il 24,4% dei voti. La distanza tra comunisti dell’esterno e dell’interno si allargò sempre di più. Il colpo di Stato dei colonnelli nel 1968 distrusse questo primo tentativo di coalizione delle sinistre democratiche, ma ormai la distanza tra comunisti era incolmabile e si arrivò alla scissione.

 

Papandreou e il Pasok

 

Il partito comunista italiano di Berlinguer sostenne la rinascita dei comunisti dell’interno fino alla restaurazione della democrazia nel 1974. I loro risultati furono deludenti, stretti com’erano tra Kke – finalmente ritornato legale – e i nuovi socialisti del Pasok di Andreas Papandreou. Quest’ultimo, leader dalla personalità carismatica, segna in quegli anni l’evoluzione della sinistra greca, fino a giungere al potere nel 1981. Papandreou regna per vent’anni sui destini della progressisti greci e sembra mettere fine a tutte le vecchie diatribe. È amico di Craxi, Mitterrand e Gonzales, gestisce l’entrata della Grecia nella Comunità europea, si iscrive pienamente nella corrente socialista moderna.

 

Il Pasok sdogana la sinistra al governo, ricuce le ferite della guerra civile e dà inizio al welfare. Ma il suo leader è un padrone assoluto: parla di modernità ma governa il partito alla vecchia maniera. Non si oppone al clientelismo, lo fa suo. Politicamente domina tutto lo spazio e se la gioca bipolarmente con il centrodestra. Molti si chiedono se ci sarà mai più bisogno di altra sinistra. Senza più margini di manovra, agli eurocomunisti non rimane che guardare di nuovo dalla parte degli ex compagni del Kke per sopravvivere. Intanto è arrivato Gorbaciov e alla famiglia comunista greca è più facile riavvicinarsi. Nasce così il Synaspismos (che significa coalizione) che prende il 13% alle elezioni del giugno 1989. Ma leretrouvailles durano poco: già nel 1991 – dopo la caduta di Gorbaciov – il Kke se ne va di nuovo.

 

Coalizioni tra sinistre: da Synaspismos a Syriza


Il Synaspismos si indebolisce restando fuori
 dal Parlamento alle elezioni del 1993 ma nelle sue fila si forma una nuova classe dirigente, tra cui il giovane leader studentesco Alexis Tsipras, proveniente dall’organizzazione giovanile. I dieci anni che separano dalla nascita della lista Syriza (acronimo di coalizione della sinistra radicale), sono importanti per la fitta relazione che si intesse tra ciò che resta di sinistra radicale, ecologisti e movimento no-global. I pochi deputati eletti dalla nuova lista nelle elezioni del 2004 sono tutti di derivazione Synaspismos: le altre correnti si sentono sottovalutate. È un susseguirsi di modesti risultati, di polemiche e abbandoni, fino al congresso fondativo del 2013. Le correnti sono ormai 18, a dimostrazione della frammentazione della sinistra ma anche del lavoro fatto per raccoglierne tutti i pezzi: oltre al Synaspismos ci sono ex eurocomunisti, ex Kke, trotzkisti, socialdemocratici, ex maoisti, ecosocialisti, ecologisti radicali, reti di diritti, movimenti di cittadinanza, sinistra patriottica, ex Pasok ecc. Il congresso trasforma la lista in partito e le componenti sono ufficialmente disciolte, ma non tutte accettano questa soluzione. Ancora una volta chi viene dal Synaspismos fa la parte del leone negli organi interni.

 

“Più facile iscriversi ad Harvard che a Syriza”: Tsipras apre al centro

 

Come unire davvero tale amalgama differenziato? Sarà un nuovo leader a farlo. Alexis Tsipras sa che occorre uscire dai vecchi demoni frazionisti della sinistra ma soprattutto vuole offrire un discorso convincente e non solo di opposizione. La fine del bipolarismo Pasok-Nd che ha portato il paese al fallimento, ridà un’opportunità insperata alla sinistra radicale. Tuttavia Tsipras è consapevole che per ottenere il governo c’è bisogno di “un’ampia alleanza democratica, radicale e progressista di forze politiche e sociali”. È pragmatico e non accetta veti ideologici. Per spiegarsi ai suoi, prende spunto non dall’epoca del Pasok vittorioso, ma dall’Eda, la coalizione delle sinistre che nel 1954 giunse quasi alle soglie del governo. Ricorda gli errori del passato, in particolare il non sapere parlare agli elettori di centro: “non dobbiamo lasciare al centro, che nel nostro caso è l’area di centrosinistra, nessuno spazio per la sua ricostruzione. La maniera migliore per cadere nella trappola del centrosinistra è assumere un atteggiamento di chiusura: non volere nessuno, non dialogare con nessuno, chiudere le proprie porte e ritenersi autosufficienti. Al contrario dobbiamo instaurare alleanze in ogni direzione…”.

 

Tsipras guarda al centro, non vuole “regalare agli avversari l’area intermedia” e combatte contro i suoi compagni che hanno paura di vincere e sono rimasti alla Syriza del 4%: non fanno entrare nessuno negli organi. Scherzando si dice che “è più facile iscriversi ad Harvard che a Syriza”, ma si tratta di un problema serio.

 

Un nuovo partito per vincere, come il Pd di Matteo Renzi

 

Tale atteggiamento innovativo, divenuto oggi vincente, spiazza la vecchia dirigenza dura e pura degli anni di lotta. Nella costruzione della strategia elettorale e nell’aggregazione di culture politiche compatibili, Tsipras assume una posizione non dissimile dall’idea di Pd di Matteo Renzi con l’edificazione di un “cantiere democratico”. In questo senso l’esperienza della Syriza di Tsipras non è paragonabile a Sinistra ecologia e libertà (Sel) e meno che mai a Rifondazione Comunista o simili: Syriza ha un partito alla sua sinistra – il KKE – così come Izquierda Unida sta alla sinistra di Podemos. Pur radicale in partenza, Tsipras si piazza pragmaticamente al centrosinistra dello scacchiere politico greco, come alla fine dimostra anche la scelta dell’alleanza di governo con i Greci indipendenti di Kammenos, formazione di centrodestra, piuttosto che con il Kke o To Potami.

 

Tsipras ha a che fare con dirigenti per i quali la lotta politica è una scelta di vita: sono dei professionisti della politica di opposizione. Ma Alexis vuole vincere: la sua sfida è amalgamarli con chi viene da altri partiti e dai movimenti sociali più vari. Soprattutto vuole rendere i suoi compagni consapevoli che l’elettorato si è fatto liquido e non risponde più a rigide logiche di schieramento ideologico o di classe, come un tempo.

 

Il patriottismo non è solo tattica, ma un insieme di valori

 

Il suo assenso all’alleanza con la sinistra patriottica contro il parere di molti, per Tsipras non è solo tattica. Il leader greco ha capito che paese è cambiato ma è anche rimasto uguale a se stesso con la sua religione, il suo spirito nazionale, le sue radici popolari e contadine. La guerra all’austerità dell’attuale premier greco assume i caratteri della difesa della nazione da un potere che vuole svendere la Grecia. Quando critica gli armatori – una delle maggiori forze imprenditoriali – lo fa chiamando in causa la loro abitudine di impoverire il paese esportando capitali; quando attacca le banche lo fa in nome della nazione. La lotta di Syriza in favore della tv pubblica segue questa logica. Tsipras si rivolge ai greci assicurando loro che la sua battaglia è quella di ogni greco che abbia a cuore la dignità del paese. Per questo non teme di usare la parola “nazione”.

 

Diventare leader di tutti: la vista al Monte Athos e a papa Francesco

 

Tsipras decide così di incarnare – proprio lui che proviene dalla gioventù comunista ed è stato nel Synaspismos – i temi di un’area più vasta di centrosinistra, della sinistra patriottica, delle questioni nazionali. Prende posizione su temi non usuali per la sinistra del suo paese: Cipro, le minoranze cristiane in Oriente, i kurdi di Kobane, l’islamismo politico, fino addirittura ai “greci del Ponto”. Si schiera con la Russia nella diatriba Ucraina – anche se non per la guerra – e ricorda spesso la lotta comune tra forze comuniste e democratiche contro i nazifascisti. Nei suoi discorsi fanno apparizione accenni nazionalisti. Il gesto più significativo è stata la sua visita al Monte Athos nell’agosto 2014. Pur non credente, dichiara: “quando ti trovi di fronte a questi monasteri non importa se sei credente o no; entri comunque in contatto con la divinità”.

 

Un mese dopo è da papa Francesco. Diventare un leader nazionale e popolare passa per tali scelte: la sua popolarità sale, così come le polemiche interne. Ai detrattori spiega che Syriza ha grandi ambizioni: non vincere solo per riformare l’economia ma per cambiare la politica e il paese stesso. Riabilita gli ex Pasok che nel corso del tempo hanno raggiunto Syriza e che il nucleo dirigente guarda con disprezzo: “non disponiamo di nessun misuratore del tasso di sinistra esistente in ogni persona e non chiedo certificati a nessuno”. Vuole dialogare con la parte sana degli imprenditori. È questa scelta strategica a portarlo alla vittoria del gennaio 2015.

 

Una forma partito diversa: Podemos

 

Se certamente la leadership di Tsipras spiega molto delle recenti evoluzioni di Syriza, queste ultime restano legate in modo sostanziale al lungo negoziato tra le tante anime della sinistra greca nel quadro dello strumento classico: organi di partito e dialettica interna. Molto diversa la costituzione di Podemos, che si avvicina più al Movimento 5 stelle sia nell’utilizzo dei social media che nella costituzione delle formazione politica stessa. Alla base vi è il grande movimento degli indignados e le acampadas: proteste di piazza contro le misure di austerità volute dal governo e contro la corruzione.

 

Sfratti, licenziamenti, aumenti, troika: anche in Spagna tutto converge nel favorire un forte malcontento sociale che però si esplicita in maniera nuova. Non sono i sindacati svigoriti o un’opposizione screditata a condurlo, ma migliaia di movimenti spontanei che occupano in pianta stabile piazze, edifici pubblici e palazzi in molte città spagnole. Il tutto si volge in un clima generale di crisi della classe politica, completamente denigrata, che non sa reagire. Non c’è nessuno a spingere o radunare i manifestanti: si auto-organizzano. Manca una cultura politica a coalizzarli e a farli divenire partito. Ci penserà Pablo Iglesias con Podemos.

 

In Spagna non c’è più sinistra

 

Iglesias è un professore di sociologia della Università Complutense di Madrid. Ha esperienza di media, conduce su internet un famoso talk show, è circondato da professori come lui che cercano lo sbocco concreto contro le politiche di austerità. Sono tutti di sinistra ma pensano che non si tratti di costruire un nuovo partito di opposizione: piuttosto occorre dare espressione compiuta ai movimenti auto-organizzati e spontanei che si stanno sgonfiando dopo due anni di lotte. Iglesias, memore di ciò che ha visto in America Latina crea al tavolino una nuova narrazione incentrata sul recupero della sovranità popolare tramite la mobilitazione della cittadinanza. Si ispira anche ai movimenti no-global degli anni 2000: il 99% della popolazione non può essere ostaggio degli interessi dell’1%. Anche in Spagna “uno vale uno” come per il Movimento 5 stelle nostrano.

 

Ma Iglesias conosce bene le faziosità della sinistra spagnola e i suoi demoni e rifiuta di sottostare a quel gioco. Così la stessa parola “sinistra” viene bandita dai discorsi. Con Podemos non c’è più “destra e sinistra” ma solo “quelli che stanno in alto” e “quelli che stanno in basso”. Come scrivono Russo Spena e Pucciarelli nel loro Podemos: la sinistra spagnola oltre la sinistra, Iglesias afferma: “di unire la sinistra non mi importa niente”.

 

Contro la casta che ha occupato la democrazia

 

 

Oligarchia contro democrazia, poteri forti contro popolo, casta contro cittadini: questo è il linguaggio di Podemos. Qualcuno parla di populismo di sinistra ma loro parlano di “insubordinazione contro la casta”, con il tipico accento dei movimenti sociali no-global. Non vogliono cambiare il sistema ma ripristinarne l’autenticità democratica: sono infatti i partiti che hanno corrotto il sistema. Il centro di ogni discorso è il “popolo”, proprio come in America Latina. L’austerità e i suoi comandamenti contro il popolo mentre si salvano le banche hanno stravolto il concetto di democrazia che Podemos vuole far risorgere. Mediante un uso sapiente della rete ma anche dei media tradizionali (a differenza del Movimento 5 stelle), il neo partito si struttura rapidamente in circoli sul territorio e il suo messaggio diventa virale. Dalla prima riunione in 30 persone del novembre 2013, i meetup si moltiplicano in tutta la Spagna: il contagio è immediato. Gliindignados trovano in Podemos la loro nuova casa politica, molti movimenti autonomi si alleano ma si avvicinano anche cittadini che non erano mai scesi in piazza o avevano smesso di votare. Tutti vengono attratti dal nuovo linguaggio che non somiglia più a quello dei partiti. Solo sei mesi dopo, a maggio 2014, alle elezioni europee Podemos fa la sua prima apparizione sulle schede elettorali, conquistando l’8%. Oggi i sondaggi lo danno primo partito di Spagna.

 

Un portale neutrale

 

Le sinistre sono spiazzate, soprattutto quella radicale di Izquierda Unida e dell’ala scissionista Izquierda Anticapitalista, che avevano pensato che le proteste del 2011-2013 si sarebbero trasformate in voti a loro vantaggio. Non avevano però messo in conto il nuovo metodo di Podemos, quello che il Movimento 5 stelle ha usato in Italia: niente organi e strutture di partito ma assemblee cittadine aperte e primarie sul web. La vera differenza è che Podemos ha affidato il suo portale a una piccola impresa imparziale, senza legami con i vertici del movimento mentre – com’è noto – il sito di Grillo è controllato dagli stessi fondatori, vale a dire il comico genovese e Gianroberto Casaleggio.

 

Malgrado le apparenze, il programma di Podemos è diverso la quello di Syriza. Si tratta di un programma concentrato sulla giustizia sociale e sulla legalità: meno presente un’idea di paese, di cultura politica, di visione strategica. Si tratta di una scelta precisa: una collazione di ciò che i no-global e gliindignados hanno già detto. Quindi: educazione per tutti, tassazione grandi capitali e Tobin tax, lotta all’evasione, casa, reddito di cittadinanza, forme di democrazia diretta, diritti, trasparenza, riduzione costi della politica, tetto salariale per manager, limite dei mandati ecc. Tutte cose che si ritrovano anche in altri programmi come quelli di Syriza, di molta della sinistra europea o nel Movimento 5 stelle. Andare oltre rischierebbe di creare fratture.

 

Un misto tra vecchia e nuova forma della politica

 

Podemos ha trovato un suo equilibrio tra il recupero della sovranità popolare e una nuova idea di Europa. Mentre nel Movimento 5 stelle tale dilemma non è risolto, dando luogo talvolta a scivolamenti di tipo addirittura xenofobo, Pablo Iglesias non è euroscettico, sostiene le autonomie, la libera circolazione, loius soli. Podemos ha svolto una sua forma di congresso (tra circoli, internet e incontri nazionali), adottando documenti nelle due assemblee di fine 2014, con maggioranza e minoranza. Si tratta di un’altra differenza con i grillini nostrani: pur se la leadership di Iglesias ha un carattere simile a quella di Beppe Grillo, il metodo è diverso. Iglesias utilizza il linguaggio sofisticato da professore e non teme i media, anzi li domina. Ama citare Gramsci e i classici della politica ma anche le serie tv. Gli altri leader di Podemos sono simili a lui: docenti universitari e colletti bianchi. L’antipolitica di Podemos non è contro le istituzioni ma in favore dell’inclusione degli esclusi, coloro che gli attuali partiti non coinvolgono. Si tratta di un modello svizzero, in cui la consultazione permanente via web sostituisce i referendum. A differenza del Movimento 5 stelle, Podemos accetta di fare alleanze con altri, com’è accaduto con Izquierda Anticapitalista o altri nelle amministrative.

 

Game of Thrones

 

“Il potere è contendibile” dice la regina Khaleesi nella celebre fiction. Iglesias e i suoi la citano spesso, come d’altra parte usano molti personaggi della saga. Hanno compilato anche un manuale mutuato dal film: un nuovo linguaggio che diventa narrazione adattabile in ogni caso e ad ogni latitudine. “La legittimità è la connessione con il popolo” si dice a Podemos: frase ad effetto ma ambigua che può voler dire tutto, come nella serie tv. Per Podemos la storia non esiste, mentre conta molto per Syriza. In Podemos non c’è nessun riferimento alla lunga marcia della sinistra (e quindi del paese) paragonabile a quella della narrazione di Tsipras. Né c’è alcuna allusione a quella tormentata della Spagna dalla guerra civile, al franchismo, fino alla democrazia. Sembra che il “patriottismo” di Podemos consista nell’evocare un popolo senza storia: da qui il Game of Thrones.

 

Il leader greco vuole superare la storia greca con una sintesi in cui antico e nuovo si intreccino senza estinguersi. Non getta nulla. A Podemos la storia si cancella, restano i diritti ma senza sfondo; resta la giustizia ma senza radici. Anzi: pur avendo un nonno che combatté il franchismo, che fu condannato a morte e poi graziato, Iglesias non vuole che si parli del passato: serve – dice – solo a dividere gli spagnoli. Nonostante le differenze tra Tsipras e Iglesias, quest’ultimo è stato l’unico leader europeo a salire sul palco la sera della vittoria di Syriza in Grecia. Certo la storia può essere un macigno se viene congelata o ideologizzata, soprattutto per due paesi che hanno conosciuto la guerra civile. Ma con essa si fanno sempre i conti poiché è fatta da uomini e donne.

 

Applicare una formula disincarnata, costruita in laboratorio, una sceneggiatura narrativa artificiale, fatta di sensazioni e suggestioni, disgiunta dalla cultura, è vacuo e può essere pericoloso. Gramsci non gradirebbe.