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USA, la strategia della guerra

di Michele Paris - 07/07/2015

Fonte: Altrenotizie


    

Il Dipartimento della Difesa americano ha pubblicato questa settimana la nuova Strategia Militare per fronteggiare le “minacce” presenti e future con cui gli Stati Uniti sono chiamati a confrontarsi su scala globale. Il documento di 24 pagine è stato redatto dal capo di Stato Maggiore uscente, generale Martin Dempsey, e prospetta il possibile utilizzo di tutto il potenziale distruttivo a disposizione dei militari USA per contrastare qualsiasi resistenza alla propria egemonia nel pianeta.

Già dall’introduzione al rapporto appare evidente il cambiamento di prospettiva adottato dal Pentagono e dalla classe dirigente americana, dopo oltre un decennio speso a propagandare l’integralismo islamico come principale nemico da combattere. Il documento strategico diffuso mercoledì, pur continuando a riconoscere la minaccia rappresentata dalle cosiddette “organizzazioni estremiste violente”, individua rischi ancora maggiori derivanti da “stati potenzialmente avversari”.

Il rapporto propone un’assurda suddivisione del mondo tra quegli stati, che costituiscono la maggioranza, “sostenitori delle istituzioni costituite e dei processi dedicati alla prevenzione dei conflitti, che rispettano la sovranità e promuovono i diritti umani”, e gli altri che, al contrario, “cercano di modificare aspetti chiave dell’ordine internazionale e agiscono in modo tale da minacciare gli interessi della nostra sicurezza nazionale”.

Contrariamente a quanto suggeriscono la logica e la realtà storica, gli Stati Uniti si auto-includono nella prima delle due categorie. Washington calpesta infatti regolarmente ogni norma del diritto internazionale, viola la sovranità di vari paesi e agisce nel totale disprezzo dei diritti umani se ciò è necessario per il perseguimento dei propri interessi.

Anche se non sono impegnati in occupazioni o guerre, a finire nella seconda categoria sono invece altri paesi, come Russia, Iran, Corea del Nord e Cina, il cui crimine è soltanto quello di non piegarsi al volere e agli interessi della prima potenza mondiale.

Leggendo le colpe di cui si sarebbero macchiati questi quattro paesi è impossibile mancare l’ironia involontaria del Pentagono, il quale assegna a ognuno dei suoi principali rivali comportamenti illegali o da condannare attribuibili in misura ben maggiore proprio agli Stati Uniti.

Così, ad esempio, i vertici militari di un paese che ha operato un lunghissimo elenco di invasioni illegali, sostengono che la Russia “non rispetta la sovranità dei suoi vicini ed è disposta a ricorrere all’uso della forza per raggiungere i propri obiettivi”. Washington, ovvero di gran lunga la prima forza destabilizzatrice del pianeta, condanna inoltre Mosca per avere “compromesso la sicurezza regionale” e “violato numerosi trattati… internazionali”.

Il paese che detiene il maggior numero di armi nucleari e da tre decenni utilizza il fondamentalismo jihadista come prolungamento della propria politica estera critica poi l’Iran per avere condotto ricerche su armi atomiche in violazione di risoluzioni ONU e sponsorizzato gruppi terroristi in vari paesi.

L’accusa di avere lavorato alla costruzione di ordigni nucleari è rivolta anche alla Corea del Nord, paese costantemente sotto la minaccia militare americana, mentre in relazione alla Cina l’approccio del Pentagono è parzialmente diverso. Nonostante gli USA sostengano di incoraggiarne la crescita e di volerne fare un “partner per la sicurezza internazionale”, la Cina è colpevole di creare tensioni in Estremo Oriente. Il riferimento americano è in particolare alle rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale, dove la stessa amministrazione Obama sta manovrando con vari paesi alleati per alzare il livello dello scontro con Pechino.

Il documento strategico del Pentagono ammette in ogni caso che nessuno di questi quattro paesi intende cercare un conflitto militare con gli Stati Uniti o i loro alleati, anche se “ognuno di essi pone serie preoccupazioni per la sicurezza” della comunità internazionale.

Ben lontani dal nutrire inquietudini per la stabilità della comunità internazionale, gli USA temono in realtà per la propria declinante superiorità militare ed economica. Più avanti, il documento del Pentagono asserisce che “gli Stati Uniti sono il paese più potente del pianeta, godono di vantaggi unici nell’ambito della tecnologia, dell’energia, delle alleanze e in quello demografico”. Oggi, però, “questi vantaggi sono minacciati”.

In sostanza, per gli Stati Uniti la stabilità, il rispetto della democrazia, dei diritti umani e del diritto internazionale sono concetti che servono a garantire un ordine planetario in cui è Washington a dettare le regole, mentre qualsiasi entità che non intende sottomettersi a esso viene identificata come una “minaccia” alla sicurezza mondiale e quindi esposta al rischio di trasformarsi in un bersaglio militare.

Sempre da questa prospettiva deriva poi la strategia delle alleanze, perseguita in funzione di accerchiamento di paesi come Cina e Russia. Nell’area “Asia-Pacifico”, in particolare, il Pentagono sanziona la cosiddetta “svolta” asiatica promossa da Obama, fondata tra l’altro sul ridispiegamento qui della maggior parte delle forze navali americane e sul “rafforzamento” dell’alleanza con Australia, Giappone, Corea del Sud, Filippine e Thailandia, ma anche sulla partnership con Nuova Zelanda, Singapore, Indonesia, Malaysia, Vietnam e Bangladesh e sul consolidamento delle relazioni con l’India.

Scenari relativamente secondari, almeno in prospettiva, sembrano dover diventare quelli di Europa e Medio Oriente. Nel primo caso, comunque, il pilastro della strategia USA rimane “il fermo impegno nei confronti degli alleati NATO”, alla luce della “recente aggressione della Russia” contro l’Ucraina. In Medio Oriente, invece, il riferimento è sempre Israele e la garanzia della sua superiorità militare sui vicini. “Partner vitali” restano anche varie dittature arabe, come Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi e Qatar.

Per il Pentagono, ad ogni modo, “a tutt’oggi le probabilità di un coinvolgimento degli Stati Uniti in una guerra con un’altra potenza planetaria sono poche sebbene in crescita”. Se ciò dovesse però accadere, “le conseguenze sarebbero immense”. Gli USA sono cioè pronti a scatenare anche una guerra nucleare per cercare di annientare i propri rivali.

Nel documento si legge infatti che, “in caso di attacco, le forze armate americane risponderebbero infliggendo un tale danno da costringere l’avversario a cessare le ostilità o impedire un’ulteriore aggressione”. Per questa ragione, e forse anche per il motivo non detto che paesi come Cina e soprattutto Russia dispongono sempre più di capacità belliche in grado di competere con quelle americane, “una guerra contro un avversario potente richiederebbe la mobilitazione totale di tutti gli strumenti della sicurezza nazionale”.

La Strategia Militare elaborata dal Pentagono quest’anno, a fronte dell’ostentazione di forza in essa contenuta, conferma l’inesorabile declino della posizione internazionale degli Stati Uniti, minacciata precisamente dalla crescita di alcuni dei paesi individuati come “pericoli” per la sicurezza globale.

La decadenza dell’impero, riflesso inevitabile della perdita di influenza del capitalismo a stelle e strisce, non comporta tuttavia un minore rischio di guerra nelle aree più calde del pianeta. Anzi, come conferma il documento appena diffuso dal Dipartimento della Difesa, gli USA sono pronti a mettere a repentaglio la stessa esistenza dell’umanità per cercare di difendere la propria posizione dominante in un mondo che tende sempre più al multipolarismo.