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La critica di Hegel all'economia politica inglese

di Costanzo Preve - 29/07/2015

Fonte: Italicum


 

Hegel non conosce la tripartizione disciplinare di economia, sociologia e politica. Questa tripartizione disciplinare (cui potemmo naturalmente aggiungere anche le "discipline" del diritto, della filosofia morale, eccetera) deriva da un'organizzazione positivistica della divisione del sapere universitario. Non ne nego I'utilità. D'altra parte lo stesso Hegel non I'avrebbe negata, in quanto per lui I'intelletto (Verstand) era bensì I'organo della divisione e molto spesso della assolutizzazione patologica del particolare, ma era anche un momento necessario e positivo per l'avanzamento del sapere. Hegel infatti voleva bensì la "totalità", ma una totalità semplicemente intuita e non articolata nelle sue determinazioni non gli interessava. Non gli interessava al tempo di Schelling, per il quale secondo Hegel I'Assoluto si dava improvvisamente "come un colpo di pistola", e non gli sarebbe certamente interessata al tempo di René Guénon e della ricerca di un assoluto conoscitivo da intuire liberandosi prima della tradizione occidentale.

 

Al posto delle partizioni disciplinari in cui le scienze sociali vengono divise Hegel proponeva una categoria unica ed unitaria della società, che egli chiamava Spirito Oggettivo. Il termine "oggettivo" significa che lo Spirito, che a sua volta era I'Idea divenuta autocosciente di sé, si oggettivava storicamente in pensieri ed in istituzioni, che a loro volta presupponevano però una precedente oggettivazione nel mondo della Natura. Vorrei insistere su questo presupposto naturale, in genere ignorato dagli "storicisti" (ma a mio avviso Hegel non era uno storicista), perché la stessa teoria di Hegel del sistema dei bisogni (la sua "alternativa" all'economia politica inglese) si basava proprio sul passaggio dal bisogno naturale al bisogno sociale. Nessun ritorno, quindi, all'impostazione russoviana dell' instaurazione del nuovo patto sociale equo ed egualitario basato sulla restaurazione dei "veri" bisogni naturali dell'uomo, ed anticipazione invece (come segnalerò nell'Appendice di questo scritto) dell'impostazione marxiana sul nesso fra crescita storica dei bisogni umani e costituzione della libera individualità universale. Al di là degli errori fattuali che Hegel può aver fatto nella sua considerazione filosofica della natura (come ad esempio la negazione dell'esistenza di un satellite di un pianeta del sistema solare che invece venne fattualmente scoperto poco dopo da un astronomo), l'aver premesso alla considerazione dello spirito quella della Natura rivela grande acume filosofico e saggezza. Acume e saggezza che invece non ebbero, a mio avviso, tutti quegli "hegeliani" marxisti (prima di tutti Engels, I'amico di Marx) che dalla corretta valorizzazione della filosofia hegeliana della natura trassero la scorretta conclusione di una omogeneità ontologica e categoriale fra le cosiddette, "leggi naturali" e le cosiddette "leggi sociali". Si tratta infatti del famoso (ed ancor più famigerato) Diamat, o materialismo dialettico, che diventò poi I'ideologia di partito ufficiale dell'URSS di Stalin e del dopo - Stalin (il lettore noterà che la chiamo "ideologia" e non filosofia, non tanto e non solo per il suo basso livello teoretico, quanto perché una filosofia non può essere per sua natura imposta in modo monopolistico, ma esiste solo in un contesto di fecondo interscambio dialogico). In una parola, Hegel non può a mio avviso essere accusato di omogeneizzazione categoriale fra la logica di sviluppo della natura e la logica di sviluppo della storia. Questa omogeneizzazione venne dopo, e si trattò di una sorta di "fissazione positivistica" i cui sfracelli oggi conosciamo molto bene.

Per Hegel dunque lo Spirito si "oggettiva" nello spirito oggettivo, il quale ovviamente non "preesiste" allo spirito stesso, che dovrebbe soltanto registrarlo e descriverlo. Lo spirito oggettivo si determina nella triade dialettica di Diritto, Moralità ed Eticità (e cioè Sittlichkeit, meglio traducibile come etica sociale, nel senso però anche di etica comunitaria, sia pure di etica comunitaria disponibile all' universalizzazione dialogica razionale). A sua volta, I'Eticità si determina nella triade dialettica interna di Famiglia, Società Civile e Stato. La successione di questi sei momenti non è per nulla casuale. vi sono molti che pensano che il metodo dialettico di Hegel sia un contributo geniale, ma il suo sistema invece sia artificioso. Non è questa la mia opinione oggi (anche se lo è stata a lungo nella mia gioventù, in cui leggevo Hegel con gli occhiali di Engels). Il sistema espositivo di Hegel rivela invece molta sapienza e molta saggezza, perché il modo di concatenare i processi sociali attraverso il metodo dialettico non può essere artificialmente isolato dal metodo dialettico stesso. Più in generale, la dialettica è certo anche un metodo, ma lo è solo astrattamente, perché concretamente esiste soltanto nella forma di una determinata connessione fra metodo e contenuto. Ho rilevato prima che Hegel non può essere definito uno "storicista". Questa affermazione può sembrare a prima vista inesatta, perché non vi è dubbio che la dialettica di Hegel si differenzia (anche se molto spesso meno di quanto generalmente lo si creda) da quella di Platone proprio per il fatto di avere un carattere sostanzialmente monomondano ed immanente, e non bimondano e trascendente. Trascuriamo qui il pur interessante problema del rapporto che certamente intercorre fra la determinazione (Bestimmung) delle categorie logico-ontologiche di Hegel e la partecipazione (metexis) delle idee di Platone nel mondo sensibile. Non vi è qui né lo spazio né la ragione per discutere adeguatamente di questo. Conviene invece chiarire in che senso affermo che Hegel non è uno "storicista". Non lo è certo nel senso diffamatorio che a questo termine dà Karl Popper, perché Hegel non si sogna neppure di "prevedere" il futuro teorizzando una società chiusa all'innovazione. Ma non lo è neppure in un senso molto più filosofico. Nella mia accezione lo "storicismo" è prima di tutto I'affermazione della coincidenza fra metodo storico e metodo logico (più esattamente logico - ontologico), coincidenza affermata di fatto sotto il punto di vista della primarietà dell'ordine storico sull'ordine logico. Ad esempio, quando Aristotele afferma che nella costituzione della società umana c'è prima la famiglia, poi la tribù, ed infine la polis propriamente politica, si ha qui una coincidenza di fatto di ordine storico ed ordine logico. Ma Hegel non pensa in questo modo. Per Hegel, ad esempio, lo Stato è il "fondamento" (Grund) sia della Famiglia che della Società Civile. Vi è qui un chiaro esempio di come I'ordine logico non corrisponde all'ordine storico.  Hegel non vuole affatto dire che storicamente i primitivi usciti dalle caverne hanno fatto subito uno stato prima di organizzarsi in famiglie, eccetera, ma al contrario che nella nostra età moderna (il nostro tempo appreso nel pensiero) lo stato fonda la stessa esistenza "riconosciuta" sia delle famiglie che delle organizzazioni della società civile.

Bisogna fare bene attenzione alle deformazioni semantiche in cui possiamo cadere a proposito del termine "stato". Oggi questo termine allude spesso allo "statalismo", inteso come eccessivo intervento burocratico (e per di più inefficiente) della macchina statale nella vita dei singoli. Hegel sarebbe dunque stato uno "statalista" ante litteram, e perciò un teorico anticipato delle macchine burocratiche e partitiche della Prima Repubblica Italiana?

 

Ma non scherziamo. Prima di tutto, riportiamo I'uso dei termini al contesto storico e semantico in cui sono stati originariamente usati. Leggiamo in proposito I'opinione del filosofo tedesco Koselleck, specialista riconosciuto nello studio della genesi storica delle "categorie. Scrive Koselleck: "L' espressione  'stato', ha assunto prima dell'Ottocento una grande quantità di significati, ma ha acquisito il significato complessivo di indicare globalmente uno 'stato' solo con la Rivoluzione Francese. L'importante concetto di 'stato' è quindi un prodotto dell'Illuminismo della Rivoluzione, cosa che si può accertare soltanto con una esatta analisi terminologica condotta di decennio in decennio... 'Status' significava infatti prima della seconda metà del Settecento ceto, classe, corte, atteggiamento, modo di comportarsi, mentalità, eccetera... in Germania questa parola 'Stato' si mescola con speranze di riscatto e aspettative per il futuro, in vista per così dire di una realizzazione pacifica della rivoluzione (sottolineatura mia, CP). Sono tutte associazioni presenti in questo concetto e che in Francia ed in Inghilterra non sono contenute allo stesso modo nella parola corrispondente. Si può dire che I'equivalente di 'stato' in tedesco (Staat) è il francese la république ed in inglese, se si vuole, "the Commonwealth".

Mi sembra che qui Koselleck abbia colto l'essenziale per una corretta valutazione della teoria hegeliana dello stato. Altro che "statalismo", assistenzialismo, inefficienza burocratica, eccetera! Lo Staat di Hegel può invece essere storicamente comparato con la République francese e con il Commonwealth britannico. Faccio notare en passant che Koselleck non è per nulla un marxista, ma un moderatissimo accademico tedesco. Lo "stato" hegeliano non è dunque una mascheratura apologetica del regno di Prussia elaborata servilmente da un provinciale di Stoccarda approdato a Berlino, ma è al contrario qualcosa di Wirklich (e cioè di reale). Ed il reale (wirklich), ricordiamocelo sempre e non dimentichiamocelo mai, è per Hegel non il reale nel senso di una realtà data oggetto di una constatazione empirica, ma è l' "effettivo", nel senso di portato effettivamente a termine come risultato di un processo. Lo stato è quindi il fondamento (non storico, ma logico-ontologico) sia della famiglia che della società civile. Per poter dunque capirci qualcosa sul rapporto fra il pensiero filosofico-politico di Hegel e I'economia politica inglese (con l'utilitarismo che le fa da involucro metafisico individualistico e meccanicistico) bisogna allora esaminare prima brevemente il concetto hegeliano di Famiglia e poi in modo più analitico e serrato quello di Società Civile. Per Hegel la Famiglia è il primo momento (secondo l'ordine logico-ontologico, non semplicemente secondo I'ordine storico-temporale) in cui i rapporti umani passano dal solo ordine morale all'ordine etico vero e proprio, inteso come ordine comunitario regolato da leggi.

Qui il carattere fortemente comunitario del pensiero di Hegel appare con particolare chiarezza. Concepire la famiglia come pura e semplice unità di consumo oppure come relazione sentimentale basata su istinti "immediati" e "naturali" (attrazione sessuale, simpatia intellettuale, comunanza di interessi nel tempo libero e/o di interessi professionali, eccetera) fa parte per Hegel della semplice sfera della Moralità, sfera che Hegel non disprezza affatto, ma che ritiene di per sé ancora aleatoria e non ancora "sociale". Il  "sociale", come sempre in Hegel, non è mai ricavato da una semplice addizione di elementi considerati "originari", come gli individui atomisticamente intesi (a-tomon-in-dividuum). Nella famiglia i duplici rapporti fra marito e moglie, da un lato, e fra genitori e figli, dall'altro, sono appunto rapporti che la società "riconosce" come di interesse comune, e che la società attraverso lo stato eleva dal livello naturale a quello sociale vero e proprio. Essendo appunto "etici", non esiste famiglia, senza amore coniugale e senza I'amore fra genitori e figli. Abbiamo visto come in Hegel non esista a rigore lo Spirito senza presupporre un elemento naturale. L'amore è I'elemento naturale che lo Stato, "riconoscendolo", riconosce anche come tessuto della propria consistenza.

Questa concezione hegeliana della famiglia è indubbiamente borghese e patriarcale nella sua genesi storica ed anche nella sua articolazione giuridica, ma contiene a mio avviso anche un elemento universale che trascende la sua vera e propria origine temporale. È dunque naturale che chi odia la famiglia odi anche Hegel. Trent'anni fa circa il primo manifesto politico del femminismo differenzialista italiano, firmato da Carla Lonzi, si intitolava provocatoriamente Sputiamo su Hegel. Questo manifesto insisteva ovviamente sugli specifici aspetti patriarcali presenti nei paragrafi della Filosofia del Diritto dedicati alla Famiglia.

 

A quei tempi questo estremismo femminista provocatorio mi sembrò un po' sgradevole, ma nell'insieme giustificato. Solo ora capisco che in questo estremismo non c'era soltanto una (legittima) polemica contro gli aspetti paternalistici della concezione hegeliana della famiglia borghese, ma c'era un vero e proprio odio teologico verso la famiglia in quanto tale, sostituita da relazioni individuali elettive di affiliazione e di adozione interne allo stesso sesso, e quindi del tutto estranee alla procreazione familiare ed all'educazione comune dei figli. Oggi appare chiaro che il femminismo (e con questo termine intendo non la legittima lotta per estendere i diritti delle donne nella società civile, ma la metafisica differenzialistica ed individualistica ostile alla famiglia in quanto tale) non è che I'avanguardia vociante di un fenomeno complessivo molto più vasto, il tentativo di ridefinire tutti i rapporti sociali come rapporti esclusivamente "morali" e non "etici" (uso qui il linguaggio di Hegel, con cui mi identifico), e cioè come rapporti relazionali puri fra individui isolati empiricamente dati. Si tratta di un caso particolare di quell'atomismo particolaristico che già Hegel criticava nelle premesse utilitaristiche dell'economia politica inglese.

Il tentativo del pubblicitario Oliviero Toscani di distruggere il papa-teologo Ratzinger si basa proprio su questo. E' interessante che dietro il tentativo delle coppie omosessuali maschili e femminili di affermare giuridicamente la propria convivenza non solo nei legittimi termini delle garanzie dei "patti di solidarietà", ma anche nell'assurda ed illegittima pretesa di equipararli in modo integrale ai normali matrimoni, non ci sia solo una comprensibile spinta di gruppo, ma ci sia una vera e propria concezione del mondo laicista, e cioè una vera e propria metafisica dell'individuo assolutizzato. Carla Lonzi faceva molto bene a voler sputare su Hegel. Hegel è una barriera comunitario - universalistica ancora più forte del cosiddetto "diritto naturale" cristiano di Ratzinger (che comunque - non voglio lasciar alcun dubbio in proposito - è mille volte meglio dell'atomismo sociale individualistico scatenato del laicismo fondamentalista).

Passando ora alla Società Civile (buergerliche Gesellschaft), la prima cosa da capire è che essa non è la Civil Society britannica. La civil society è un'aggregazione individualistica di atomi sociali in cui a rigore non esiste stato ma solo "governo" (government), che deve appunto governare e limitare gli eccessi provocati dagli animal spirits dell'homo oeconomicus abbandonato a se stesso. Non a caso, la civil society trova la sua unica vera forma di manifestazione sociale nell'  "opinione pubblica" (public opinion, Offentlichkeit), che trova oggi nella vergognosa dittatura degli apparati mediatici la sua "oggettivazione". Oggettivazione, peraltro, che oggettivizza. solo gli empirici rapporti di forza finanziari fra i giganteschi imperi mediatici, particolarmente televisivi. Per comprensibili ragioni storiche, non esiste in Hegel un'analisi filosofica della televisione. Ma scommettiamo che, se ci fosse, Hegel non concederebbe alla televisione nessuno Statuto "etico" in Senso razionale e comunitario, ma la assimilerebbe ad un dispotismo con cui lo Spirito non può in alcun modo "riconciliarsi".

La Società Civile hegeliana è la successione di quattro momenti: il sistema dei bisogni, I'amministrazione della giustizia, la polizia e la corporazione. Prima di scendere brevemente in dettaglio chiarisco subito che il termine "polizia" non vuol dire solo e neppure primariamente apparati polizieschi, ma corrisponde grosso modo a quelli che sono chiamati oggi gli apparati del welfare state, o comunque apparati assistenziali, di regolazione e di assistenza sociale, e che il termine "corporazione" allude non solo alle corporazioni professionali ma anche e soprattutto all'identità che l'individuo consegue attraverso la propria capacità professionale. L'universalità del medico, ad esempio, si risolve integralmente nella particolarità di esercitare la sua professione con la maggiore competenza professionale possibile. Ma ci torneremo. Per il momento faccio solo notare l'ordine di successione di questi quattro momenti, da cui si ricava che il sistema dei bisogni, la categoria che corrisponde (anche se imperfettamente) allo spazio dell'economia politica, è la prima e dunque la meno importante ed "etica", e non I'ultima e quindi la più importante ed "etica". Fondamenti come quelli dell'utilità e della simpatia sono sempre per Hegel fondamenti puramente "morali", e quindi soggettivi ed individualistici, e non categorie etico - comunitarie, e quindi  universalistiche.

 

Per Hegel I'economia ha come oggetto e compito il bisogno umano, o meglio I'appagamento dei bisogni umani. Per questo è un "sistema", e deve essere studiato come sistema. Qui sta in Hegel la specifica nobiltà intellettuale dell'economia politica inglese. In proposito, deve essere sempre chiaro che per Hegel i bisogni non sono mai né naturali né assoluti, almeno al livello dell'etica sociale. C'è qui una sua citazione che è, assolutamente cristallina: "Si connette con le concezioni dell'innocenza dello stato di natura, di semplicità dei costumi dei popoli incivili, da un lato, e dall'altro lato, con I'opinione che considera i bisogni, il loro appagamento, i godimenti e le comodità della vita individuale come fini assoluti - il fatto che la civiltà è considerata là come un che di soltanto esteriore, pertinente alla corruzione, qua come semplice mezzo per quei fini: I'una come I'altra veduta dimostrano l'ignoranza della natura dello spirito (Geist) e del fine della ragione (Vernunft)" (paragrafo 187, nota). Qui si ha una critica doppia e bilanciata a Rousseau ed a Hobbes, e più specificatamente alle due metafisiche alternative, apparentemente opposte ed in realtà in solidarietà antitetico - polare, del ritorno allo stato di natura mediante l'instaurazione di un rapporto politico diretto fra I'individuo atomisticamente concepito e I'universale (Rousseau, Babeuf, comunismo utopico, eccetera - nel linguaggio di Hegel la "furia del dileguare", cioè la fretta di non voler passare per la mediazione della società civile) oppure della messa al'servizio dell'universale ai bisogni riproduttivi dell'apparato economico. E qui sta, in breve, lo Hegel critico dell'utilitarismo di cui ho parlato nel titolo.

Nel "sistema dei bisogni" Hegel definisce l'individuo come l' "essere che ha dei bisogni". Vedremo che Marx su questo punto è un hegeliano addirittura ortodosso, perché per lui la "libera individualità" è quella che è caratterizzata dalla ricchezza dei bisogni. Ma la società civile è appunto "civile"o perché strappa il bisogno dalla sua natura naturale ed immediata per elevarlo alla sua natura sociale, e cioè spirituale (geistig). Da un punto di vista meramente immediato, il bisogno del pedofilo di avere fotografie pornografiche di bambini non potrebbe essere distinto dal bisogno dell'ammalato di ricevere I'insulina o la penicillina. È allora la società che "filtra" di fatto i bisogni. In questo, non bisogna a mio avviso avere paura di ricadute  moralistiche, autoritarie o censorie. Hegel mette semplicemente in guardia dalla feticizzazione meccanicistica della "spontaneità" o della formazione di bisogni ricchi e "civili" attraverso il semplice gioco della mano invisibile del mercato. A distanza di quasi due secoli, I'osservatore onesto della dinamica della società dei consumi tardo-capitalistica e soprattutto post-borghese (svincolata cioè dal vecchio ethos borghese classico) non può a mio avviso che consentire con Hegel sul fatto che questa dinamica è socialmente distruttiva. Ancora una volta, l'odio verso Hegel è particolarmente forte in coloro che non riconoscono nessuna istanza di filtraggio dei bisogni se non il mercato assolutizzato.

Lasciato a sé stesso, il sistema dei bisogni porta alla formazione della cosiddetta "plebe" (Poebel). Scrive Hegel (paragrafi 199-207): "il decadere di una gran massa al di sotto della misura di un certo modo di sussistenza, il quale si regola da sé stesso, come necessario per un componente della società - e quindi il far fronte alla perdita del sentimento del diritto, della giuridicità e della dignità (che si acquisiscono) mediante un'attività e mediante un lavoro particolare, produce la formazione della plebe (Poebel), il che, al tempo stesso, porta con sé, in cambio, la più grande facilità di concentrare in poche mani ricchezze sproporzionate".

Nonostante Hegel non suggerisca qui rimedi diretti, li suggerisce però a mio avviso indirettamente. Nel paragrafo 244 Hegel afferma che "... I'individuo perde in questo modo il sentimento del diritto, della legalità e dell'onore che ha di esistere grazie all'attività ed al suo lavoro", e nell'aggiunta di questo stesso paragrafo dice che "... non è mai la povertà in sé stessa che fa appartenere qualcuno alla plebe. Quest'ultima si determina e si definisce come tale solo con la mentalità che si accompagna alla povertà". Da queste due citazioni io deduco, se le parole hanno ancora un senso, che Hegel riteneva incompatibile con il suo Spirito Oggettivo sia I'esistenza strutturale di disoccupati sia una condizione salariale umiliante e con un potere d'acquisto insufficiente a soddisfare i bisogni individuali e familiari essenziali.

Altro che presunte leggi automatiche del livello dei salari sulla base del gioco meccanico delle onnipotenti dinamiche della domanda e dell'offerta! Secondo Lefebvre e Macherey (ed io sono pienamente d'accordo con loro), la plebe (Poebel) può definirsi come la corporazione dei malcontenti, oppure come la corporazione di coloro che non appartengono a nessun altra corporazione, da cui avrebbero invece ricavato la loro dignità di esseri sociali, in quanto la corporazione appunto è l'incarnazione dell'universale nel particolare attraverso l'indispensabile mediazione del lavoro.

 

Apro qui una piccola parentesi pittoresca. Non è un caso che coloro che concepiscono la società comunista come un grande supermercato in cui tutti si servono senza pagare e senza prima aver lavorato (in quanto a produrre ci pensano già le macchine automatizzate e robotizzate, ribattezzate virtuosamente general intellect) odino tanto Hegel. Tanto per non far nomi, ricordo qui Toni Negri, il visionario operaista che un rivista di vip americani cita fra gli unici due (fra cento nomi) intellettuali italiani di fama mondiale (l'altro è Umberto Eco). C'è in questo un involontario umorismo che sarebbe certo piaciuto al grande umorista Hegel. Infatti, una società impazzita che non è più in grado di dare un lavoro stabile e sicuro ai giovani che escono da scuole sempre più ridotte ad aree di parcheggio per futuri disoccupati strutturali consegnati ad un mercato del lavoro flessibile e precario deve ovviamente esaltare gli intellettuali che affermano come modello universalistico di società un sistema dei bisogni svincolato dalla mediazione del lavoro. Chi ha abbastanza intelligenza per riflettere rifletta.

Bisogno e lavoro sono invece in Hegel connessi. Nel paragrafo 229, o meglio in una sua aggiunta dedicata alla "polizia", Hegel chiarisce quale sia il compito fondamentale della polizia, e lo fa in termini inequivocabili: "Il benessere (Wohl) è nel sistema dei bisogni una determinazione essenziale. L'universale che originariamente risiede solo nel diritto deve dunque estendersi a tutto il campo della particolarità... nella misura in cui io sono completamente incorporato nella particolarità, ho diritto di esigere (sottolineatura mia CP) che in tutta questa connessione al mio benessere particolare sia anche favorito"'

 

La società civile di Hegel, lungi dall'essere il campo aperto alle scorrerie degli onnipotenti apparati mediatici è il luogo del riconoscimento della dignità del lavoro. Non è allora un caso che I'elemento terminale (ed in Hegel la sintesi conclusiva è anche sempre il fondamento dei momenti precedenti) della corporazione sia quello di gran lunga decisivo, al punto che mentre un'esposizione letterale del concetto di società civile in Hegel deve per forza allineare i quattro momenti nell'ordine in cui lo fa Hegel (e cioè sistema dei bisogni, amministrazione della giustizia, polizia e corporazione), un' esposizione logico-ontologica dovrebbe invece a mio avviso iniziare dalla fine, e cioè proprio dalla corporazione. Cercherò di spiegare perché, e da questa spiegazione si vedrà meglio in modo contrastivo I'incompatibilità dell'impostazione hegeliana con quella dell'utilitarismo e più in generale dell'atomismo dell'economia politica.

Il termine "corporazioni" può ricordare istintivamente al lettore le grandi corporations capitalistiche americane, oppure le corporazioni dei medici e degli speziali della Firenze di Dante Alighieri, oppure ancora la camera dei fasci e delle corporazioni del regime fascista di Benito Mussolini. Nel contesto linguistico e soprattutto concettuale hegeliano la "corporazione" non è solo un'associazione professionale, ma è anche una vera e propria fonte di identità culturale in senso generale. In una nota al paragrafo 253 Hegel afferma che "... quando non è membro di una corporazione giuridicamente stabilita e riconosciuta, I'individuo è privo di un onore legato al suo stato sociale, ed è allora ridotto a causa del suo isolamento al solo lato egoista dell' industria". Mi sembra evidente che Hegel non intende indicare soltanto le cosiddette professioni liberali e gli ordini professionali elevati (medici, ingegneri, professori, notai, eccetera). Si tratta di un punto decisivo, che è tuttora in parte rimasto in Germania nell'uso linguistico, in cui è "maestro" (Meister) anche l'operaio specializzato ed il tecnico competente. Del resto, la Germania è il paese che ha precocemente sviluppato quelle che sono a mio avviso le due sole ed uniche scuole secondarie veramente fondate ed integrali, il liceo classico e I'istituto professionale per tecnici e periti industriali e commerciali. Scuole che ritengo Hegel considerasse di eguale dignità (in proposito, le note di Hegel sull'educazione sono talmente geniali che dovrebbero essere consigliare a tutti i cosiddetti "riformatori" scolastici).

La corporazione è dunque il luogo in cui il singolo, che aveva già trovato una parziale sostanza etica come padre (e madre) e come marito (e moglie), la porta integralmente a compimento come partecipe del lavoro sociale che sta alla base del sistema dei bisogni sociali. Qui è decisivo il concetto di professionalità disciplinare e di competenza disciplinare. La "disciplina professionale", infatti, è il momento della necessaria mediazione in cui la cultura in generale si oggettiva e si determina in competenza specificatamente disciplinare. Chiunque voglia colpire la lettera e lo spirito del pensiero di Hegel deve allora umiliare il lavoro, renderlo precario e flessibile, e soprattutto colpire la sua dignità nel suo aspetto di merito e di competenza disciplinare.

Il lettore pensi alle terribili "riforme scolastiche" che nell'ultimo decennio hanno devastato la scuola superiore italiana. La riforma della scuola è stata di fatto delegata a gruppi politici e di sindacalisti che hanno prima di tutto cercato di colpire e di umiliare il profilo disciplinare della competenza dell'insegnante, cercando di ridefinire le gerarchie (anche e soprattutto salariali) non più sulla base della competenza disciplinare, ma sulla ben più fragile ed assurda base di una sorta di pedagogia facilistica di stato a base psicologica e/o amministrativa. Sarebbe come se, per fare un esempio, un chirurgo o un cardiologo non venissero differenziati salarialmente sulla base delle loro competenze disciplinari in chirurgia o in cardiologia, ma sulla base della loro capacità di gestire le public relations o di muoversi nei meandri dei regolamenti amministrativi ospedalieri. In questo delirio di pedagogisti pazzi e di sindacalisti semianalfabeti la figura professionale e disciplinare dell'insegnante è stata umiliata in una forma forse mai vista prima in circa due secoli di storia della scuola europea moderna. Colpendo il lavoro si è ovviamente anche colpito la sua dignità. A suo tempo, Hegel non sarebbe mai caduto in questo delirio pedagogico - sindacalistico.

Come si vede, occuparsi di Hegel significa di fatto "incrociare" continuamente la vita vissuta e i problemi dell'oggi. Ma di questi parleremo meglio nel prossimo e conclusivo capitolo. Per ora terminiamo ricordando il testo specifico in cui Hegel parla dell'economia politica inglese, e cioè la nota del paragrafo 189. Scrive Hegel: "L'economia politica è la scienza che ha la sua origine in questi punti di vista (e cioè la sfera di finità dell' intelletto)... è questa una delle scienze che sono sorte nell'età moderna come sul loro terreno. Il suo sviluppo mostra I'interessante spettacolo di come il pensiero (vedi Smith, Say, Ricardo) muovendo dall'infinita moltitudine dei fatti singoli, che si trovano dapprima davanti ad esso, rintraccia i principi semplici (sottolineatura mia, CP) della cosa, l'intelletto che è attivo in essa e che la governa. Come da un lato è I'elemento conciliatore il conoscer nella sfera dei bisogni questo sembrare (sottolineatura mia, CP) della razionalità il quale nella cosa risiede ed è attivo, così viceversa è questo il campo ove I'intelletto con i suoi fini soggettivi e le sue opinioni morali sfoga il suo malcontento e la sua stizzosità morale".

 

L'ambivalenza dell'economia politica sta allora proprio nel suo fondamento utilitaristico, fine soggettivo per eccellenza se mai ce ne è stato uno. Essa è il regno del "sembrare della razionalità", in cui lo scontro incessante degli individui assolutizzati crea in continuazione un mondo caratterizzato dal "malcontento" e dalla "stizzosità", e cioè dalla continua invidia ed insoddisfazione provocate dalla perdita della sostanzialità umana, che per Hegel risiede sempre nella dignità attribuita al riconoscimento del lavoro del singolo come parte determinata del lavoro sociale.

Da "Hegel antiutilitarista" Settimo Sigillo" 2007