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Il metodo di tortura di Israele: l'alimentazione forzata

di Neve Gordon - 25/08/2015

Fonte: Comedonchisciotte

 

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Miri Ragev (nella foto), Ministra della Cultura e dello Sport dello Stato di Israele, supporta la tortura.

Non è la sola. La accompagnano il Primo Ministro Benjamin Netanyahu e quasi tutti i ministri e membri della Knesset che la hanno seguita nel suo appello.

Sebbene più della metà dei membri della Knesset si sia opposta al disegno di legge, il governo di Israele supporta la tortura, e quindi, non presenta alcuna differenza con i governi di Egitto, Siria e altri suoi vicini del Medio Oriente.



Israele, apparentemente, non è un’oasi nel deserto, come molti dei suoi esperti vorrebbero credere.

Con il termine tortura, mi sto riferendo specificamente alla legge appena passata che legalizza l’alimentazione forzata che, secondo l’Associazione Mondiale dei Medici, la Croce Rossa, e le Nazioni Unite, è definita crudele, inumana, e un trattamento e punizione degradante oltre che una violazione in flagrante del diritto internazionale.

Senza dubbio, la legislazione della Knesset non è un unicum, anche tra le democrazie liberali occidentali.

Tra i paesi che schierano l’alimentazione forzata contro gli scioperanti della fame c’è anche l’illuminato alleato di Israele, gli Stati Uniti.

Mentre gli Stati Uniti hanno sottoposto all’alimentazione forzata gli inquilini di Guantánamo per molti anni, questa pratica, in realtà, ha radici profonde nello scenario storico americano.

All’inizio del XX secolo, la suffragetta Alice Paul, incarcerata per aver richiesto il diritto di voto per le donne, diede inizio a uno sciopero della fame in prigione e fu forzata ad alimentarsi a più riprese dagli ufficiali del governo.

La scena Hollywoodiana del film Uron Jawed Angels cattura l’orribile parallelismo di alcuni prigionieri. Documenta le difficoltà del movimento delle donne e dell’alimentazione forzata come un’orrenda forma di tortura.

La nuova legge di Israele non è, almeno per i nostri giorni, diretta contro i suoi stessi cittadini, ma piuttosto contro gli oltre 5750 prigionieri politici palestinesi dei territori palestinesi occupati.

Circa 400 di questi prigionieri sono stati in una cosiddetta detenzione amministrativa senza processo; alcuni fino a otto, dieci e undici anni.

La presunzione di innocenza, che dovrebbe sottostare a tutti i sistemi di giustizia progressisti e democratici, dovrebbe essere stata applicata a queste persone.

Così non è stato.

E qui ritorna la metafora dell’oasi nel deserto.

Negli ultimi anni, molti prigionieri politici palestinesi hanno iniziato scioperi della fame come una forma di protesta non violenta contro le autorità e al momento si stima che ci siano 180 prigionieri in sciopero.

Comunque, l’analisi della giustificazione di Netanyahu per il fatto di appoggiare un disegno che legalizzi l’alimentazione forzata rivela una contraddizione nella sua logica contorta.

I detenuti amministrativi sono tenuti in prigione contrariamente al diritto internazionale e al principio di un giusto processo.

A questi uomini non è stato garantito il fondamentale diritto al giusto processo, perché prigionieri come Muhammad Allaan, che è stato in sciopero della fame per 60 giorni, non sono considerati come degli essere umani nella loro integrità di individui cui sono riconosciuti dei diritti.

Allo stesso tempo, comunque, la giustificazione per l’avanzamento della legge sull’alimentazione forzata da parte di Netanyahu deriva dall’imperativo morale di salvare vite umane.

La contraddizione vede da una parte i prigionieri politici palestinesi trattati come una sottospecie; ma dall’altra, la giustificazione per la legge in questione che viene dipinta come gesto di umanità.

In ogni caso, c’è un aspetto di questa mossa legislativa che è consistente: il desiderio di danneggiare i soggetti palestinesi attivi e violare il loro diritto all’integrità del corpo.

Ma la contraddizione tra la sottospecie e la specie non è l’unica distorsione che abbraccia il legislatore di Israele che supporta il disegno di legge.

È fondamentale sottolineare che nei loro sforzi contro la violazione del giusto processo da parte di Israele, i prigionieri hanno iniziato uno sciopero della fame, che è riconosciuto come un mezzo di protesta non violento.

Ironia della sorte vuole che il modo scelto dal governo israeliano per trattare questa protesta non violenta contro la sua pratica anti-democratica dell’amministrazione detentiva sia l’istituzione di un’altra pesante violazione di diritto internazionale: la tortura, una delle forme più gravi di disumanizzazione.

Non tutto, tuttavia, è perduto. Come insegna la grande filosofa Hannah Arendt, anche nei tempi più difficili, ci si imbatte in un’azione umana che emana un raggio di luce nell’oscurità.

Il Dr. Leonid Eidelman, a capo dell’Associazione Medici di Israele, ha richiamato tutti i dottori di Israele affinché rifiutino la pratica dell’alimentazione forzata anche se la legge la richiede.

L’alimentazione forzata negli scioperi della fame, sostiene Eidelman, rompe i principi di prevenzione del dolore e mantenimento dell’autonomia sul proprio corpo da parte del paziente, violando quindi il codice etico dei medici.

Il codice etico, ha sostenuto, è al di sopra della legge.

Eidelman ha ragione. La questione ora attiene a tutti i medici di Israele, se accoglieranno l’appello di disobbedienza civile e rifiuteranno di obbedire alla legge.

La possibilità che ciò accada, sfortunatamente, è molto bassa.

 

 

Fonte: www.informationclearinghouse.info

Link: http://www.informationclearinghouse.info/article42640.htm

16.08.2015

Traduzione per www.comerdonchisciotte.orh a cura di GUENDALINA ANZOLIN