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Difetti collaterali

di Tommaso Di Francesco - 05/10/2015

Fonte: Il Manifesto


È la guerra afghana che dura più di quella del Viet­nam, giu­sti­fi­cata per ven­di­care l’11 set­tem­bre con decine di migliaia di vit­time e nella quale gli effetti col­la­te­rali, vale dire le vit­time civili dei raid aerei, sono stati un ele­mento strut­tu­rale del ter­rore «neces­sa­rio» dei bom­bar­da­menti aerei. Con risul­tati poli­tici deter­mi­nanti, come la dele­git­ti­ma­zione dell’alleato pre­si­dente Hamid Kar­zai, poi uscito di scena, che, dopo stragi con cen­ti­naia di morti e le pro­te­ste popo­lari sulle quali è cre­sciuto il ruolo dei tale­bani, si era sca­gliato con­tro il Pen­ta­gono, cioè l’ufficiale paga­tore che lo teneva al potere.

  

«Scu­sate tanto, è stato un errore», così i comandi dell’aviazione Usa e Nato si sono rivolti all’opinione pub­blica afghana e inter­na­zio­nale e all’organizzazione Medici Senza Fron­tiere, dopo che i «nostri» cac­cia­bom­bar­dieri, della nostra coa­li­zione dei buoni, ha col­pito ieri una, due tre volte l’ospedale di Kun­duz che tutti cono­scono, visi­bile da chi­lo­me­tri e nelle mappe di ogni ammi­ni­stra­zione civile o mili­tare. Assas­si­nati 12 medici e 7 pazienti, anche bam­bini tra le vittime.

È la guerra afghana che dura più di quella del Viet­nam, giu­sti­fi­cata per ven­di­care l’11 set­tem­bre con decine di migliaia di vit­time e nella quale gli effetti col­la­te­rali, vale dire le vit­time civili dei raid aerei, sono stati un ele­mento strut­tu­rale del ter­rore «neces­sa­rio» dei bom­bar­da­menti aerei. Con risul­tati poli­tici deter­mi­nanti, come la dele­git­ti­ma­zione dell’alleato pre­si­dente Hamid Kar­zai, poi uscito di scena, che, dopo stragi con cen­ti­naia di morti e le pro­te­ste popo­lari sulle quali è cre­sciuto il ruolo dei tale­bani, si era sca­gliato con­tro il Pen­ta­gono, cioè l’ufficiale paga­tore che lo teneva al potere.
Torna il para­digma della guerra mai con­clusa. Un obiet­tivo della destra ame­ri­cana neo­con che appare più che rea­liz­zato. Il mondo torna a slab­brarsi lì dove «ci stiamo riti­rando, la pace è fatta».

C’è la Siria al cen­tro, no torna l’Afghanistan e di Iraq meglio tacere, com’è meglio oscu­rare lo smacco in primo luogo ita­liano in Libia. Aumen­tano i deserti chia­mati pace e la dispe­ra­zione umana che fugge senza meta verso un imma­gi­na­rio Occi­dente, ricco ma cru­dele e respon­sa­bile delle tra­ge­die in corso.

È così, gli «effetti col­la­te­rali» afghani river­be­rano sul pre­sente della crisi in Siria l’intero spec­chio delle stragi com­messe dall’alto di migliaia di piedi, dal cielo — è l’eroismo dei top gun, quello di non scen­dere sul campo con gli sti­vali dopo la pro­pa­ganda nega­tiva delle bare di rien­tro dei mili­tari occi­den­tali. Ma come si fa a rac­con­tare ancora la favola degli errori o meglio degli «effetti collaterali»?

Se per col­pire ipo­te­tici ter­ro­ri­sti — così ora «giu­sti­fica» l’alleato il governo di Kabul -– si bom­barda den­tro una città intera con mis­sili Cruise e mici­diali Clu­ster bomb? Ora Kun­duz resterà come una mac­chia, ancora impu­nita, sulla fedina sporca del mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio, l’ideologia bel­li­ci­sta che domina l’Occidente demo­cra­tico. Con in più sta­volta l’evidenza di avere fatto strage dell’umanitario vero che legit­ti­ma­mente opera sul campo, come Medici Senza Fron­tiere o come è già acca­duto per Emergency.

Il fatto è che la guerra e le armi invece dell’effetto appa­iono sem­pre più come il difetto col­la­te­rale e nasco­sto di un Occi­dente impe­gnato nei dik­tat eco­no­mici per la gover­vance glo­bale del capi­ta­li­smo rimasto.

A domi­nare, per chi vuole vedere, è lo spec­chio delle male­fatte che si rifran­gono una den­tro l’altra. Che impe­di­sce per­fino ad Obama di par­lare sere­na­mente e stra­te­gi­ca­mente della guerra in Siria, ancora rac­con­tata come il campo dei raid nostri «buoni» (che tutt’al più fanno appunto «effetti col­la­te­rali») e quelli cat­tivi, russi (che ucci­dono civili); dove ci sarebbe un ter­ro­ri­smo «com­bat­tente e buono», orga­niz­zato dalla Cia e che quindi non va col­pito, e quello cat­tivo del «nemico» Isis, ormai tar­get comune. Dimen­ti­cando che per entrambi c’è stata la coa­li­zione degli «Amici della Siria» che gra­zie ai fondi dell’Arabia sau­dita e delle petro­mo­nar­chie del Golfo, ha acceso il fuoco di quel con­flitto da almeno tre anni. E infatti Obama non ci rie­sce, non rie­sce ad uscire dal mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio ed è costretto a subire l’intervento russo che — sem­pre san­gui­noso è, non dimen­ti­chia­molo — spa­ri­glia almeno la par­tita e si muove per una solu­zione che non può essere, nem­meno in Siria, mili­tare. E men­tre è all’ordine del giorno la Siria, Obama è costretto a vedere che c’è in casa, negli Stati uniti, un nemico che fa più vit­time del Calif­fato: il ter­ro­ri­smo dome­stico di una guerra civile stri­sciante ame­ri­cana che fa 11mila morti l’anno.

Meglio non vedere que­sto difetto col­la­te­rale allora. E silen­ziare — avete visto un gior­na­lone ancor­ché giu­sti­zia­li­sta che ne parli? — il fatto che da ieri l’Italia, con Spa­gna e Por­to­gallo, sia per un mese il «campo di bat­ta­glia»» delle più grandi mano­vre mili­tari Nato — la stessa dei raid sull’ospedale di Kun­duz — dalla caduta del Muro di Ber­lino. Pronto a nuove avven­ture, distru­zioni e spese mili­tari. Fin­ché c’è guerra c’è speranza.