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Un'Europa taroccata "made in Germany"

di Luigi Tedeschi - 23/11/2015

Fonte: Italicum

E' prevedibile la fine del primato tedesco in Europa? Se lo scandalo Volkswagen produrrà indubbiamente un calo del Pil e dell'export tedesco, certamente le conseguenze di tale debacle si estenderanno all'intera Europa, la cui economia subirà un drastico rallentamento. Il sud europeo, dopo aver subito recessione, deflazione e disoccupazione a causa della politica di austerity imposta da una BCE e una UE eterodirette dalla Germania, dopo aver assistito alla condanna della Grecia alla schiavitù del debito per generazioni con connessa espropriazione del patrimonio dello stato stesso, deve ora subire i danni economici e sociali provocati dalle manipolazioni dei test sulle emissioni delle auto compiute per incrementare la competitività tedesca.

Si ripropone nella vicenda Volkswagen il paradigma capitalista della traslazione del rischio d'impresa. Infatti, così come nei periodi di crisi i primi ad essere soggetti al rischio imprenditoriale sono i lavoratori esposti alla disoccupazione, nella logica dell'Europa della UE, le crisi provocate dai paesi egemoni vengono subite in misura assai più rilevante dai paesi più deboli, in cui il calo del Pil produce ulteriore recessione.

La Germania in Europa ha imposto un modello socio – economico basato su una politica di austerity, con costi sociali devastanti, una economia di libero mercato incentrata sull'export, a danno dei consumi interni. In una Europa in cui convivono economie tra loro assai diversificate, non integrate, la Germania ha potuto facilmente affermarsi, dato il deficit di competitività dei paesi più deboli, accentuato dalla adozione della moneta unica, che non permette svalutazioni che possano contribuire a riequilibrare i deficit commerciali tra gli stati membri. La Germania non ha creato in realtà un modello di sviluppo unitario europeo, ma ha posto in essere una strategia di dominio continentale, mediante l'espandersi esponenziale del debito dovuto ai deficit commerciali dei paesi del sud dell'Europa, la cui sovranità, sia politica che economica è stata progressivamente limitata. Il primato tedesco si è affermato e sussiste, nella misura in cui si accentua il declino economico e politico del sud europeo. Il modello tedesco ha quindi imposto il suo moralismo, che si è esaltato con la crisi greca: domina il paese creditore dalle finanze virtuose, cui fa riscontro la condanna del paese debitore, che subisce le giuste conseguenze della sua dissolutezza.

 

Il primato dell'ipocrisia tedesca

In realtà la strategia di dominio tedesca si è realizzata attraverso l'imposizione di parametri economici, finanziari, giuridici, sociali, la cui inosservanza ha comportato sanzioni per i trasgressori, ma che la Germania ha comunque disatteso senza alcuna conseguenza sanzionatoria.

 

La Germania ha violato i parametri di Maastricht riguardo al rapporto deficit /Pil del 3%, per attuare la riforma Harz, con cui ha introdotto la flessibilità del lavoro, riforma che ha comportato rilevanti disavanzi pubblici mai sanzionati dalla UE.

 

Le norme ambientali imposte dalla Germania all'Europa, con cui sono stati stabiliti i limiti anti – inquinamento per le emissioni delle auto hanno comportato un incremento dei costi di produzione per l'industria europea. Tuttavia nel 2013 la Germania ha invocato norme più flessibili riguardo alle emissioni, mentre gli altri paesi europei reclamavano norme ambientali più rigorose. La complicità delle istituzioni per quanto concerne le manipolazioni dei test compiute dalla Volkswagen appaiono evidenti.

 

Per gli apparecchi medicali e i gas refrigeranti dei condizionatori, la Germania non rispetta le norme della UE perché contrarie ai propri interessi, ignorando le procedure di infrazione.

 

La direttiva della UE riguardante la sicurezza dei prodotti, con relativo controllo e protezione del “made in” non è stata mai approvata a causa dell'opposizione tedesca. L'assenza di norme europee circa la provenienza dei prodotti penalizza gravemente l'industria alimentare italiana.

 

La Germania da nove anni non rispetta i parametri europei concernenti il surplus della bilancia commerciale con l'estero. Infatti i parametri europei prevedono che i saldi positivi dei conti con l'estero non possano essere superiori al 6% del Pil. Ma il surplus tedesco supera il 7%. Nonostante gli inviti della Commissione e le critiche degli Usa e del FMI, la Germania ha mantenuto inalterati i propri surplus con l'estero. E' dunque falso affermare che la Germania sia la locomotiva dello sviluppo europeo, perché un export eccessivo sottrae ricchezza ai paesi europei, anziché crearla. Si sono generati pertanto squilibri e deficit nei paesi deboli dell'Eurozona, che per recuperare competitività hanno dovuto intraprendere politiche di austerity che hanno ridotto la domanda interna con conseguente deflazione.  

 

Lo scandalo Volkswagen è solo l'ultimo in ordine di tempo, ma non certo un fatto unico e straordinario per l'economia tedesca. La Siemens infatti si rese protagonista, in occasione delle Olimpiadi di Atene del 2004, di uno scandalo di tangenti erogate per l'aggiudicazione di appalti e commesse. L'azienda greca di telecomunicazioni Ote ha citato in giudizio la Siemens per danni pari a 70 milioni di euro. Occorre inoltre citare tangenti versate per 18 milioni di euro dalla Germania per favorire l'acquisto da parte del governo greco di sottomarini e carri armati. La corruzione non è dunque nel genoma italiano, ma è un fenomeno congenito all'espandersi del capitalismo assoluto, dovuto allo sviluppo parossistico della concorrenza selvaggia e alla assolutizzazione illimitata del profitto, che non prevede codici morali di sorta.

 

La crisi della Grecia, che rappresenta appena il 2% del Pil europeo, non ha avuto gli effetti devastanti che potrebbero scaturire dallo scandalo Volkswagen. La Germania, imponendo all'Europa il suo dominio, oggi le impone anche le sue crisi dovute alla sua illecita concorrenza. Ma gli scandali e le potenziali crisi in cui la Germania sta coinvolgendo l'Europa non si limitano alla industria dell'auto, ma riguardano anche il sistema bancario.

 

I buchi neri della Deutsche Bank

La Deutsche Bank, che nello scorso decennio ha ampliato le proprie dimensioni fino a divenire concorrente delle grandi banche di investimento americane ed asiatiche, ha riportato nel 3° trimestre 2015 perdite per 6,2 miliardi. Tale crescita esponenziale della Deutsche Bank è dovuta ad attività finanziarie in titoli derivati contrassegnati dalla alta rischiosità. Il suo attivo ha raggiunto i 2 trilioni di euro. I suoi investimenti in derivati erano superiori a quelli di qualunque altra banca di investimento. Tuttavia agli esorbitanti valori del proprio attivo fa riscontro un patrimonio pari appena al 3% dell'attivo. La non attendibilità dei propri controlli interni, ha determinato comportamenti illeciti da parte della Deutsche Bank, culminati con le manipolazioni del mercato del Libor (tasso interbancario di riferimento finanziario) e dei tassi sui cambi. Infatti la Deutsche Bank ha recentemente concluso una transazione con le autorità americane di 2,5 miliardi di dollari per la manipolazione del Libor.

Le perdite di 6,2 miliardi sono dovute a contenziosi legali (1,2 miliardi), e a svalutazioni sulle attività di banca di investimenti. Nel proprio attivo figurano titoli tossici valutati per 31 miliardi. La crisi del 2008 ha determinato una svalutazione del titolo Deutsche Bank in borsa di circa il 35%.

Ma il dato più preoccupante è lo squilibrio tra il proprio capitale e il totale dell'attivo. La Deutsche Bank ha una forte leva finanziaria. La leva finanziaria è il rapporto tra l'attivo e il capitale netto. Tale indicatore è necessario per stabilire la misura in cui una banca col proprio capitale possa far fronte a tutte le sue attività di investimento. Quindi, quanto più la leva finanziaria è elevata, tanto più una banca è esposta a rischi, non disponendo di un capitale adeguato a coprire i rischi di insolvenza del proprio attivo. Nel 2009 la Deutsche Bank aveva un attivo superiore a 50 volte il proprio patrimonio.

I regolamenti di Basilea sono stati ignorati. Inoltre, l'unificazione bancaria europea ha comportato già nel 2014 controlli e l'esecuzione di stress test da parte degli organi della BCE sui bilanci delle banche dei paesi membri. Alcune banche italiane sono state penalizzate da tali attività di controllo, che hanno comportato onerose operazioni di ricapitalizzaizone. Per alcune banche tedesche (vedi Deutsche Bank) i controlli non hanno accertato il valore reale dei propri attivi (in cui figurano rilevanti quantità di crediti inesigibili e titoli spazzatura), per la pretestuosa giustificazione da parte degli organi di controllo che il valore di tali titoli era di impossibile accertamento. Le banche regionali tedesche (note per le loro speculazioni sui subprime), non sono state sottoposte a tali controlli. La Germania è responsabile quindi di manipolazioni finanziarie ben più gravi di quelle da essa stessa imputate ai paesi PIIGS.

 

Scandalo Volkswagen: il ruolo degli Usa e il TTIPP

Secondo le autorità statunitensi (EPA), la Volkswagen ha utilizzato un software che permetteva alle sue auto di superare i test relativi alle emissioni (che potevano superare fino a 40 volte i limiti prescritti). In tal modo la Volkswagen poteva ridurre i costi di produzione, senza aumetare i consumi e alterare le prestazioni delle auto. Gli Usa hanno comminato al gigante tedesco una multa di 18 miliardi di dollari. Per analoghe irregolarità l'EPA ha inflitto nel 2014 sanzioni a Hyundai e Kia per 100 milioni di dollari, mentre la General Motor, per un difetto di fabbricazione che causò la morte di 174 persone, fu multata per 900 milioni di dollari, la Toyota per 1,2 miliardi a seguito della morte di 5 persone. Appare evidente la sproporzione delle sanzioni irrogate alla Volkswagen rispetto alle altre case automobilistiche, le cui irregolarità, come nel caso della General Motor, causarono la perdita di vite umane.

In realtà la Volkswagen nella prima metà del 2015 ha conseguito un volume di vendite maggiore della Toyota, divenendo quindi il primo produttore mondiale. L'industria dell'auto costituisce 1/5 del settore manifatturiero tedesco, gli occupati sono 775.000, il 30% delle auto europee è “made in Germany”, una auto su 5 nel mondo è tedesca. Trattasi di un settore in continua espansione che con l'arrivo delle masse di migranti in Germania, comprimendo il costo del lavoro, potrebbe incrementare la propria competitività.

Il settore auto americano invece attraversa un periodo critico. Nonostante gli aiuti dello stato americano che hanno sostenuto il settore nella crisi del 2008, la concorrenza tedesca ha determinato la perdita di rilevanti quote di mercato interno ed estero. Infatti nel 2013 in Cina le vendite auto sono aumentate del 13,8%, con una percentuale di auto tedesche del 18,7% su oltre 20 milioni di veicoli venduti.

Da tali premesse emerge come la manipolazione delle emissioni si sia rivelata una maldestra operazione di concorrenza sleale, che comunque ha permesso agli Stati Uniti di colpire al cuore l'economia tedesca ed europea, con l'eliminazione di pericolosi concorrenti.

La condanna a 18 miliardi di multa inflitta dalle autorità americane ai danni della Volkswagwen è avvenuta nel momento in cui sono in corso le trattative tra Europa e Usa per la creazione del Partenariato Transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTIP), che comporterebbe l'istituzione di una zona di libero scambio transatlantica che prevede l'integrazione dei mercati europei con quelli americani. L'opposizione degli europei è ben nota. Si dovrebbero infatti omologare gli standard dei prodotti, le norme sul lavoro, quelle sanitarie e quelle ambientali europei a quelli americani. Verrebbero dunque meno tutte quelle normative europee poste a salvaguardia della salute, del lavoro e dell'ambiente che sono parte integrante di un modello culturale e socio – politico europeo, diversificato, se non opposto a quello americano.

Una caduta verticale dell'economia europea, potrebbe incrementare il potere contrattuale americano, onde costringere l'Europa ad accettare norme penalizzanti di un trattato che non rappresenterebbe l'integrazione tra 2 continenti, ma semmai l'incorporazione economica e quindi politica dell'Europa nell'area di influenza americana.

Il dominio tedesco in Europa, che ha generato povertà, recessione e disoccupazione nei paesi più deboli, grazie al malcontento diffuso tra le popolazioni europee, potrebbe diventare una potente arma di propaganda per gli americani. Il patto transatlantico potrebbe essere propagandato ai paesi europei più disastrati come l'alternativa al dominio finanziario tedesco e alla schiavitù del debito. Potrebbe riprodursi uno scenario geopolitico simile a quello realizzatosi alla fine della seconda guerra mondiale. Gli Usa potrebbero porre in essere una nuova e definitiva invasione economica e politica di una Europa impotente e priva di sovranità, in nome della libertà, del progresso, della democrazia, valori con cui da sempre gli Usa legittimano la loro politica imperialista nel mondo.

Agli europei resterebbe allora solo la scelta tra i due dominatori?