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Diario di un saccheggio

di Eugenio Benetazzo - 25/01/2016

Fonte: Eugenio Benetazzo


Improvvisamente sembra che i mercati finanziari assieme alle autorità sovranazionali europee si siano accorti tutti all’unisono che la montagna di crediti in sofferenza che detiene il sistema bancario italiano, ormai oltre i 350 miliardi di euro, è diventata insostenibile e pertanto in pochi giorni si è dato avvia ad un sell-off generalizzato sui titoli azionari italiani con punte di drammaticità per due istituti di credito, Banca MPS e Carige. Questi ultimi considerati tra i più rischiosi. Durante la seduta di borsa del 20 Gennaio Borsa Italia ha subito una flessione di quasi cinque punti percentuali, la peggiore negli ultimi tre anni e tra le peggiori nell’ultimo decennio. Solo MPS ha chiuso con un teorico di oltre venti punti di flessione. Banco Popolare meno undici, Unicredito meno otto, Intesa San Paolo meno sei e cosi via sino addirittura a Saipem con un meno dieci. Vederete che cosa accadrà a Veneto Banca e Popolare di Vicenza quando saranno quotate. Le sofferenze bancarie sono costantemente e progressivamente aumentate dal 2009, non è una novità la loro dimensione. Questa dinamica è conseguenza del costante deterioramento del tessuto imprenditoriale italiano, sempre più aziende chiudono, sempre più aziende vanno in affanno per l’oppressione fiscale, sempre più capitali e risorse vanno al’estero cercando un rifugio dalla Morte Nera ossia il sistema buro-partitico italiano. Il governo mediante il Ministero della Propaganda continua la sua interrotta opera per preservare lo status quo mediante annunci e proclami sul buono stato di salute del Paese. Addirittura adesso si parla non più di crescita ma di ripresa. Penso immaginate di che presa stiamo parlando. Da quando è esploso il bubbone finanziario con i subprime nel 2008 negli USA ed il contagio si è diffuso in tutto il mondo, i media di regime e gli interlocutori politici di allora si sono subito precipitati a rincuorare contribuenti e risparmiatori italiani: tranquilli, tutto a posto, le nostre banche non sono come quelle americane o inglesi, noi non rischiamo il contagio. In un certo senso questo aveva una sua valenza di obbiettività, il sistema bancario italiano non è stato più di tanto colpito dallo tsunami dei subprime.

Per questo motivo non ha fatto ricorso ai possibili aiuti allora percorribili dalle autorità sovranazionali diversamente da quanto hanno fatto invece banche spagnoli, olandesi, inglesi e germanesi, ognuna con proprie criticità riconducibili proprio agli stretti rapporti con il mondo anglosassone. Nel 2009 i crediti deteriorati in portafoglio alle sei grandi banche italiane erano meno di cento miliardi. Sono passati cinque anni e questo importo ormai è quasi quadruplicato. Cosa è successo ? Semplice, l’Italia ha fatto i conti gli effetti collaterali della crisi finanziaria ossia quella economica, quella che ha colpito negli anni successivi le piccole imprese e le famiglie a causa del credit crunch, dell’aumento dell’oppressione fiscale e dei fenomeni di delocalizzazione sia esogena che endogena. Morale: il Paese si è strutturalmente indebolito, ha perso risorse, capacità di produrre ricchezza e molta di questa ricchezza è stata spesa per continuare ad esistere o è stata trasferita altrove. Le banche pertanto hanno cominciato a incassare insoluti e default patrimoniali ossia incapacità di sostenere i debiti precedentemente contratti da parte di tutti: imprese, famiglie e privati. Non basterà una bad bank per risolvere il tutto. Magari la bad bank attenua per qualche semestre la pressione alle vendite e prova a far ritornare il sereno in borsa. Ma nel lungo termine in assenza di una strategia industriale per il Paese abbandonato ormai alla genialità di qualche piccolo e grande imprenditore che continua a fare il Don Chisciotte, non vi è altro che un lento e costante impoverimento generalizzato, affiancato pericolosamente da un’immigrazione extracomunitaria povera e priva di mezzi di sostentamento. Non ho dubbi chi pagherà tutto questo nei prossimi anni: pensionati e risparmiatori. Solo levando a queste due tipologie di contribuenti si potranno drenare velocemente e facilmente risorse (temporaneamente) per sostenere il mostro famelico della spesa pubblica.

La crisi bancaria trova comunque anche fondamento nella caratteristica strutturale del tessuto della microimpresa italiana ossia la quasi fisiologica sottocapitalizzazione. Il piccolo imprenditore di turno non appena si è trovato in contrasto con la propria banca, che per anni gli ha fatto da unico soggetto finanziatore, è andato in crash finanziario non avendo altri canali a cui attingere risorse o capitale di rischio. In sostanza noi italiani stiamo vedendo e vivendo una metamorfosi (letale) di quasi tutto il nostro tessuto imprenditoriale. Non voglio pensare a chi ha figli in tenera età e a quale destino occupazionale saranno catapultati. Il 2016 sarà l’anno horribilis per tutto il sistema bancario italiano, sia per come si trasformerà, pensiamo solo a operazioni di fusioni obbligate e forzate dagli organismi di vigilanza bancaria o ai cambi di assetto proprietario che avranno alcune banche di rilevanza nazionale, e sia per come verrà alla ribalta (se non addirittura esploderà) il bubbone ancora nascosta del credito cooperativo. Ne abbiamo già parlato anche in altre occasioni circa 1/3 dei crediti cooperativi avrà necessità di una manovra di sostegno o di una super bad bank visto il suo stato di salute attuale. L’Italia è priva di una cabina di regia, non naviga nemmeno a vista, non c’è proprio nessuno dentro la sala di comando che faccia o sappia fare qualcosa. Entro cinque anni ci renderemo conto che il torpore fisiologico a cui ci ha condotto il PD grazie agli ultimi due governi fantoccio ha dato avvio al saccheggio impunito ai danni di più parti sociali.

La classe operaia che deve accettare ora una discesa indiscriminata dei salari a causa della concorrenza (volutamente prodotta) di migranti economici disposti a tutto pur di lavorare accettando qualsiasi forma di ristoro economico. Il mondo della piccola media impresa destinato alla polverizzazione, niente si è fatto e niente si farà mai per loro, rimarranno in vita solo pregevoli eccellenze le quali tuttavia sul piano quantitativo non possono dare un contributo sostanziale al Paese. Le famiglie italiane con prole in età adolescente che vedono per la stessa solo l’emigrazione in altre nazioni come l’unica opportunità di sopravvivenza economica. Il popolo dei risparmiatori e dei proprietari di immobili spremuti oltre ogni limite e trattati come un bancomat nella menzognera propaganda catto-comunista di colpire le rendite finanziarie ed i grandi capitali. La stampa italiana, quasi tutta asservita ormai al Ministero della Propaganda, non si sofferma in questo momento a fare i conti al danno che è stato cagionato al Paese da un governo immobile innanzi ad un’aggressione finanziaria verso una banca (derelitta) in cui proprio lo Stato è diventato con il tempo il primo azionista di riferimento. In altre nazioni si sarebbero congelate le quotazioni, nel puro interesse nazionale, protetto l’asset in cui si è dovuto investire in precedenza per evitare una Lehman italiana, anziché permettere il crollo orchestrato delle quotazioni, unitamente anche a quello di altre banche italiane, prese di mira nuovamente da raider e speculatori perfettamente a conoscenza di come in cabina di regia non ci sia nessuno in grado né di ostacolarli (caso mai il contrario) e tanto meno di comprendere ex ante il loro operato.