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Questa Unione Europea è buona solo per le classi dominati

di Diego Fusaro - Alfonso Piscitelli - 28/02/2016

Fonte: Russia.it

QUESTA UE E’ FRUTTO DI UNA RIVOLUZIONE PASSIVA BUONA SOLO PER LE CLASSI DOMINANTI

DIEGO FUSARO: QUESTA UE E’ FRUTTO DI UNA RIVOLUZIONE PASSIVA BUONA SOLO PER LE CLASSI DOMINANTI

Le idee di Hegel, Marx e Gramsci per comprendere la realtà attuale e soprattutto per “riaprire il futuro” vincendo il fatalismo che ci attanaglia. “Europa e capitalismo” (edizioni Mimesis) è un libro “politicamente scorretto”: Fusaro ci parla di una conflitto sociale che è tanto più aspro in quanto condotto dalle elite oligarchiche contro i lavoratori con la distruzione del tessuto politico dello Stato nazionale che da sempre ha garantito la contrattazione delle conquiste dei lavoratori. Ma un’altra Europa è sempre possibile, ci dice l’autore, purché si abbia… “idealismo” (non quello dei buonisti, ma quello che corrisponde alla più lucida filosofia della storia dell’Otto-Novecento)

 

Diego, tu dici che il 1968 e il 1989 sono state due tappe di straordinaria accelerazione del processo di dominio del capitalismo assoluto. Capisco il 1989 con la caduta del blocco comunista… ma il Sessantotto? È un paradosso?

 

 

Non è tanto un paradosso. Nel 1968 fu contestata la società borghese, ma non il capitalismo. Ad essere attaccata fu l’etica borghese incentrata sul padre, sulla religione, sullo stato: quelle che Hegel chiamerebbe le sfere dell’eticità. Non ci si accorse che il realtà il capitalismo stesso nella sua logica di sviluppo intendeva dissolvere quelle sfere per potersi imporre nella sua forma odierna. I sessantottini non fecero praticamente nulla contro i rapporti di forza classisti, ma agirono invece contro l’etica borghese e quindi spianarono la strada al capitale post borghese. Il capitalismo pienamente trionfante risulta incompatibile con l’etica, con la religione, con lo Stato: con la grande tradizione dell’Eticità che garantiva la stabilità della vita borghese basata sul matrimonio, sul lavoro fisso, sulla formazione scolastica. Il grande capitale è per sua natura anti-etico e amante della precarietà in tutti i campi.

 

Tu avanzi il sospetto che il capitale globale stia oggi promuovendo una fittizia ospitalità rivolta a nuovi popoli per una sostituzione di quelli già esistenti in Europa.  

 

Al capitale non importa nulla dei popoli e degli immigrati. Li accoglie con lo stesso entusiasmo di un vampiro quando vede il sangue, quando vede nuovi schiavi da sfruttare: giubila all’arrivo di queste ondate migratorie che peraltro esso stesso provoca destabilizzando i paesi da cui questi esseri umani sofferenti provengono. Non c’è nulla di ospitale nel capitale: è l’ospitalità dello sfruttatore che da un lato è favorevolmente stupito nel vedere un esercito salariale di riserva, di braccia disposte a tutto pur di sopravvivere e che quindi abbattono il costo della forza lavoro; dall’altro il capitale elogia il migrante perché vuole che la sua condizione diventi lo status sociale di tutti.

 

Cioè vuole la precarizzazione globale?

 

Il capitale non vuole integrare i migranti, anzi li usa come carne da cannone. Vuole usare i migranti per rendere noi come loro e per produrre il profilo dell’uomo precario nel campo lavorativo e nomade sul piano esistenziale, promuovendo in tal modo la mobilità assoluta senza radici etiche, lavorative ed esistenziali. Quando Martin Heiddeger scriveva che “l’assenza di patria diventa un destino storico universale”, aveva colto esattamente la tendenza che oggi si è realizzata.

 

In alternativa alla UE del grande capitale trionfate tu promuovi il modello di un cosmopoli comunitaria, che sia l’insieme di singole “Communitates”.

 

Intanto, ai soliti sapientoni dogmatici che appena sentono la parola Stato nazionale inorridiscono pensando al fascismo voglio ricordare loro che oggi non c’è modo per difendere i diritti sociali dei lavoratori e delle classi deboli se non valorizzando lo Stato sovrano. È in quel quadro che si sono potuti ottenere e consolidare i diritti sociali e solo all’interno dello Stato nazionale ha senso la contrapposizione tra destra e sinistra dove per sinistra intendo la difesa degli strati più deboli e dei diritti sociali. Una volta tolto di mezzo lo Stato sovrano nazionale si toglie l’idea di una possibile contrattazione politica e domina la competizione mondiale e quindi il massacro dei lavoratori. Giustificando ideologicamente questa dinamica i “sapientoni internazionalisti” ancora una volta si pongono dalla parte del capitale contro i diritti dei più deboli.

 

Ma questa euro-crazia di Bruxelles e di Strasburgo, di Francoforte e di Berlino si può riformare?

 

A mio avviso questa Europa è irriformabile perché è nata su basi sbagliate che sono quelle della moneta unica, della banca centrale, della finanza. Se tu sei in una casa pericolante non puoi pensare di restaurarla dall’interno, devi abbatterla e costruirne un’altra migliore su solide fondamenta. E queste solide fondamenta devono essere in primis una politica attenta ai diritti dei lavoratori e dei popoli, in secundis una identità culturale europea. L’Europa può esistere solo al plurale: la pluralità delle sue culture e delle sue storie, un’Europa come quella odierna che vuole negare questa pluralità in nome del Pensiero Unico può solo distruggere le fondamenta sulle quali si illude di voler edificare.

 

Gli stessi sapientoni però sostengono che il processo costitutivo di questo modello di Europa che tu stigmatizzi è fatale e irreversibile…

 

Io ho scelto come esergo del libro una frase di Gramsci che dice che il più grande idolo è pensare che è naturale che esista tutto ciò che esiste. Oggi viviamo in una sorta di connivenza con l’insensatezza, perché pensiamo che i rapporti di forza, i diktat dei mercati, la logica illogica del fiscal compact e del “ce lo chiede l’Europa” siano naturali, fatali e ineluttabili. La filosofia deve tornare ad insegnarci il presente come frutto di una scelta storica e come possibilità: per questo io propongo di ripartire dalla filosofia idealista che pensa l’oggettività come come risultato di una azione storica e non come una specie di fatto incontrovertibile da accettare con remissione.

 

Nel 1989 quando cadde l’Unione Sovietica, alcuni proprio in una parodia delle idee di Hegel, giunsero a parlare di “fine della storia” e però proprio quel 1989 che doveva essere l’inizio di una specie di paradiso in terra liberaldemocratico ha segnato l’inizio di una stagione di inaudita aggressività con le cosiddette “guerre umanitarie”.

 

È filologicamente errata l’idea di trarre da Hegel la premonizione di una fine della storia nella maniera in cui studiosi pur grandi come Kojeve o Fukuyama hanno fatto. Il 1989 fu la fine non “della storia”, ma di una storia sicuramente. Fu la fine del conflitto bilaterale tra servo e signore. Dopo il 1989 il conflitto diventa unilaterale, diventa massacro di classe: la lotta di classe la fanno le elite neoliberiste contro il servo disarmato. La lotta di classe c’è ancora e la stanno vincendo quelli delle elite oligarchiche oggi al potere: la vincono anche tramite l’UE che è un mezzo per disarmare ulteriormente i lavoratori europei e rinsaldare il dominio di classe. L’Unione Europea è una rivoluzione passiva dico con Gramsci, cioè rinsalda solo il dominio dei dominanti.

 

Fai una affermazione forte nel libro: sostieni che nonostante i “crimini osceni” dello stalinismo in quella esperienza di socialismo reale che caratterizzò la Russia per oltre settanta anni vi fu un elemento positivo. A cosa ti riferisci in particolare o in generale?

 

Per me il comunismo novecentesco fu un elemento storico positivo per tutta una serie di motivi: primo perché sconfisse il nazifascismo, secondo perché costituì una promessa reale di felicità alternativa, terzo perché appoggiò i popoli colonizzati, quarto perché rallentò, compensò il dilagare del capitalismo che infatti dopo il 1989 ha ripreso a marciare incontrastato. Per tutto questo penso di poter dire che peggio del comunismo novecentesco e del mondo diviso in due blocchi poteva esserci solo quello che è venuto dopo…

 

E quale potrebbe essere la formula capace di fermare, per parafrasare Giordano Bruno, “lo spaccio della bestia… capitalista trionfante”?

 

In primo luogo occorre rinsaldare gli Stati nazionali dove, quindi tornare a verticalizzare il conflitto, evitando le contrapposizioni tra ultimi: immigrati contro autoctoni, destri contro sinistri, creare cioè un fronte unitario contro il fanatismo economico ultraliberista in difesa della democrazia. Ancora una volta voglio citare Gramsci secondo il quale occorre coordinare tutte le forze che per una via per un’altra sono orientate verso una rivolta contro il capitalismo.

 

Alfonso Piscitelli