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Bancarotta, l’Europa lotta per salvare i terroristi ad Aleppo

di Ziad Fadil - 02/05/2016

Bancarotta, l’Europa lotta per salvare i terroristi ad Aleppo

Fonte: Aurora sito

Fin dall’inizio del conflitto nel marzo 2011, l’occidente e i suoi mille scimmieschi burattini come Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, erano intenzionati ad occupare una delle principali città della Siria per insediarvi un potere concorrente nel Paese sfidando l’autorità centrale di Damasco. Idealmente, il premio più grasso sarebbe stata la capitale. Quando ciò non è accaduto e sembrava un compito troppo scoraggiante, l’attenzione è caduta su l’enorme capitale industriale nel nord, Aleppo, che almeno per 2 anni ha resistito agli sforzi dei cannibali terroristici di entrare. Aleppo, come Damasco e come la maggior parte della Siria, del resto, è un poliedrico e demograficamente variegato insieme di minoranze nella popolazione a maggioranza sunnita. E i sunniti di Aleppo non sono noti per militanza o fondamentalismo. Al contrario, Aleppo rimane un importante centro in Siria del ramo Sufi dell’Islam sunnita, un ramo noto per la spiritualità e il pacifismo. Damasco non poteva essere spezzata per i noti motivi, qui a SyrPer, avendo a che fare con il fronte sionista. L’Esercito arabo siriano è stato addestrato a combattere nel sud e sul Golan, dove si prevede che tutte le guerre inizino e finiscano. Così, l’EAS ha concentratogli sforzi a sigillare il confine con la Giordania per evitare le manovre dell’esercito sionista da Sud e sul Golan, che la Siria è intenta a recuperare dagli artigli dei ratti sionisti che ora occupano la Palestina araba (Siria meridionale). I continui assalti alla capitale non hanno portato a nulla, se non al bombardamento occasionale dei tranquilli quartieri misti di Jaramana e Adra. In ultima analisi, i terroristi di Jaysh al-Islam poterono infestare il Ghuta orientale da cui sono ora in lenta ma inesorabilmente cacciata. Altre aree nel Qalamun sono state poi ripulite. Ma Aleppo, apparentemente sicura, era vulnerabile solo se i sauditi potevano appoggiarsi ad Erdoghan abbastanza per aprirvi un nuovo fronte, un fronte su cui l’esercito siriano non era concentrato. Si è sempre dato per scontato che l’unico innesco del conflitto siriano-turco fosse la questione curda; risolta anni prima quando Abdullah Ocalan fu esiliato in Grecia e, quindi, in Africa. (Fu catturato da un’unità per operazioni speciali turca in Africa orientale e rispedito in Turchia dove sconta l’ergastolo ad Imrali).

I sauditi trovarono orecchie attente ad Ankara, quelle di Recep Tayyip Erdoghan al potere. Gli Stati Uniti svolsero un ruolo nell’apertura delle porte dalla Turchia alla Siria nella fase iniziale, per armare i terroristi ora radunati numerosi in aree come Hatay, Gaziantep e Adana. Lasciamo perdere il coinvolgimento di Hillary Clinton nell’inviare armi libiche in Turchia per armare gli assassini anti-Baath attraverso i crimini di Christopher Stephens, l’ambasciatore dichiarato omosessuale degli Stati Uniti in Libia e agente della CIA (proprio come Robert Ford). L’episodio di Bengasi perseguiterà Clinton abbastanza presto, ma era alla finestra per quanto succedeva nei tentativi di Stati Uniti e NATO di scalzare un presidente siriano molto popolare. Erdoghan è un membro dei Fratelli musulmani e non ne ha mancata una. Era ricettivo. Erdoghan aveva anche altri motivi. Aleppo era un importante snodo per i sultani ottomani che governavano dalla Sublime Porta d’Istanbul. Chiunque abbia mai vissuto Aleppo, come l’autore, non può capire le sostanziali influenze turco-armene su tutto, dai modi di dire alla cucina degli abitanti. Erdoghan vide le aperture saudite e statunitensi come invito all’espansione; una giustificazione della chimera del rinnovato impero con lui come sultano (o forse califfo) redivivo. Per quanto assurdo possa sembrare, le nazioni non necessariamente si comportano seguendo esclusivamente gli interessi. Vi è l’elemento della fragilità e della credulità umane. Vi è la psicosi che affondò Hitler in Russia e che affonda Erdoghan oggi in Siria. C’è voluto molto tempo all’Esercito arabo siriano per rispondere alla sfida tattica spostando le sue priorità da sud a nord. Ma, con l’aiuto russo e iraniano, il passo verso la battaglia nazionale è diventato una realtà cui assistiamo oggi ad Aleppo.
Aleppo è la penultima meta del governo. Una volta liberata completamente, parlare di “soluzioni politiche” o “governi di transizione” sembrerà banale, perfino senza senso. Gli Stati Uniti e i loro alleati lo sanno, motivo per cui sono esplose le attività diplomatiche per frenare l’EAS e la sua rinnovata Aeronautica. Cercano disperatamente di fermare l’assalto che, si prevede, comporterà la disfatta totale dei ratti su tutta Aleppo nelle prossime settimane. La Lega araba, ispirata dallo Stato-scarafaggio del Qatar, guida una riunione di emergenza totalmente concentrata su Aleppo. Il Qatar, attraverso la sua macchina della menzogna propagandistica al-Jazeera, dilaga la retorica che accusa il governo di Damasco di “crimini di guerra” e simili. Inutile dire che nessuno presta molta attenzione all’orrida prostituta rotta a tutto che è al-Jazeera. Questa la tecnica: cercano d’istigare il furore nel pubblico per giustificare un intervento diretto militare che è mancato perché l’amministrazione russa ha chiarito nettamente che alcuna “pressione sarà fatta alla Siria mentre combatte il terrorismo“. Questo è l’incubo del Qatar. Con un membro del Consiglio di sicurezza che ostacola il tentativo di salvare gli ultimi ratti di al-Qaida ad Aleppo, la muta di ratti che domina il Qatar deve fare i conti, ora, con il fatto che ha perso più di 100 miliardi di dollari in riserve per sostenere la guerra maniacale contro il popolo della Siria. I sauditi sono in una posizione ancor meno invidiabile. Hanno perso il loro rapporto privilegiato con Washington. Hanno iniziato dei passi per la pace nello Yemen nella speranza di salvarsi la faccia con il ritorno negoziato del loro factotum immensamente impopolare, al-Hadi, al potere. Le recenti dichiarazioni del leader huthi indicano che i colloqui non vanno da nessuna parte, nonostante la sciocchezza del Quwayt nel menzionare l’imminente “storico accordo”. Infatti, la macchina combattente Ansarullah ha appena liberato la base militare di al-Amaliqa con un arsenale da Creso di armi da utilizzare per eliminare i sauditi. I sauditi sono in un torrente senza pagaie, per così dire. E la loro leadership è senza timone ed è ingenua. Vediamo la lenta discesa della Casa dei Saud nel pozzo nero della dissoluzione.
Ieri e oggi l’Esercito arabo siriano è avanzato più in profondità nel quartiere di al-Rashidin liberando 8 edifici ed eliminando 4 cecchini. I terroristi erano quasi tutti membri di al-Qaida e affrontano un terribile destino mentre il nostro esercito li pesta continuamente presso Dhahiyat al-Assad. SyrPer ha ricevuto segnalazioni precise di profonde carenze di munizioni e acqua tra i ratti in questo settore. Siamo sicuri che cadrà abbastanza presto perché le chiacchiere tra ratti indicano un completo crollo morale con dichiarate espressioni sull’assenza di fiducia nei capi. Non ci sono più linee di rifornimento.