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Difendiamo la democrazia del cibo

di Carlo Petrini - 05/05/2016

Difendiamo la democrazia del cibo

Fonte: slowfood

Il Ttip è nudo! Finalmente qualcuno è riuscito a pubblicare quasi tutte le carte di un trattato così importante tra due continenti che pochi tecnocrati, con appoggi governativi, cercavano di nascondere nelle segrete stanze. Ma è lecito che siano state portate avanti trattative così importanti che coinvolgono milioni di persone tenendole all’oscuro di tutto? Finalmente sappiamo di che stiamo parlando e la realtà è ben peggiore delle peggiori previsioni.

Le turbolente vicende relative ai negoziati sul Ttip, tuttavia, confermano sì alcuni segnali poco consolanti, ma ci danno anche qualche speranza.

Le brutte notizie, a dire il vero, le conoscevamo già molto bene:

1) I cittadini, a volte, devono difendersi dalle istituzioni: questo non era nei patti dell’idea di democrazia. Non era nei patti che una Commissione Europea di “nominati” si svincolasse dichiaratamente dalla volontà dei cittadini che eleggono il Parlamento Europeo, arrivando addirittura ad accettare modalità di negoziazione che ostacolano l’accesso dei parlamentari ai documenti. Così ci hanno pensato i cittadini, e nella fattispecie Greenpeace Olanda, a pubblicare il testo di quel trattato segreto. Non ringrazieremo mai abbastanza questa organizzazione, ma ripetiamo: non è così che dovrebbe funzionare.

2) L’arroganza del mercato e dei suoi alfieri si concentra su velocità e facilità degli scambi omettendo di considerare l’oggetto degli scambi: armi, pane o informazioni, è uguale, purché sia tutto rapido e (dunque) uniforme. Questo è di una stupidità straordinaria, è la vecchia metafora del treno che va sempre più veloce senza che i passeggeri possano non solo sapere dove vanno e chi sta guidando, ma addirittura chi li ha messi su quel treno. Con il Ttip questa logica ha raggiunto il suo massimo splendore: “armonizziamo” gli standard, ci dicono, così gli scambi aumenteranno, di ritmo e di numero. “Abbassiamo le barriere non tariffarie” così facilitiamo il commercio tra Europa e Stati Uniti. Ma il commercio di cosa? Con quali benefici pratici per le comunità? Fa lo stesso: l’importante è che le merci corrano per il pianeta senza intralci. E gli intralci, le barriere, per l’appunto, si chiamano “normative”. A protezione del lavoro, della salute pubblica, dell’ambiente. Che fastidio, vero? Dover pianificare i propri affari evitando calpestare i diritti, di ammalare le persone, di inquinare l’universo. Via, liberiamoci di questi freni, il treno andrà più veloce.

3) L’intralcio principale è – in fin dei conti – il sistema democratico. Che prevede che i rappresentanti eletti dalle popolazioni coinvolte dicano la loro in situazioni come queste. Ma se si fa così non si va avanti, avranno pensato i tecnici ai quali è stato affidato (da chi??) il compito di scrivere questo trattato. Invece la democrazia è una cosa lenta. Si costruisce poco alla volta, si controlla tutte le volte, si riconsolida ad ogni passaggio. La democrazia europea tra mille difficoltà, ha costruito le normative che ora paiono d’intralcio alle multinazionali. Perché, come ci diceva il buon Pericle 5 secoli fa «il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia». Le multinazionali sono poche. I cittadini sono moltissimi.

E veniamo alle buone notizie.

1) Non è vero che gli interessi degli statunitensi sono diversi da quelli degli europei. Di più: non è vero che gli imprenditori, e in particolare quelli agricoli, degli Usa sono tutti di grande scala e dediti alle monoproduzione, mentre quelli europei sono tutti piccoli e multifunzionali. La differenza semmai sta nell’interesse alle esportazioni intercontinentali, che riguarda pochissimi imprenditori. Ma attenzione: quando si parla di cibo e di vino di qualità, si fanno affari oltreoceano anche restando relativamente piccoli; l’importante è mantenere alta la qualità. La quale è tutelata dalle normative-intralcio. Così le alleanze si sono strette per livelli: la base della piramide produttiva, popolata dalla piccola e media impresa, condivide al di qua e al di là dell’Atlantico, le medesime preoccupazioni: se si abbassano gli standard quella base non ci guadagna.

2) Lo stesso senso di condivisione pervade la base della piramide dei consumatori, sempre da entrambe le parti dell’oceano. Sembra proprio che, grazie a questo tentativo di patto scellerato, finalmente le popolazioni si riscoprono parte della medesima comunità di destino, parte di un sistema planetario che deve innanzitutto difendere la qualità della propria vita e solo in seconda battuta la salute dei conti in banca di alcuni di loro.

3) E infine la migliore di tutte: nonostante gli spudorati tentativi di tenere il dibattito il più lontano possibile non dico dalle piazze, ma addirittura dai Parlamenti legittimamente in carica, le piazze, le parrocchie, le sale convegni, le librerie, i bar, le università, le associazioni piccole e grandi si son fatte sentire e stanno cambiando di fatto gli equilibri: per quanto ancora verranno ignorate? Il giorno del “Ttip Leaks” ad opera di Greenpeace ha portato alla luce un tema così importante, finalmente i Tg si sono accorti che esiste questo dibattito. Non tutti, sia chiaro.

La democrazia negata si può restaurare proprio a colpi di democrazia: ovvero di informazione e di spazi di confronto: come quello che si aprirà a Roma il 7 maggio. Una manifestazione che si tiene pochi mesi dopo quella di Berlino che ha portato in piazza circa 250mila persone. Si disse allora: i tedeschi sono più sensibili, più attenti a questi temi, in Italia non funzionerebbe. Spero invece che si realizzerà in una grande partecipazione attiva dei cittadini italiani perché siamo tutti cittadini del mondo e gli uomini “uomini di buona volontà”, ovvero quelli che lavorano per il bene comune, sono dappertutto, e parlano la stessa lingua.