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Programma per la riconversione ecologica della società da qui al 2050

di Robert Costanza, Tim Jackson, Carol Franco, Herman Daly, Gar Alperovitz, Joshua Farley, Ida Kubiszewski, Juliet Schor, Peter Victor - 28/05/2016

Programma per la riconversione ecologica della società da qui al 2050

Fonte: filosofiatv


Un’équipe scientifica di ricercatori, economisti ed ecologisti di notevole levatura ha elaborato un programma realistico e desiderabile, per riformare radicalmente le strutture economiche, sociali e culturali attualmente dominanti, accusate di promuovere la devastazione del pianeta e degli ecosistemi, minacciando così le basi della vita, in nome della crescita illimitata. Questo programma di riconversione globale, fondata sul principio della “prosperità senza crescita”, è stato recentemente pubblicato grazie all’Institut Veblen con il titolo Vivement 2050 – Programme pour une économie soutenable et désiderable(Paris 2013).

Le soluzioni delineate meritano di essere attentamente esaminate e discusse negli ambienti dell’ecologismo e della decrescita, ma non solo: in realtà, anche la società civile e il mondo politico (le componenti più responsabili) dovrebbero confrontarsi con questo programma, invece di ripiegare su posizioni superficiali che denotano la mancanza totale di ecoalfabetizzazione.

Il progetto di riconversione viene articolato in cinque settori principali, che riguardano: una nuova visione del mondo, gli ecosistemi (il capitale naturale), il capitale fabbricato, il capitale umano, il capitale sociale. Ecco una panoramica delle principali idee e proposte presenti nel testo.

 

UNA NUOVA VISIONE DEL MONDO. Un programma che mette al primo posto l’esigenza di una nuova visione del mondo, non può che destare stupore in quanti sono abituati a privilegiare obiettivi “concreti” di corto respiro, disinteressandosi di tutto il resto, come accade frequentemente negli ambienti dell’ecologia superficiale. Gli autori, che non sono filosofi ma scienziati, hanno il merito di focalizzare l’attenzione sul cambiamento dell’immaginario, quale requisito indispensabile di un cambiamento globale. Il vecchio immaginario è incentrato sulla contrapposizione uomo – natura, sul presupposto acritico della superiorità della specie umana e sul presunto diritto di questa al dominio su tutti gli altri esseri. Si tratta di pregiudizi

 

 

antiquati e pericolosi, che occorre superare, in nome di una visione meno rozza, più matura ed ecologicamente orientata, basata su alcuni punti fermi, tra cui: la vita umana è intrinsecamente correlata a quella dell’intera natura, da cui dipende; l’umanità non ha privilegi da imporre, ma responsabilità aggiuntive, di cui dovrebbe essere all’altezza; in particolare, dovrebbe saper prendersi cura della vita in senso ampio; il meccanicismo ha promosso una visione semplificata, contrappositiva ed errata, per cui deve essere superato in nome di un approccio inclusivo, ecosistemico; questo vale anche per l’economia, dato che i fatti economici sono sempre correlati alla natura, da cui essi stessi in ultima analisi dipendono; nel mondo ormai  “pieno”, la produzione deve rivolgersi non alla quantità, ma alla qualità; basta con il culto della crescita dei beni economici, considerando anche che questi sono dei mezzi, e non un fine assoluto da implementare ad ogni costo…

Azioni urgenti: completare e perfezionare l’elaborazione della nuova visione del mondo, con il contributo delle diverse competenze; promuovere il nuovo paradigma della “prosperità senza crescita” nella scuola, nella società, nelle istituzioni, per cambiare l’immaginario dominante.

 

CAPITALE NATURALE. Gli autori precisano opportunamente che il termine “capitale” (per certi versi ambiguo e discutibile) non deve essere associato al termine “capitalismo”(p. 12), perché qui viene inteso in un senso molto più ampio: il cosiddetto capitale naturale infatti riguarda ciò che, essendo originario e primordiale (p. 88), non è opera umana, e include la biodiversità, gli ecosistemi, e dunque anche i beni ed i servizi che essi forniscono. Tutto questo è indispensabile per sorreggere la vita in generale, e quindi anche la vita umana: basti pensare a beni e servizi come la regolazione climatica, il ciclo dell’acqua, il riciclaggio naturale, la fertilizzazione del suolo, le materie prime necessarie per la produzione, l’energia solare e eolica… A partire dalla rivoluzione industriale, il capitale naturale è stato gravemente intaccato e via via ridimensionato: il degrado degli ecosistemi, l’inquinamento ambientale e la riduzione della biodiversità costituiscono le più gravi emergenze del nostro tempo.

Ogni epoca ha avuto i suoi fattori limitanti, che possono essere di segno molto diverso: oggi quelli sopra citati sono diventati i fattori limitanti che ostacolano la prosperità nel cosiddetto “mondo pieno”. Da questa diagnosi essenziale possiamo ricavare le indicazioni strategiche per le azioni da compiere.

Azioni urgenti: investire non nell’economia della crescita, ma in capitale naturale. Questa strategia ha una forte componente “passiva”, nel senso che si tratta in via prioritaria di diminuire notevolmente la pressione antropica e di “lasciar fare” la natura per ricostituire il capitale naturale degradato e le aree wilderness. Tuttavia, vi è anche un aspetto “attivo”: l’uomo può coadiuvare la natura nel ricostituire foreste, zone umide, habitat naturali…

 

 

CAPITALE FABBRICATO. In età premoderna, il capitale costruito, essendo alquanto contenuto, poteva essere considerato un fattore limitante per il benessere umano, e proprio a partire da considerazioni del genere nell’età moderna si è puntato moltissimo sull’espansione ad oltranza delle produzioni umane, ritenendo che esse fossero sicuramente fonte di prosperità; in tale contesto produttivista, la natura è stata svalutata, e radicalizzando questa prospettiva antropocentrica, addirittura si è pensato che il capitale fabbricato potesse sostituire il capitale naturale. Operando alla luce di questo orientamento di fondo, siamo passati dal “mondo vuoto” al “mondo pieno”: il pianeta è stato via via saturato di merci, di infrastrutture, di cemento, di macchine, di tecnologia (capitale fabbricato, appunto). Tuttavia, la proliferazione di capitale fabbricato a danno del capitale naturale ha procurato solo in parte i vantaggi promessi, quelli che tutti conosciamo: per il resto, sono aumentati a dismisura gli effetti collaterali della crescita (devastazione ambientale, inquinamento, malattie da progresso… ), e ormai nei paesi avanzati la crescita (di capitale fabbricato, di PIL) è diventata antieconomica, nel senso che le disutilità pareggiano o superano i benefici ad essa dovuti. Questo è un evidente indizio del fatto che abbiamo seguito un paradigma sbagliato: ora bisogna cambiare direzione, non ci serve più crescita, ma un nuovo equilibrio, duraturo, tra natura e capitale fabbricato, che suppone quanto previsto nel punto precedente. Il concetto di economia in stato stazionario si inserisce in questo contesto, e lo studio delle economie senza crescita può essere d’aiuto (pag. 191-192).

Azioni urgenti: correggere o sostituire al più presto le tecnologie più impattanti; studiare l’impatto ambientale di produzione e consumi, per correggere, limitare, vietare o sostituire quelli più nocivi e insostenibili (troppe auto, troppe strade, troppi combustibili fossili, troppi consumi di lusso… ). Individuare e internalizzare i costi complessivi della crescita, nei vari settori di produzione e consumo, in modo da ottenere prezzi integrali meno arbitrari e maggiormente corrispondenti al valore  reale delle cose (pag. 156-157).

 

CAPITALE UMANO. Il sistema economico dominante ha alienato gli esseri umani, riducendoli a forza-lavoro e a consumatori irresponsabili, atrofizzandone le componenti più elevate, in quanto non funzionali alla logica della crescita economica.  In questo modo le potenzialità degli esseri umani sono state ostacolate e non incoraggiate. Le scienze riduzioniste, incapaci di apertura ecosistemica, hanno svolto un ruolo negativo, e lo stesso dicasi per quanto riguarda l’educazione scolastica, troppo spesso piegata alle logiche alienanti di cui sopra. Per migliorare la qualità del capitale umano, occorre un’educazione molto diversa, che possiamo tratteggiare come segue: innanzitutto, non deve privilegiare il confinamento in classe, ma il contatto diretto con la natura; questo perché si tratta di valorizzare il

 

 

suo ruolo anche rispetto alla vita umana. In questo modo, si favorisce la responsabilizzazione degli individui, che vengono abituati a coesistere con ecosistemi sani e non degradati. La responsabilizzazione prevede inoltre una prassi quotidiana di partecipazione attiva, nella vita scolastica come in quella civile.

Rispetto alle scienze riduzioniste e settoriali, occorre promuovere conoscenze più estese, rivolte alle interconnessioni tra natura, mondo umano, economia, società… In questo modo, gli allievi e gli adulti raggiungono gradi più elevati di consapevolezza, e comprendono, tra l’altro, che i nostri livelli di consumo sono eccessivi e insostenibili. In funzione di una società che non assolutizza produzione e consumi, occorre ridurre il tempo di lavoro e distribuirlo più equamente tra i membri della società; occorre inoltre promuovere le tecnologie che migliorano le condizioni lavorative, rendendo il lavoro più appetibile per tutti.

Azioni urgenti: ecoalfabetizzare la scuola e la società, per formare persone responsabili e consapevoli; promuovere i saperi di tipo ecosistemico; promuovere la democrazia partecipativa; ridurre il tempo di lavoro e migliorare la qualità del lavoro; favorire e premiare le attività funzionali al bene della comunità (e non quelle rivolte al profitto privato).

 

CAPITALE SOCIALE. Gli autori intendono per capitale sociale non semplicemente la somma delle istituzioni e delle norme che le riguardano, ma soprattutto il collante che garantisce le interazioni sociali, coinvolgendo gli individui e le istituzioni nei reciproci rapporti. Negli ultimi secoli, la forma largamente prevalente di capitale sociale è stata quella del mercato: siamo abituati al fatto che imprenditori e lavoratori acquistano e vendono forza-lavoro, in base a calcoli di convenienza; il fatto che le merci siano prodotte, vendute e acquistate ci sembra normale…ci siamo affidati al mercato, e via via le relazioni mercantili hanno invaso la nostra vita, in assenza di un capitale sociale di segno diverso. Ingiustizie, disonestà e corruzione hanno ulteriormente indebolito il legame sociale, nel mentre stato e imprese non hanno contrastato questa tendenza, risultando perciò fallimentari. Come ricostruire la coesione sociale?

Azioni urgenti: diffondere e rinforzare le pratiche che creano un buon capitale sociale e il senso di comunità. Per esempio: gestione non privatistica delle aziende; creare spazi che favoriscono le interazioni sociali; favorire i mercati e le monete locali; privilegiare la democrazia partecipativa rispetto a quella rappresentativa; favorire gli incontri tra culture diverse; valorizzare l’educazione civica in quanto fonte di capitale sociale; ridurre le ineguaglianze e attenuare l’individualismo…

 

Altre indicazioni meritevoli di approfondimento: estendere l’ambito dei beni comuni; riforme fiscali ecologicamente strutturate; privilegiare i servizi che

 

 

comportano molto lavoro vivo, e poco consumo di materia ed energia; vietare la pubblicità che istiga al consumismo; superare la logica della crescita, ma anche quella della green economy; attenzione all’effetto rebond; promuovere equilibrio ed equità anche nei rapporti tra umani e non-umani.

 

 

A cura di Robert Costanza, Tim Jackson, Carol Franco, Herman Daly, Gar Alperovitz, Joshua Farley, Ida Kubiszewski, Juliet Schor, Peter Victor

 

[A cura di Redazione di Ecofilosofia . Fonte: Quaderno di Ecofilosofia www.filosofiatv.org ]