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Brexit improbabile

di Simone Torresani - 28/05/2016

Brexit improbabile

Fonte: Il giornale del Ribelle

Mancano ormai poco più di venti giorni al "Brexit", il referendum che verterà sulla permanenza del Regno Unito nell' Unione Europea Purtroppo per noi abbiamo imparato, negli ultimi anni, ad essere cinici e disincantati, quindi non ci facciamo molte illusioni su una uscita dei britannici dall' Unione Europea: la maggior parte dei partiti politici britannici è nettamente contraria ad abbandonare Bruxelles -nello schieramento "europeista" vi sono metà dei conservatori di Cameron, i partiti locali scozzesi, gallesi, in parte nordirlandesi, i Verdi, i Laburisti e i Liberaldemocratici- e più si avvicinerà il voto, più aumenteranno le pressioni psicologiche e catastrofiste dei presunti "esperti", che paventeranno scenari apocalittici, parleranno i guru dell' economia, della finanza, dell' industria, si toccheranno le corde dei giovani cosmopoliti e si spaventerà ciò che resta delle classi medie. Non dimentichiamo, infine, l'ostilità della maggior parte delle cancellerie europee e anche del governo d' oltreoceano, culminato con l'"endorsement" di Barack Obama lo scorso 22 aprile a favore della permanenza di Londra nell' Unione. Troppi sono gli interessi a tenere legati gli inglesi al baraccone allo sbando chiamato "Unione Europea", quindi abbiamo paura che questo referendum, alla fine, diventi l'ennesima tempesta in un bicchier d' acqua, come tutte le consultazioni degli ultimi tempi: i vari referendum indipendentisti in Scozia, il voto catalano dello scorso autunno, la farsa greca del luglio 2015 contro i diktat della Troika e potremmo continuare ancora a lungo. Ammesso e non concesso che vincano i contrari all' Europa, state certi che le cancellerie andranno in fibrillazione, i capi di Stato e di governo faranno frenetiche telefonate, incontri, summit, vertici, dichiarazioni; le centrali della finanza mondiale (di cui la "City" è uno dei vertici piramidali e cervelli) completeranno il gioco con qualche manovra speculativa bene assestata, mandando in crisi nera la sterlina e facendo nascere psicodrammi collettivi fin quando, dopo l' ennesima consultazione a Bruxelles si giungerà ad un accordo della "venticinquesima ora" in cui Cameron rinegozierà le condizioni dell' adesione del Regno Unito all' UE, spinto dalla "necessità" e da una "situazione di emergenza". Nuove condizioni che sarebbero davvero un "absurdum", in quanto il Regno Unito gode già di privilegi speciali, tra cui quello di avere quote del 16% nella Banca Centrale Europea pur non avendo adottato l'euro come moneta, mentre ad esempio due Paesi di eurolandia, Italia e Spagna, detengono rispettivamente il 14% e 11%. Sono cifre che parlano da sole, in caso di uscita in troppi avrebbero da perdere e siamo sicuri che nessuno, Cameron in primis, ha il reale interesse a sbattere la porta. Infine i referendum sono i nipoti di quelli che una volta si chiamavano i "plebisciti", consultazioni dall' esito già scontato che venivano manipolate senza vergogna. Nessuno controlla i controllori e l' ultimo esempio lo abbiamo avuto di recente, col sorpasso "sospetto" del candidato ecologista Van der Bellen a scapito di Hofer in Austria, per una manciata di voti giunti per altro "per posta", ma anche a Linz i conti non tornano, così come in una cittadina dove, a fronte di 9.000 elettori registrati, si sono contati 13.000 suffragi (collegio elettorale di Waidhofen), senza contare l' aumento dei voti per "conto terzi" e per procura e un aumento sospetto delle schede giunte dall' estero, 20.000 in più di quelle preventivate. E tutto questo in Austria, considerata un modello di trasparenza e democrazia. Quando la posta in palio è troppo alta e si rischiano di scardinare i pilastri del mostruoso edificio "comunitario" costruito in sei decenni, ogni sistema è lecito e la tanto decantata democrazia può benissimo finire in naftalina. Così per l' Austria, così per il Regno Unito. Per queste ragioni, dunque, noi non ci illudiamo granché su una eventuale Brexit -anche se sarebbe da auspicare di tutto cuore. Che cosa possiamo sperare allora dal voto del 23 giugno? L' unica speranza è che, al di là del risultato, si mettano in moto dinamiche non controllabili dal Sistema. Già il fatto d' aver messo in discussione e per giunta al voto popolare, per la prima volta in 59 anni, la permanenza di un singolo Paese nell' Europa Unita non è un risultato da buttare via. Si è rotto un tabù che durava da fin troppo. Infine, nel caso in cui per trattenere Londra si dovessero mettere sul piatto altri privilegi scandalosi, anche i più idioti noterebbero la disparità di trattamento tra il Regno Unito da una parte e una buona fetta di Paesi dall' altra, alimentando nuove pulsioni antieuropeiste. Dobbiamo metterci in testa che l'Unione Europea non morirà d'infarto, ma di consunzione, di tubercolosi. E le morti di consunzione sono le più sfibranti, lunghe, devastanti, interminabili ed atroci. Si deve avere pazienza, armarsi di tanta pazienza e pensare al dopo, consapevoli che prima o poi anche un malato terminale sotto accanimento terapeutico morirà di morte naturale. All' improvviso, quando nessuno se l'aspetta.