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Fedeltà, mansuetudine, dominio di sé: i tre mattoni per ricostruire la famiglia

di Francesco Lamendola - 30/05/2016

Fedeltà, mansuetudine, dominio di sé: i tre mattoni per ricostruire la famiglia

Fonte: Il Corriere delle regioni

Abbiamo detto che la famiglia è sotto attacco; che l’uomo è in crisi, e la donna, tutta presa dall’intento di scalzarlo e sostituirlo nel suo ruolo trainante, sta smarrendo se stessa; abbiamo individuato nella cultura femminista il nodo centrale della difficoltà in cui versano i rapporti fra l’uomo e la donna e il declino cui pare destinata la famiglia. La donna si sta virilizzando, ma, nello stesso tempo, persegue una strategia esasperata di seduzione permanente: chi voglia sedurre, non è ben chiaro, dal momento che il maschio la soddisfa sempre meno e, in ogni caso, dice di non sopportare più il prototipo del maschio vecchio tipo, grossolano e prevaricatore.  Sta di fatto, però, che la donna moderna non vuol piacere solo al suo uomo, ma a tutti gli uomini, e vuol piacere loro non per le sue qualità intellettuali e spirituali, ma esercitando il massimo della provocazione erotica, anche coi mezzi più grossolani e anche nelle situazioni meno idonee, ad esempio quando è nelle ultime settimane di gravidanza, o quando se ne va in strada spingendo la carrozzella col bambino di pochi mesi. Difficile immaginare che, conciata e truccata come una ragazza di strada, anche se si crede elegante, la donna moderna riesca a catturare l’attenzione di uomini che non siano banali, superficiali, grossolani: proprio quelli che afferma di detestare; e, nello stesso tempo, difficile pensare che gli uomini dolci, sensibili, un po’ romantici, se pure ve ne sono ancora, non si sentano intimiditi e a disagio di fronte a un tipo femminile così aggressivo ed emancipato, e non siano tentati di scappare a gambe levate. In entrambi i casi, la donna moderna è riuscita nell’indubbio capolavoro di attirare a sé gli uomini peggiori, e allontanare quelli potenzialmente migliori. Logico che poi si lamenti del fatto che non ci sono più uomini decenti in circolazione.

Una volta sposta, una donna di questo tipo non cambia le sue abitudini: vuol continuare a piacere a tutti, anche quando va a spasso coi bambini, anche quando esibisce il pancione, in bikini, sulla spiaggia più affollata. Non conosce il pudore, né la riservatezza: vuole far vedere che è libera ed emancipata, ma sovente possiede la finezza di una pescivendola di Trastevere e il buon gusto di una battona dei viali di circonvallazione. L’uomo moderno, accanto a lei, specialmente se marito, non ci fa una gran figura: se adotta il medesimo stile e l’accompagna nelle sue sfilate semi-pornografiche, si fa zoccolo a sua volta, e insieme formano una perfetta coppia di bruti, magari calzati e vestiti con i capi più inutilmente costosi che sia dato immaginare (come i due “coatti” romaneschi, rozzi, arroganti, cafoni, nel film di Carlo Verdone Viaggi di nozze). Altrimenti deve rassegnarsi a fare la comparsa, il marito che non si vede, il cornuto contento: ruolo, se possibile, ancor più sbiadito e meschino di quell’altro. In tanto squallore, non si saprebbe da che parte girare lo sguardo per non mortificare la propria vista con spettacoli deprimenti e volgari.

Inutile dire che in matrimoni di questo tipo, la cosa che conta di meno è la stima reciproca, e che quella di cui si può tranquillamente fare a meno, è l’affetto. Oltre ai soldi e al sesso, tutto il resto è meno che secondario e tranquillamente sacrificabile; anzi, non se ne sente proprio la mancanza. Ed è inutile dire che tipo di scuola rappresentino simili unioni per i figli, o quali modelli vengano offerti all’imitazione spontanea dei bambini. Bambini che vengono magari sgridati dai genitori, tanto per salvare la forma, ma con risatine e sogghigni di complicità, allorché assumono gli stessi atteggiamento che vedono da parte di papà e mamma; e che, quando saranno, a loro volta, cresciuti e diventati grandi, trasmetteranno il medesimo stile alla generazione successiva. L’intera società si va imbarbarendo a causa di una sistematica selezione alla rovescia.

Ma da dove ripartire, allora; su che cosa fare leva per tentare una ricostruzione della famiglia sana, solidale, capace di elaborare, vivere e trasmettere valori, con una marito e una moglie che siano dei veri compagni d vita l’uno per l’altra, e che non siano stregati da un narcisismo delirante, appreso sui reality show più cialtroni e sui giornali di gossip più corrivi, ma che siano persone mature, sagge, equilibrate, dotate di senso della misura e di senso delle proporzioni, rispettose di sé e degli altri, capaci di elaborare e di trasmettere ai loro bambini la bellezza della vita e la consapevolezza che nulla di duraturo e di valido si costruisce, senza disponibilità al duro lavoro e al sacrificio, e senza un intimo rigore morale e un assoluto rispetto dell’onestà?

I mattoni fondamentali per un tale processo di ricostruzione sono tre: la fedeltà, la mansuetudine e il dominio di se stessi. Se ne tolga anche uno solo, e la casa verrà su fragile, malcerta, pronta a cadere a terra alla prima scossa di terremoto, per quanto lieve, o alla prima raffica di vento. E sono mattoni solidi, collaudati dai nostri nonni, che, di queste cose, se ne intendevano: non per averle lette sui libri di psicologia o di psicanalisi, ma per averle vissute, meditate, sperimentate. Chi possiede il segreto per cuocere nel forno questo tipo di mattoni, non resterà deluso: riuscirà a costruire una famiglia che dura, e che sfida le avversità: ben piantata con i piedi sulla terra, ma anche capace di alzare gli occhi ad ammirare lo spettacolo del cielo.

La fedeltà, innanzitutto. Se ne è quasi persa l’esatta cognizione, dopo che, per oltre un secolo, il cinema, la letteratura, i giornali, la televisione, i fumetti, i giochi di ruolo informatici, non hanno fatto altro che sputare sul matrimonio basato sulla fedeltà, non si sono stancati di irridere il concetto stesso di fedeltà, e non solo nel senso specificamente sessuale, ma anche nel significato più vasto. La fedeltà non è solo il fatto di non tradire: sarebbe come dire che la pace è semplicemente il fatto che non si spara, che non si uccide fisicamente. Davvero troppo poco per parlare di pace; e altrettanto meschina sarebbe una tale accezione della parola “fedeltà”. Essere fedeli, vuol dire in primo luogo essere fedeli a Dio; in secondo luogo, essere fedeli a se stessi; in terzo luogo, essere fedeli a ciò che giustamente gli altri possono aspettarsi da noi. Gli altri non possono aspettarsi, ad esempio, che noi ci auto-distruggiamo per amore del prossimo, perché questo sarebbe disamore di sé e mancanza di fedeltà al proprio progetto di vita. Tutti abbiamo una missione da compiere e, per questo, abbiamo dei doveri verso noi stessi da rispettare: primo, non gettar via la nostra vita, perché non è veramente nostra, ma ci è stata affidata; secondo, non abbassarci, non degradarci, non umiliarci, per non spuntare gli strumenti di cui avremo bisogno per fare ciò che va fatto; terzo, essere fedeli a ciò che dobbiamo essere, a ciò che è giusto che diventiamo.

La mansuetudine, poi, è una merce sempre più rara in un mondo sempre più aggressivo, anche nei rapporti fra uomo e donna. La mansuetudine è la mitezza dell’animo, la benevolenza che non chiede nulla per sé, quella capacità di comprendere e perdonare che non è ingenuità, né  buonismo. La persona mite non vuol competere, non vuol sovrastare, non vuol primeggiare; ma non è neppure la persona debole o sciocca che non sa vedere il male, che non lo sa riconoscere, e che non sa parlar chiaro con quanti  lo praticano. Pure, anche quando parla chiaro, anche quando parla con durezza, la persona mansueta non ferisce, perché non critica l’altro per affermare se stessa, ma solo e unicamente per un atteggiamento di umanità e di giustizia, del quale, indirettamente, si avvantaggiano anche quanti vengono da lei criticati. Se riprende qualcuno, la persona mansueta lo fa per il suo bene, oltre che per il bene comune: ed è una cosa che si sente, che si percepisce. Per questo, qualche volta, i suoi rimproveri aprono una breccia benefica anche nei cuori più orgogliosi e ribelli; cosa che non accadrebbe se, dalle sue parole, trasparisse una pur tenue tendenza al compiacimento di sé, al voler innalzare l’io mediante l’abbassamento dell’altro.

Infine, il dominio di sé: e come si potrebbe costruire una relazione durevole, senza di esso? Sapersi dominare, vuol dire saper governare gli impulsi, disciplinare gli istinti, indirizzare positivamente le energie sovrabbondanti. Oggi si predica la libertà assoluta, la spontaneità totale, l’abbandono a ogni sorta di slancio e d’ispirazione; si afferma che, dominando il proprio io, l’uomo si fa del male, si limita, si intristisce, si deprime; si proclamano audacemente le nuove tavole della legge, basate unicamente sul principio del piacere. Pure, in questo edonismo eretto a sistema, la felicità non è ancora stata trovata, l’armonia non si è realizzata: ci si sente tristi e confusi, senza sapere perché.

Fedeltà, mansuetudine, dominio di sé: tre qualità che possono essere innate o acquisite: nel primo caso, bisogna lottare sempre per conservarle, conquistandosele ogni giorno, ogni ora; nel secondo, bisogna sottoporsi a una severa disciplina e coltivare non soltanto la volontà, ma anche la sapienza del cuore: e questa non ce la si può dare da dare da soli. Bisogna chiederla  a Dio. Vi sono, infatti, due generi di sapienza: quella puramente umana, impregnata di orgoglio e gonfia di presunzione, la quale può portare anche molto in alto, ma che, prima o poi, farà cadere chi se ne inebria, e lo farà cadere malamente; e quella che viene dall’Alto, e che bisogna avere l’umiltà di domandare. Lontano da Dio, l’uomo diviene incostante, aggressivo, sregolato, irragionevole, fautore di discordie e nemico di se stesso; ma, se si tiene unito a Dio, se si sforza di fare la sua volontà e non la propria, l’uomo riconquista anche il vero se stesso, cioè la parte migliore di sé, che giaceva obliata e negletta. E diviene capace, allora sì, di fare le cose più grandi e più belle.

Ma come ricostruire queste tre qualità, in un società e in una cultura le quali propongono ed impongono quotidianamente dei modelli di comportamento e di vita diametralmente opposti? Che, in luogo della fedeltà, della mansuetudine e del dominio di sé, esaltano e sbandierano l’infedeltà, l’orgoglio e il disordine delle passioni? E che, attraverso gli adulti, offre continuamente ai bambini degli esempi negativi e degli stili chiassosi, volgari, superficiali, nei quali è ben difficile, se non impossibile, trovare quel silenzio interiore, quella sobrietà, quella purezza d’animo che sarebbero desiderabili, per non dire necessarie? Ebbene: quel che è  impossibile all’uomo, è possibile a Dio. Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; chiedete e vi sarà dato, ha insegnato il divino Maestro. Bisogna imparare una cosa dimenticata: a chiedere; a chiedere con umiltà e con fiducia. Bisogna dimenticarsi l’umana presunzione di saper fare tutto da sé, di poter contare – anche troppo, forse - solamente sulle proprie forze. Bisogna re imparare ad aver fede nella Provvidenza, cioè a lasciar fare qualcosa anche a Dio.

L’uomo non è Dio. Ogni qualvolta se ne dimentica, va incontro a delusioni, amarezze, sofferenze; e finisce per perdere anche quella legittima fiducia in sé, quella ragionevole stima di sé, le quali sono pur necessarie per condurre una vita realmente umana, che non sia abbandonata al caso, ma governata dai valori morali e dalla retta volontà. Quando si compiace e si ubriaca nell’illusione di essere il dio di se stesso, l’uomo provoca errori e disastri e precipita, per reazione, negli abissi del disincanto, del cinismo, dello sconforto. Se vuol essere da più di quel che è il suo statuto ontologico di creatura, finisce per diventare molto di meno: un povero relitto alla deriva, un naufrago senza coraggio e senza speranza, un reietto perennemente in fuga da tutto e da tutti. Da qui nascono le angosce, le insonnie, le nevrosi, le ossessioni, le depressioni, la dipendenza dall’alcol e dalle droghe, il desiderio di morte che, quando è particolarmente maligno, si rivolge contro l’altro, e specialmente contro le persone più care. La conflittualità permanente, sterile, distruttiva, fra uomo e donna, fra marito e moglie, fra genitori e figli, come una guerra non dichiarata e condotta tenacemente, slealmente, sempre pronta colpire a tradimento, nasce da qui; qui hanno la loro origine e la loro radice molte delle frustrazioni, delle disperazioni, delle inutili e feroci ribellioni che formano la costellazione patologica dell’anima moderna.

La fedeltà, la mansuetudine e il dominio di sé sono indispensabili alla vita armoniosa della famiglia, ma sono sempre insidiati dall’umana fragilità e dalle mille tentazioni e seduzioni che la società edonista, materialista e individualista continuamente rovescia in tutte le direzioni, seminando cattivi esempi e, addirittura, istituzionalizzando azioni e situazioni moralmente scandalose e inaccettabili (come la pratica dell’aborto). E proprio per questo, gli uomini devono imparare – o meglio, re-imparare ciò che i nostri avi sapevano benissimo – a chiederli, prefiggendosi lo scopo della vita buona: perché fuori di tale scopo, anch’essi cesserebbero di svolgere la loro funzione positiva e non sarebbero di alcun aiuto all’uomo: la fedeltà diverrebbe cieco e geloso attaccamento, la mansuetudine diverrebbe buonismo insipido e miope, il dominio di sé si trasformerebbe in rigida osservanza d’un contegno puramente esteriore, sotto il quale le passioni represse non cesserebbero di tormentare segretamente l’anima.

Se gli uomini imparano a chiedere ciò che è buono, per uno scopo buono, la loro richiesta non va mai delusa. Questo è il segreto, che spalanca orizzonti infinti anche agli esseri più soli e sofferenti...