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Mettere tutto a tacere nell’America che si prepara per la guerra

di John Pilger - 31/05/2016

Mettere tutto a tacere nell’America che si prepara per la guerra

Fonte: SakerItalia

Tornando negli Stati Uniti in un anno di elezioni, sono colpito dal silenzio. Ho seguito quattro campagne presidenziali, iniziando da quella del 1968; ero con Robert Kennedy quando gli hanno sparato e ho visto il suo assassino prepararsi ad ucciderlo. È stato un battesimo alla “American way”, assieme alla violenza schiumante della polizia di Chicago alla convention truccata del Partito Democratico. La grande controrivoluzione era iniziata.

Il primo ad essere assassinato quell’anno, Martin Luther King, aveva osato collegare la sofferenza degli Afroamericani a quella del popolo vietnamita. Quando Janis Joplin cantava, “Freedom’s just another word for nothing left to lose” (Libertà è solo un’altra modo di dire nient’altro da perdere), forse parlava inconsciamente dei milioni di vittime dell’America in posti lontani.

“Abbiamo perso 58.000 giovani soldati in Vietnam, e loro sono morti per difendere la vostra libertà. Non dimenticatelo.” Questo è quello che diceva una guida del National Park Service mentre io filmavo la scorsa settimana al Lincoln Memorial a Washington. Parlava a una scolaresca di giovani teenagers in T-shirt arancione acceso. Quasi meccanicamente, ha capovolto la verità sul Vietnam in una menzogna non verificabile.

I milioni di Vietnamiti morti, mutilati, avvelenati e spossessati dall’invasione americana non hanno dignità storica nelle giovani menti, per non parlare dei circa 60.000 veterani che si sono suicidati. A un mio amico, diventato paraplegico in Vietnam, chiedevano spesso, “Per quale parte combattevi?”

Qualche anno fa, ho partecipato a una famosa esposizione che si chiama “Il Prezzo della Libertà” presso la veneranda Smithsonian Institution a Washinton. Alle schiere di gente comune, per la maggior parte bambini che affollavano una caverna da fiaba di Babbo Natale del revisionismo, venivano raccontate una serie di bugie: le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki hanno salvato “un milione di vite”; l’Iraq è stato “liberato da bombardamenti aerei di una precisione mai raggiunta fino ad allora”. Il tema era infallibilmente eroico: solo gli Americani pagano il prezzo della libertà.

La campagna elettorale del 2016 è notevole non solo per l’ascesa di Donald Trump e Bernie Sanders, ma anche per la resistenza di un silenzio duraturo riguardo ad un’autoproclamata divinità assassina. Un terzo dei membri delle Nazioni Unite hanno assaggiato lo stivale di Washington, che ha rovesciato governi, ha sovvertito la democrazia, imposto blocchi economici e boicottaggi. La maggior parte dei presidenti responsabili di queste azioni erano liberali – Truman, Kennedy, Johnson, Carter, Clinton, Obama.

Il record mozzafiato della perfidia si è così mutato nella mente del pubblico, scrisse Harold Pinter nei suoi ultimi anni, che “non è mai successo… Non è successo niente. Perfino quando stava succedendo, non succedeva. Non importava. Non era interessante. Non importava…” Pinter esprimeva un’ironica ammirazione verso ciò che lui chiamava “una manipolazione clinica di potenza in tutto il mondo, mascherata come una forza di bene universale. È un brillante, direi quasi acuto, esperimento di ipnosi di grande successo.”

Guardate Obama. Mentre si prepara a lasciare l’incarico, sono ricominciate le leccate. Lui è “cool”. Uno dei presidenti più violenti, Obama ha ceduto del tutto il campo all’apparato guerrafondaio del Pentagono del suo screditato predecessore. Ha perseguito più informatori – gente che dice la verità – di qualunque altro presidente. Ha deciso per la colpevolezza di Chelsea Manning prima che venisse processata. Oggi, Obama conduce una campagna mondiale senza precedenti di terrorismo e assassinio per mezzo dei droni.

Nel 2009, Obama promise di lavorare “affinché il mondo elimini le armi nucleari” e venne premiato con il Nobel per la Pace. Nessun presidente americano ha costruito più testate nucleari di Obama. Sta “modernizzando” l’arsenale del giorno del giudizio dell’America, tra cui una nuova “mini” arma nucleare, le cui dimensioni e tecnologia “smart”, dice un generale comandante, fanno sì che un suo utilizzo sia “non più impensabile.”

James Bradley, l’autore del best-seller Flags of Our Fathers e figlio di uno dei Marines americani che hanno issato la bandiera su Iwo Jima, ha detto, “[Un] grande mito che vediamo rappresentato è che Obama sia una specie di brava persona pacifica che sta cercando di eliminare le armi nucleari. Lui è il più grande guerriero nucleare che ci sia. Ci ha instradati in un percorso disastroso di spese di migliaia di miliardi di dollari per altre armi nucleari. Per qualche motivo, la gente vive in questa fantasia per cui, dato che convoca conferenze stampa e fa discorsi vaghi, e fotografie simpatiche, questo c’entri qualcosa con la vera politica. Non è così.”

Nel programma di Obama, si prepara una seconda guerra fredda. Il presidente russo è un cattivo da operetta; i Cinesi ancora non vengono rappresentati con le loro sinistre caricature col codino – come ai tempi in cui tutti i Cinesi vennero espulsi dagli Stati Uniti – ma i guerrieri mediatici ci stanno lavorando.

Né Hillary Clinton, né Bernie Sanders fanno parola di tutto ciò. Non c’è nessun rischio per gli Stati Uniti e per tutti noi; per loro il più grande rafforzamento militare ai confini della Russia dai tempi della Seconda Guerra Mondiale non è successo. L’11 maggio, la Romania è andata “in diretta” con una “base di difesa missilistica” della Nato, che punta i propri missili americani per un primo colpo al cuore della Russia, la seconda potenza nucleare del mondo.

In Asia, il Pentagono manda navi, aerei e forze speciali nelle Filippine per minacciare la Cina. Gli USA circondano già la Cina con centinaia di basi militari che formano un arco dall’Australia, e attraversano l’Asia fino all’Afghanistan. Obama questo lo chiama un “pivot”.

Come diretta conseguenza, sembra che la Cina abbia cambiato le proprie regole per l’utilizzo delle armi atomiche da no-primo-uso a stato elevato di allerta, e ha messo in mare sottomarini con armi nucleari. L’escalation accelera.

È stata Hillary Clinton, Segretario di Stato nel 2010 a elevare al rango di problema internazionale le contrastanti rivendicazioni territoriali riguardanti scogliere e barriere coralline nel Mar della Cina Meridionale; subito seguita dall’isteria di CNN e BBC; la Cina stava costruendo piste d’atterraggio nelle isole contese.  In una gigantesca esercitazione nel 2015, Operazione Sciabola Talismano, gli USA e l’Australia si sono allenate a “soffocare” gli Stretti di Malacca tramite i quali passa la maggior parte del petrolio e del commercio Cinese. Questa notizia non è stata data.

Clinton ha dichiarato che l’America avesse un “interesse nazionale” in queste acque asiatiche. I Filippini e i Vietnamiti sono stati invogliati e corrotti affinché ravvivassero le loro rivendicazioni e le loro vecchie inimicizie contro la Cina. In America, alla gente qualunque mossa difensiva della Cina viene presentata come offensiva, e così si prepara il terreno per una rapida escalation. Una simile tragedia di provocazione e propaganda viene applicata alla Russia.

Clinton, la “candidata delle donne”, si lascia dietro una traccia di colpi di stato sanguinosi: in Honduras, in Libia (oltre alla morte del presidente libico) e in Ucraina. Quest’ultima adesso è un parco a tema della CIA, infestata di sciami di nazisti e prima linea di una minaccia di guerra con la Russia. È stato attraverso l’Ucraina – letteralmente terra di confine – che i nazisti di Hitler hanno invaso l’Unione Sovietica, che perse 27 milioni i persone. Questa epopea catastrofica è ben presente nella mente russa. La campagna presidenziale della Clinton ha ricevuto finanziamenti da tutte le prime dieci compagnie di produzione di armi tranne una. Nessun altro candidato le si avvicina.

Sanders, la speranza di molti giovani americani, non è molto diverso dalla Clinton nella sua visione proprietaria del mondo oltre i confini degli Stati Uniti. Ha sostenuto il bombardamento illegale di Bill Clinton sulla Serbia. Sostiene il terrorismo da droni di Obama, le provocazioni contro la Russia e il ritorno delle forze speciali (squadre della morte) in Iraq. Non dice nulla sulle tambureggianti minacce contro la Cina e sull’accelerazione del rischio di una guerra nucleare. Concorda sul fatto che Edward Snowden debba essere processato e definisce Hugo Chavez – un social democratico, come lui – “un dittatore comunista morto”. Promette il suo sostegno alla Clinton se verrà nominata.

L’elezione di Trump o di Clinton è la vecchia illusione della scelta che non è una scelta: due facce della stessa medaglia. Nel trovare un capro espiatorio nelle minoranze e nella promessa di “fare di nuovo grande l’America”, Trump è un populista nazionalista di estrema destra; però il pericolo rappresentato dalla Clinton potrebbe essere ancora più letale per il mondo.

“Soltanto Donald Trump ha detto qualcosa di significativo e di critico nei confronti della politica estera statunitense,“ ha scritto Stephen Cohen, professore emerito di Storia Russa a Princeton e alla New York University, uno dei pochi esperti di Russia negli Stati Uniti a parlare del rischio di guerra.

In un programma radiofonico, Cohen ha menzionato un problema cruciale che solo Trump ha posto. Tra tutti: perché gli Stati Uniti sono presenti “ovunque nel globo”? Qual è la vera missione della NATO? Perché gli Stati Uniti perseguono il “regime change” in Iraq, Siria, Libia e Ucraina? Perché gli Stati Uniti trattano la Russia e Vladimir Putin come un nemico?

L’isteria dei media liberali riguardo a Trump serve ad alimentare l’illusione di “dibattito libero e aperto” e di “democrazia al lavoro”. Le sue opinioni su immigrati e musulmani sono grottesche, però il deportatore-in capo dell’indifeso popolo americano non è Trump ma Obama, il cui lascito è il suo tradimento nei confronti della gente di colore: ad esempio, l’industrializzazione di un sistema carcerario i cui detenuti sono per la maggior parte neri, oggi in numero maggiore che nei gulag di Stalin.

Questa campagna presidenziale americana potrebbe non essere incentrata sul populismo, ma sul liberalismo americano, un’ideologia che si auto percepisce come moderna e pertanto superiore, la sola vera via. Chi fa parte della sua destra ricorda gli imperialisti cristiani del diciannovesimo secolo, portatori di una missione divina di convertire, cooptare o conquistare.

In Gran Bretagna, questo è il Blairismo. Il criminale di guerra cristiano Tony Blair l’ha fatta franca per la sua preparazione occulta dell’invasione dell’Iraq, in gran parte perché la classe politica liberale e i media si sono innamorati della sua “cool Britannia”. Nel Guardian, l’applauso era assordante; veniva definito “mistico”: una distrazione nota come politica identitaria, importata dagli Stati Uniti, ha prosperato abbondantemente sotto le sua cure.

È stata dichiarata la fine della Storia, le classi abolite e il gender promosso come femminismo; molte donne sono diventate deputate del New Labour. Nel loro primo giorno in Parlamento hanno votato per il taglio dei sussidi ai genitori single, in maggioranza donne, come da istruzioni. La maggioranza di loro ha votato per una invasione che ha prodotto 700.000 vedove irachene.

Il loro equivalente in USA sono i guerrafondai politicamente corretti del New York Times, del Washington Post e dei network televisivi che dominano le discussioni politiche. Ho guardato un dibattito furibondo sulla CNN riguardante le infedeltà di Trump. Era chiaro, dicevano, che non si può avere fiducia in  un uomo del genere alla Casa Bianca. Nessuna obiezione è stata sollevata. Niente sull’80 per cento di Americani il cui reddito è crollato ai livelli degli anni settanta. Niente sulla deriva verso la guerra. La morale trasmessa sembrava essere “turatevi il naso” e votate per Clinton: chiunque tranne Trump. In questo modo, fermerete il mostro e preserverete un sistema che anela ad un’altra guerra.

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Articolo di John Pilger, pubblicato da johnpilger.com il 27 Maggio 2016
Tradotto in Italiano da Mario B.  per SakerItalia.it