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Contro il reato di negazionismo

di Daniele Dell'Orco - 09/06/2016

Contro il reato di negazionismo

Fonte: cultora

Che la leggenda della “Costituzione più bella del mondo” fosse ormai caduta in disgrazia lo si è già potuto evincere dal tentativo di metterci mano da parte dell’attuale Governo, nonché dagli endorsement di chi questo mito ha contribuito negli anni ad alimentarlo: tipo quel Roberto Benigni che da paladino dei diritti costituzionali si è trasformato in un alfiere del sì al referendum di ottobre. Caduto questo caposaldo, è dunque diventato possibile ridiscutere diversi altri punti che da norma costituzionale hanno sempre avuto una certa valenza: la libertà di pensiero, per esempio. O il fatto che l’Italia debba ammettere a se stessa di non essere in realtà uno stato liberale.

Con l’approvazione del ddl alla Camera, è stato introdotto nell’ordinamento il reato di negazionismo. Da ieri dunque i reati di discriminazione razziale e di stampo xenofobo previsti dalla legge Mancino potranno contemplare anche un’aggravante “da due a sei anni se la propaganda, ovvero l’istigazione e l’incitamento commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione della Shoah, o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello Statuto della Corte penale internazionale”.

La norma è passata alla Camera, in terza lettura, con 237 sì, 5 no e 102 astenuti, tra le esultanze della comunità ebraica, con il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna che ha parlato di “straordinario impegno civico e culturale che ha visto protagoniste le massime istituzioni del nostro Paese”, ma soprattutto con l’ovazione del Pd, con Chiara Gribaudo, vice-presidente del gruppo dem a Montecitorio, che sostiene la lotta del Governo contro “una delle forme più sottili e striscianti della diffamazione razziale, della xenofobia a sfondo antisemita e non solo, e in genere dell’incitazione all’odio”. Addirittura il partito di maggioranza e la comunità ebraica parlano di “legge che guarda al futuro” e di  “strumento nella lotta ai professionisti della menzogna tutelando al tempo stesso, con chiarezza, principi irrinunciabili quali la libertà di opinione e di ricerca”.

Ora, se questo è un provvedimento che guarda al futuro allora il prossimo 31 dicembre tanto varrà prepararsi a stappare lo spumante in onore del nuovo anno: il 2007. Proprio allora infatti l’ipotesi di introduzione del reato di negazionismo comparve per la prima nell’agenda politica italiana, con un ritardo di almeno 30 anni rispetto ai paesi europei che già lo prevedevano. Allora provò a proporla il ministro della Giustizia Mastella per punire con il carcere chiunque negasse “pubblicamente l’esistenza storica e le dimensioni storicamente accertate della Shoah”. Ora sappiamo quindi, per logica, che Mastella era allora addirittura un pioniere, ma nessuno se n’era accorto.

Il secondo virgolettato è se possibile ancor più insostenibile, ma siccome commentando provvedimenti del genere si rischia spesso di essere “fraintesi”, è bene provare a smontare la teoria della “tutela alla libertà di opinione e ricerca” citando alcune voci che sono per storia e background al riparo da eventuali accuse di neonazismo.

Così Stefano Rodotà: “Una di quelle misure che si rivelano al tempo stesso inefficaci e pericolose, perché poco o nulla valgono contro il fenomeno che vorrebbero debellare, e tuttavia producono effetti collaterali pesantemente negativi”.

Così la senatrice a vita e scienziata Elena Cattaneo: “Non è ammissibile imporre limiti alla ricerca e allo studio di una teoria. Trovo ignobili le tesi dei negazionisti ma non credo che minino una disciplina nessuno storico prende sul serio queste teorie. Non gli diamo il ruolo di martire incompreso. Facciamoli parlare e li sbugiarderemo punto dopo punto”.

Così Roberto Della Seta, tra l’altro ebreo, sull’Huff Post: “Lo Stato non può e non deve intervenire in tema di libertà del pensiero, della parola, della ricerca storica; non può e non deve nemmeno di fronte ad affermazioni miserabili e aberranti come la negazione o la minimizzazione di un fatto – lo sterminio pianificato e sistematico di milioni ebrei da parte del nazismo e dei suoi alleati – che solo persone in malafede o incapaci d’intendere possono mettere in discussione”.

Aggiungeremmo, poi, i pareri che nel modernissimo 2007 esposero alcuni dei più autorevoli storici italiani – da Carlo Ginzburg a Giovanni De Luna, da Sergio Luzzatto a Bruno Bongiovanni – quando promossero un appello pubblico in cui sostenevano che “ogni verità imposta dall’autorità statale non può che minare la fiducia nel libero confronto di posizioni e nella libera ricerca storiografica e intellettuale”. Punti di vista analoghi espressero nell’occasione intellettuali europei come Paul Ginsborg e Thimoty Garton Ash: “La negazione dell’Olocausto – scrisse Garton Ash – va combattuta nelle scuole, nelle università, sui nostri media, non nelle stazioni di polizia e in tribunale”.

Al politico di turno che crede sia una priorità nel 2016 legiferare (e male) in materia, ricorderemmo poi che i paesi europei dove il negazionismo è reato da diversi anni – Francia, Germania, Austria, Lituania, Romania, Slovacchia… – sono gli stessi in cui c’è stato, e c’è tutt’ora, un progressivo emergere di forze apertamente xenofobe e in più di un caso esplicitamente antisemite. Nel Regno Unito, al contrario, dove una norma del genere non esiste e non esisterà mai per rispetto alla definizione stessa di liberalismo, lo storico negazionista David Irving esprime liberamente da anni le sue teorie, venendo puntualmente considerato un ciarlatano dall’opinione pubblica, mentre in Austria, dove è stato processato e condannato per le sue divagazioni, può atteggiarsi a vittima ottenendo larga e gratuita pubblicità.

Di esempi del genere se ne potrebbero citare a migliaia, ma questi bastano per considerare non solo inutile, ma se possibile dannosa e controproducente una manovra del genere, proprio dacché equivale ad ammettere il timore di ribattere colpo su colpo le spesso strampalate teorie negazioniste, solo perché considerate un pericolo, ma al tempo stesso creare, stavolta sì, il rischio che queste idee proliferino “clandestinamente” e in nome di un tentativo di ribellarsi al dogma imposto per legge.

Per restare in Inghilterra, uno dei padri del liberalismo, John Stuart Mill, in un passaggio del suo saggio Sulla libertà, così riassumeva il concetto di assoluta libertà di pensiero,quello in base al quale dovrebbe essere stato studiato pure l’art. 21 della nostra Costituzione:

«In primo luogo, ogni opinione costretta al silenzio può, per quanto possiamo sapere con certezza, essere vera. Negarlo significa presumere di essere infallibili. In secondo luogo, anche se l’opinione repressa è un errore, può contenere, e molto spesso contiene, una parte di verità; e poiché l’opinione generale o prevalente su qualsiasi questione è raramente, o mai, l’intera verità, è soltanto mediante lo scontro tra opinioni opposte che il resto della verità ha una probabilità di emergere. In terzo luogo, anche se l’opinione comunemente accettata è non solo vera ma costituisce l’intera verità, se non si permette che sia, e se in effetti non è, vigorosamente e accanitamente contestata, la maggior parte dei suoi seguaci l’accetterà come se fosse un pregiudizio, con scarsa comprensione e percezione dei suoi fondamenti razionali. Non solo, ma, quarto, il significato stesso della dottrina rischierà di affievolirsi o svanire, e perderà il suo effetto vitale sul carattere e il comportamento degli uomini: come dogma, diventerà un’asserzione puramente formale e priva di efficacia benefica, e costituirà un ingombro e un ostacolo allo sviluppo di qualsiasi convinzione, reale e veramente sentita, derivante dal ragionamento o dall’esperienza personale.»

Era il 1859. E meno male invece che c’è chi “guarda al futuro”…