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Non c’è più posto per i vecchi nell’Europa progressista, democratica e buonista

di Francesco Lamendola - 26/06/2016

Non c’è più posto per i vecchi nell’Europa progressista, democratica e buonista

Fonte: Il Corriere delle regioni

Finalmente sta emergendo in maniera esplicita, dopo tortuose edulcorazioni e lunghe ipocrisie, quel che era implicito fin dall’inizio nella dominante filosofia del Progresso, inaugurata dall’illuminismo 250 anni fa: l’autoaffermazione del nuovo, e quindi dei giovani, e la sistematica denigrazione di tutto ciò che rappresenta la tradizione, a cominciare dalle vecchie generazioni. La penultima ondata di questa tendenza si era vista nel ‘68; chi non ricorda il celebre slogan giovanilistico degli studenti sessantottini: Diffidate di chiunque abbia più di trent’anni? Ora ne è arrivata un’altra, e lo si vede benissimo dalle scomposte reazioni all’esito della Brexit, con la vittoria dei “leave” al referendum sulla permanenza o l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, tenutosi il 23 giugno 2016. Le analisi dei giornali (analisi, si fa per dire: è tutto un coro di scribacchini tenuti a libro paga dai poteri forti, per starnazzare ciò che essi vogliono) sono unanimi: è stata la vittoria dei vecchi contro i giovani; delle campagne reazionarie contro le città progressiste; delle periferie contro i centri storici; delle persone sedentarie, bigotte e un po’ rincitrullite, contro le persone che viaggiano, studiano all’estero, hanno una visione aperta, cosmopolita e multiculturale. Una ragazza londinese (fotogenica, bionda e simpatica), intervistata da una televisione italiana, ha commentato, con un sorriso amaro: Certo che hanno vinto gli anziani. Ora, io non dico che non dovrebbero votare; però, sì, in effetti sarebbe meglio. Mi sento come se mi avessero rubato il mio futuro, sfilandomelo da sotto i piedi. Tale è stata la reazione, fra incredulo e indignato, della “generazione Erasmus”. I vecchi? Meglio se si limiterà, in futuro, il loro diritto al voto. Dopotutto, la loro vita l’hanno già vissuta; e non è giusto che, per il loro egoismo, i giovani debbano rinunciare ai loro sogni.

A questo punto, ci sentiamo in diritto di fare una modesta, ma costruttiva proposta, per evitare che si ripetano episodi sconcertanti – e, diciamolo francamente, piuttosto biasimevoli - come quello del referendum sulla Brexit: perché non introdurre la scheda elettorale a punti, così come è stata introdotta la patente a punti? La cosa dovrebbe funzionare così. Si rileva dagli istituti di statistica la durata della vita media nel Paese X, ovviamente differenziandola in maschile e femminile (e speriamo che omosessuali, bisessuali e transessuali non gridino allo scandalo e non facciano causa allo Stato per ottenere un congruo risarcimento morale); quindi si stabilisce un punteggio, che viene “scalato”, anno per anno, sulla scheda elettorale del signor Mario Rossi, o della signora Anna Bianchi. Se, poniamo, in quel Paese la durata della vita media, per gli uomini, è di 75 anni, e di 80 per le donne, si scalano i punti in base all’avvicinarsi del signor Mario Rossi o della signora Anna Bianchi, alla data fatidica (e ferale). Così, se il signor Mario Rossi ha compiuto 60 anni, il suo voto verrà conteggiato non come un voto intero, ma, poniamo, come uno 0,6% di voto; se ne ha compiuti 70, come un 0,3%; se è arrivato a 75, il suo voto varrà zero, nel senso che non andrà a votare e la scheda elettorale scadrà automaticamente. In questo modo, il voto dei giovani verrebbe valorizzato e quello dei vecchi, ridimensionato: come è giusto che sia in qualsiasi Paese civile e democratico, che guarda al futuro e non si lascia zavorrare , né tarpare le ali, dagli sterili e lagnosi rimpianti dei vecchi. Con buona pace del fatto che, se la crisi iniziata nel 2008 non ha ancora gettato sul marciapiedi fin l’ultima famiglia del continente europeo, ciò è dovuto in larghissima misura alle pensioni dei nonni e ai risparmi dei genitori, e a nient’ altro.

Volendo, comunque, si potrebbe spingere la nostra modesta proposta ancora un poco più in là, tanto per assicurare ai giovani un margine di vantaggio tale da garantir loro il controllo incontrastato della società. Per esempio, si potrebbero offrire dei vantaggi economici, fiscali, o dei servizi gratuiti, a quegli ultrasessantenni (no, facciamo: ultracinquantenni) i quali rinunciassero, gentilmente, ad esercitare il loro diritto di voto, e sia pure un voto dimezzato. Con simili incentivi, poco alla volta si potrebbe fare opera di persuasione, in modo che i vecchi arrivino ad auto-eliminarsi dalle consultazioni elettorali, referendum compresi (anzi, soprattutto quelli). Che bella cosa sarebbe, se si presentassero alle urne solo i giovani di venti, trent’anni al massimo. Già dei quarantenni bisognerebbe un po’ diffidare (rivedendo al rialzo il vecchio slogan sessantottino); ma si potrebbe ovviare all’inconveniente per mezzo di un’assidua campagna di pubblicità-progresso, portando le persone sopra i quarant’anni a vergognarsi, almeno un poco, di essere così egoiste da voler esercitare il diritto di voto, quando il futuro assetto della società, come ignorarlo?, è cosa che riguarda i giovani, perché sono i loro interessi vitali in gioco, mica quelli dei loro nonni.

Inoltre, si potrebbe stampigliare, sui tagliandi della scheda elettorale relativi alle future consultazioni, a partire da quando il cittadino avrà superato la soglia degli “anta”, una dicitura analoga a quella che compare sullo schermo del bancomat, quando si va a prelevare del denaro: Desidera lo scontrino?, e, subito sotto, le due possibili opzioni: No (scelta più ecologica), con un bellissimo asterisco a sottolineare quel meraviglioso senso di responsabilità civica, naturalmente di colore verde, come l’ecologia, oppure: Sì, ma un sì nudo e crudo, che mette addosso un terribile senso di colpa, come se la distruzione della foresta amazzonica dipendesse da quel minuscolo pezzettino di carta sottile (mentre ogni giorno se ne vanno davvero decine di ettari di bosco, solo per inondare una grande città dei suoi inutili giornali quotidiani, che verranno leggiucchiati in mima parte e poi gettati via). Così, si potrebbe stampigliare sulla scheda elettorale, per quando il cittadino avrà varcato la soglia degli ”anta”, la fatidica domanda: Desidera esercitare il diritto di voto?, e poi le due possibili opzioni: No (scelta civicamente e democraticamente più idonea e responsabile), sempre con un bellissimo asterisco colorato; oppure, semplicemente, Sì, senza altri commenti, in modo da far sentire maledettamente in colpa il vecchio che fosse tentato dalla malsana idea di votare, stappando il futuro da sotto i piedi dei poveri giovani e spezzando i loro legittimi  sogni.

E già che ci siamo, già che ci siamo messi su questa strada – oh, ma di pura fantasia; null’altro che delle semplici ipotesi di scenari futuri – perché limitarsi all’ambito del diritto di voto? Perché non inventarsi qualcosa, ad esempio, nell’ambito dei conti bancari, o delle abitazioni, o delle eredità? Per i conti in banca, si potrebbe far approvare una legge che sottragga alla disponibilità del correntista il 10% del suo credito, dopo il compimento del suo quarantesimo anno, ovviamene a favore di figli e nipoti; del 20%, dopo i 45 anni; del 30%, dopo i 50, e così via. In tal modo, i ragazzi potrebbero disporre di un gruzzoletto, e avviare una loro attività indipendente, potendo contare su un incremento quinquennale del 10% del capitale iniziale. Tanto, a che cosa servono i risparmi bancari, se non ad aiutare i figli e i nipoti? È cosa ben nota che i vecchi hanno poche esigenze e che, per vivere, si accontentano di molto meno di quel che è necessario ad un giovane. Perché un ragazzo diciottenne, poniamo, non può mica presentarsi a casa della fidanzata con un’automobile di vecchio modello, magari con la tappezzeria lisa? Figuriamoci. Poi, le abitazioni: si potrebbe stabilire che, dopo i quaranta o i cinquant’anni, i proprietari di una casa possono continuare a viverci, ma in comodato con i figli o i nipoti: nessuno li scaccia - siamo umani, dopotutto -, però nella proprietà subentrerebbe il parente giovane più prossimo. Certo che, fatti novantanove, si potrebbe fare anche cento, e stabilire una clausola per cui il precedente proprietario continuerà a pagare le imposte immobiliari, le rate di condominio e tutte le bollette di luce, acqua, riscaldamento, smaltimento dei rifiuti, eccetera, proprio come prima; altrimenti, siamo giusti, la cosa, per i rampolli, assumerebbe quasi l’aspetto d’una beffa. Se i ragazzi dovessero pagare le imposte e tutte le spese, dove starebbe il vantaggio, per loro? Infine, le eredità: perché mai aspettare che il vecchio passi a miglior vita? A forza di aspettare il lieto - pardon, il triste evento - i ragazzetti farebbero in tempo a ingrigirsi e perfino a incanutirsi, come sta accadendo al povero principe ereditario d’Inghilterra, Carlo, che aspetta da una vita di salire al trono, ma quella brava donna di sua madre, la regina Elisabetta, da quel trono sembra non voler staccare mai le blasonate e ormai decrepite chiappe, neanche ci avesse il Bostik sulle mutande.

Qualcuno potrebbe pensare che questa sarebbe una vera e propria crudeltà: togliere tutti i loro beni a dei vecchietti che hanno lavorato una intera vita, proprio per assicurarsi un po’ di serenità negli ultimi anni. Effettivamente, la cosa non avrebbe un aspetto del tutto simpatico; ma basta pensarci un poco e, prima o poi, siamo certi che verrà fuori l’idea giusta, perché, quando c’è l’ingegno, a tutto si trova un rimedio, anche alle peggiori disgrazie, come quella di avere dei genitori o dei nonni centenari, e magari benestanti, che sembrano essersi scordati di passare a miglior vita. In fondo, cosa voleva il giovanissimo Pietro Maso, pioniere di questa filosofia eugenetica, che ha il pregio coniugare la sollecitudine per il bene privato con quella per il bene pubblico, ossia il ringiovanimento della società? Certo, è stato un po’ - come dire? - impetuoso, il giovanotto, oltre che, dilettantesco, con quei martelli e quei bastoni, per accoppare mamma e papà ed ereditare casa e beni, e seguitare a far la bella vita come prima e meglio di prima, senza il disturbo di doversi cercare un lavoro. Tuttavia, diciamocelo in un orecchio, non è forse vero che non aveva nemmeno tutti i torti, e che è giusto che un giovane pensi al suo avvenire, e non rinunci a un certo grado di comodità nella sua vita, se possiede due genitori che hanno sgobbato cinquant’anni e hanno messo da parte qualche cosa, oltre ad aver costruito un tetto sopra la testa?

C’è solo un inconveniente, in tutti questi ragionamenti: se il vecchi muore, finisce anche la sua pensione. E allora, che cosa dovranno fare i figlioletti e i nipotini, se non continuare ad andare a lavorare per chissà quanti anni? L’ideale sarebbe che la pensione continuasse ad arrivare, ma che il vecchio si togliesse dai piedi de facto; ma no, cos’avete capito?, mica in casa di riposo: se sapeste come sono maledettamente care! E chi dovrebbe pagar la retta, poi, se non i poveri figli e gli sfortunati nipoti? Non sappiamo come uscire dall’impasse, su questo punto bisogna pensarci bene, prima di decidere; è quasi come trovare la quadratura del cerchio: se il vecchio muore, soldi non ne arrivano più; ma se non muore, la sua sola presenza sarà di fastidio, oltre che di spesa, per gli eredi. Forse, fra qualche anno, sarà la tecnica a darci una mano: la tecnica della ibernazione, per esempio. Si potrebbero convincere i vecchi a farsi ibernare, prospettando loro la cosa come un vantaggio, in attesa che la scienza medica trovi il farmaco o la cura giusti per risolvere i problemi di salute di ciascuno di essi. Così il nodo verrebbe sciolto: la pensione continuerebbe ad arrivare, perché il vecchietto è pur sempre in vita, però non darebbe il benché minimo fastidio, neanche la retta della casa di riposo da pagare; e, quanto allo spazio, non gli servirebbe neppure una cameretta, perché basterebbe un frigorifero. Perfino le spese per le esequie verrebbero risparmiate, o, quanto meno, differite. Semplice e pulito, vero?; e, quel che più importa, molto umano e molto civile.

Il lettore che abbia avuto la pazienza di seguirci fino a questo punto della nostra fantasticheria, della nostra utopia progressista (no, non chiamatela distopia, vi prego: non vedete quanti aspetti positivi ci sarebbero in essa?), deve farci il favore di credere che non intendiamo affatto ignorare, o sottovalutare, il grave problema dell’invecchiamento eccessivo, inesorabile, della popolazione italiana ed europea: invecchiamento che è un problema culturale, sociale, politico, economico, ma anche dannatamente finanziario: come faranno, i sempre più scarsi giovani, a pagare le pensioni ai sempre più numerosi vecchi? Il problema esiste, ed è gigantesco; solo che non pensiamo lo si possa affrontare partendo dalla logica di eliminare la presenza dei vecchi, così come non abbiamo mai creduto (a differenza di altri, sia nell’ambito politico che in quello medico) che il metodo migliore per curare i mali di testa, e non solo quelli, sia rappresentato dalle decapitazioni. E, del resto, non è colpa dei vecchi se i giovani hanno paura della vita, del domani, del futuro (ah, questo famoso futuro, ingiustamente insidiato da legioni di vecchi reazionari, sbavanti e barcollanti). Se non ne avessero tanta paura, e se non avessero così poco amore per la vita, ricomincerebbero a desiderare il calore di una famiglia tutta loro e la gioiosa presenza dei bambini, invece di arrivare a trentacinque, quarant’anni nella casa di papà, senza neanche aver pensato ad avere un bambino. È troppo comodo sostenere che gli adulti impediscono ai giovani di crescere: sono i giovani che devono dimostrare di avere la voglia e la capacità di spiccare il volo. A ciascuno la sua parte.

Un’ultima cosa. Abbiamo sempre detto vecchi, e non anziani. Lasciamo che a chiamarli “anziani” siano quanti s’inchinano alla cultura ipocrita del politically correct. Non vuole meno bene a sua nonna, il giovane che la vede per come realmente è: una vecchia; e la chiama così, ma con affetto…