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Il fascino perduto del corpo ai tempi della pornografia

di Massimo Recalcati - 26/06/2016

Il fascino perduto del corpo ai tempi della pornografia

Fonte: La Repubblica



Se il tabù definisce una zona proibita, inaccessibile, impossibile da violare è perché solamente dove esiste senso della Legge può esistere senso del tabù. Il corpo animale è privo di tabù. Innanzitutto di quello che ha per secoli dominato la vita individuale e collettiva dell’Occidente, quello della nudità. Il corpo animale è sempre nudo; non ha senso del pudore, né della vergogna. La nudità è per lui una condizione naturale e l’istinto la bussola che orienta senza incertezze la sua vita. Diversamente da quello dell’uomo il suo corpo non deve rispondere all’esigenza, socialmente condivisa, di ricoprire la nudità. È il corpo umano, che è assoggettato all’imperativo di ricoprirsi, abbigliarsi, vestirsi. È una delle condizioni basiche che definiscono il processo di umanizzazione della vita: non si può andare nudi per strada. L’”annientamento dell’animale”, il suo “sacrificio” – come direbbe Kojève lettore di Hegel – , traccia il cammino della vita che diviene umana. Sono i corpi di Adamo ed Eva che il Dio biblico ricopre di pelli con un gesto di tenerezza estrema dopo averli scacciati dal giardino terrestre. Al tempo stesso però, rovesciando i termini della questione, il corpo dell’animale essendo sempre nudo non è mai veramente nudo.
Se la nudità è qualcosa a cui si può giungere solo dopo una svestizione, se la sua manifestazione implica la caduta dei veli, allora il corpo animale non può incontrare mai il senso più profondo della nudità. Per questo nel mondo animale esiste una vita sessuale, ma non può esistere alcuna forma di erotismo. L’erotizzazione del corpo necessita la sua velatura. Il desiderio per accendersi esige una distanza, una lontananza dal suo oggetto. È quello che distingue l’immagine erotica – che è sempre almeno un po’ vestita – da quella brutalmente pornografica – che riproduce in primo piano la meccanica degli organi genitali. Il desiderio erotico non si mobilita dalla vista della nudità, ma solo dalla nudità intravista. È necessario che il corpo sia un po’ coperto per poter apparire davvero nudo. Un dettaglio scoperto del corpo è più attraente che la vista di un corpo nudo nella sua interezza. Il nudismo è totalmente privo di erotismo. Persegue illusoriamente un naturalismo che vorrebbe poter animalizzare l’uomo dimenticando che l’abito del linguaggio non è un abito che l’essere umano può togliere o mettere a suo piacimento. Il senso dell’osceno non scaturisce dall’erotismo – non c’è alcuna oscenità nella vita erotica –, ma nel corpo che vorrebbe manifestarsi come corpo nudo, libero dal linguaggio, corpo naturale. È quello che ritroviamo nel dipinto di Gustave Courbet L’origine del mondo dove appare un corpo anonimo di donna a gambe spalancate che mostra il proprio sesso senza alcun velo.
L’ideologia nudista non si accorge che nel nostro tempo l’oscenità non deriva più da una cultura repressiva che rende il corpo nudo un tabù, ma da un eccesso di nudità del corpo che rischia di estinguere lo slancio erotico del desiderio. È una constatazione facilmente condivisa: il nudo è divenuto un oggetto troppo prossimo per suscitare il desiderio. È il paradosso del tabù della nudità: quando il corpo nudo vuole essere nudo non è più un corpo nudo, ma solo una vita nuda, o, come direbbe Agamben, una “nuda vita”. Ne abbiamo una conferma in questa stagione dove le spiagge si popolano di corpi svestiti. Che cosa troviamo veramente osceno? Non certo l’erotismo o la bellezza del corpo, quanto piuttosto la presenza del corpo brutto, sgraziato, che, senza cura e senza alcun velo, si mostra placidamente perduto nella sua nuda vita: dormire, mangiare, sudare, esporsi al sole, bagnarsi nel mare. È quello che accade assai più traumaticamente negli ospedali dove la malattia strazia, aggredisce i corpi denudandoli senza pietà. Qui la vita, diversamente che nella routine confortevole della spiaggia, è davvero drammaticamente nuda. Come accade nell’atrocità della guerra quando la sua violenza “sveste” brutalmente i corpi: viscere scoperte, ferite, mutilazioni. Il corpo è davvero osceno quando diviene un presagio di morte. È quello che Schindler’s List di Spielberg ci ha mostrato nell’ammucchiata caotica dei corpi degli ebrei nei campi di sterminio spogliati e sospinti a forza verso il forno crematorio. Corpi che offrono il senso più radicale della nudità come inermità, vulnerabilità, passività, assenza di protezione; esposti inesorabilmente alla morte. Non è forse questo reale innominabile – quello della morte – che il sesso scoperto de L’origine del mondo di Courbet vorrebbe ricoprire? È quello che insegna un racconto di Lacan che un giorno ritornando dalla sua casa di campagna di Guitrancourt verso Parigi incontra, in una strada solitaria, verso sera, un coniglio cieco che staglia la sua sagoma sullo sfondo del tramonto e che ignaro gli appare senza difese rivolto ai fari dell’automobile in arrivo. Non è qui la nudità erotica ad essere in primo piano, ma quella dell’esistenza, della nuda vita. Un animale ferito, malato, ci appare sempre un po’ più umano. La sua vita non è più la vita piena dell’istinto, ma è vita mutilata, offesa, ferita dal linguaggio come accade per la vita umana. Non siamo tutti simili a conigli ciechi persi su di una strada di campagna e rivolti, smarriti, verso il tramonto?