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Strage di Istanbul: un’analisi

di Manuel Zanarini - 01/07/2016

Strage di Istanbul: un’analisi

Fonte: Circolo Proudhon Bologna

 

 

Oggi, i media occidentali si svegliano al suono delle bombe scoppiate all’aeroporto Ataturk di Istanbul. A sentire molti commenti, sembra che la situazione in Turchia, sotto il nuovo “Califfo” Erdogan sia pacifica e che si stia parlando di un Paese estremamente democratico, finito non si sa come sotto l’attacco di qualche “Stato canaglia” o gruppo terroristico.

Ovviamente, le cose non sono così. Il gioco di Ankara nello scacchiere geopolitico medio-orientale è da sempre ambiguo e, sotto il regime di ferro di Erdogan, la situazione non è certamente migliorata. Il “neo-califfo” turco ha rispolverato mire espansionistiche, e, sfruttando l’invidiabile posizione geografica (“un ponte naturale tra Europa e Asia”, come recita lo spot della Turkish Airlines legato al blockbuster statunitense Batman vs Superman), mira a rispolverare il ruolo geopoliticamente centrale che aveva l’Impero Ottomano. Non è infatti un caso che l’attacco abbia avuto come teatro l’aeroporto Ataturk, visti i crescenti risultati della Turkish Airlines, diventata un’attrice centrale nel panorama del trasporto aereo, con un aumento costante di voli e passeggeri, specialmente per le tratte che collegano l’Europa e il Medio Oriente. Basti pensare che la compagna di Ankara è uno degli sponsor principali degli Europei di calcio in corso. La Turchia si è trovata in una posizione strategica che ricorda molto quella dell’Italia durante la Guerra Fredda. Se noi eravamo al confine tra i due “blocchi” statunitense e sovietico, il Bosforo segna il confine tra la NATO, con aspirazioni a entrare nell’Unione Europea, e i Paesi del Golfo, visto che ai confini sud-orientali del Paese troviamo Siria, Iran e Irak. Questa posizione geopolitica ha consentito a Erdogan di recitare un ruolo centrale nel conflitto in corso tra i Paesi islamici, quella che Buttafuoco definisce “fatwa”: da una parte quelli sciiti guidati dall’Iran e quelli sunniti guidati dall’Arabia Saudita. In questo conflitto, si innesta anche il “problema” dei curdi, dato che larga parta del Kurdistan si divide proprio tra Turchia e Irak. Da decenni, i curdi aspirano ad avere uno Stato indipendente, formato dai territori divisi tra i quattro suddetti Stati e popolati da tale etnia. Come è facile immaginare, tale progetto è sempre stato osteggiato e i curdi scacciati o massacrati, come testimonia il genocidio perpetrato proprio dai Turchi, e che è sostanzialmente alla base del contrasto con il partito PKK curdo. La situazione si è ulteriormente inasprita da quando l’Irak è stato diviso in tre “aree”, con al nord la creazione di una regione curda a forte autonomia, nella quale si trovano importanti giacimenti di materie prime, in particolar modo di petrolio.  La Turchia ha visto come grande occasione per ribadire le proprie aspirazioni di protagonista dell’area e, al contempo, per cercare di sbarazzarsi definitivamente del “problema curdo” l’apparire del cosiddetto ISIS. Quest’ultimo, dichiarando guerra sia al nuovo Iraq sciita che alla Siria di Assad, ha fornito agli Stati Uniti e ai loro alleati, tra i quali la Turchia, la chance di finanziare e armare gruppi paramilitari come Al-Nusra, i quali con la scusa di combattere i “tagliagole”, in realtà hanno lo scopo di abbattere i governi della cosiddetta “mezzaluna sciita” che ostacolano le mire egemoniche occidentali. Tutto ciò è dimostrato dai bombardamenti NATO e dell’esercito turco che mai hanno indebolito le truppe dell’ISIS, ma che al contrario hanno solamente indebolito il legittimo esercito siriano e i guerriglieri curdi. Senza contare quando Ankara decise di chiudere militarmente la frontiera con la Siria, facendo così che migliaia di profughi si ammassassero nei campi siriani.

Inquadrata correttamente la situazione e il ruolo quantomeno controverso della Turchia, è facilmente intuibile come l’attacco all’aeroporto Ataturk di Istanbul non può in alcun modo essere assimilato ad altri compiuti presumibilmente da personaggi affiliati all’ISIS, o comunque riconducibili al cosiddetto fondamentalismo islamico. Sfortunatamente per il popolo turco, oggi il governo Erdogan raccoglie i frutti della sua politica espansionistica e imperialista. Un’Europa libera non potrebbe far altro che dissociarsi dal governo Erdogan e impedire qualsiasi tentativo di ingresso nelle istituzioni continentali da parte della Turchia.