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La posta in gioco tra vero e finto Cristianesimo è la necessità della Redenzione

di Francesco Lamendola - 12/07/2016

La posta in gioco tra vero e finto Cristianesimo è la necessità della Redenzione

Fonte: Il Corriere delle regioni





Se dovessimo sintetizzare in una formula, il più possibile comprensiva e sintetica, la posta in gioco nel contrasto, oggi palese, fra vero e finto Cristianesimo, fra la Chiesa cattolica di sempre e quella modernista ormai dilagante, fra il Vangelo come ci è stato affidato dalla Tradizione e il vangelo taroccato e  stravolto dai teologi progressisti e dai preti demagoghi, diremmo semplicemente: la necessità della Redenzione.
Per il vero Cristianesimo, questo è il punto centrale; per quello fasullo, è una questione secondaria, che quasi non emerge, o che sparisce addirittura (e non certo a caso) nel gran cicaleccio a proposito d’impegno sociale, di accoglienza e inclusione, di misericordia a senso unico, di gioiosità e letizia, e via zuccherando e gigioneggiando.
Dire che l’uomo ha bisogno della Redenzione – della Redenzione con la R maiuscola, e non di una redenzione qualsiasi, o magari di una auto-redenzione; di quella di nostro Signore Gesù Cristo, morto sulla croce per i nostri peccati e risorto al terzo giorno per la potenza del Padre – significa ricordare sempre che l’uomo è peccatore, e che, da solo, non va da nessuna parte, tanto meno verso la salvezza.
Ora, questo è precisamente il punto che non piace ai teologi modernisti e ai preti demagoghi: non piace, a quei signori, ammettere che l’uomo è peccatore. Dicono, o pensano, che ciò sa di vecchio, di tristezza, di paura; dicono, o pensano, che questo concetto fa parte di una cultura superata, di un Cristianesimo non più al passo con i tempi. Tempi di progresso, i nostri, si capisce; di magnifiche sorti e progressive, politicamente e culturalmente corrette. Tempi in cui l’uomo è maturo e il cristiano, finalmente, è divenuto adulto; non è più un bambino, grazie a Dio, come lo è stato per secoli e secoli, in braccio ad una Chiesa un po’ troppo protettiva, un po’ troppo solerte, insomma un po’ troppo soffocante, come una mamma che non vuol lasciar crescere i suoi figli.
Peccato che a quei signori sia sfuggito il fatto che parlare di Progresso equivale a negare il Cristianesimo, e che vantarsi di essere dei cristiani adulti significa disprezzare il severo ammonimento di Gesù in persona: In verità, in verità vi dico, che se non diventerete simili a questi bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. Oh, ma quei signori ne sanno una più del Padre Eterno: sono uomini del terzo millennio, loro; uomini che vanno avanti nello “spirito” del Concilio Vaticano II e che hanno, pertanto, la verità in tasca. Non importa se non è precisamente la Verità; è comunque una verità, la loro verità: e, a quanto pare, ad essi basta e avanza. Non ne vogliono un’altra; gonfi di superbia, non dubitano neanche per un attimo d’essere nel giusto. E ripetono continuamente, specialmente di questi tempi – i tempi del pontificato di Francesco: Una cosa è certa, che indietro non si torna.
Proprio così: indietro non si torna. La frase preferita di tutti gli imbecilli, da che mondo è mondo. La frase dei presuntuosi che vogliono trascinare tutto il gregge nella direzione stabilita da loro, a loro insindacabile giudizio. La frase di tutti i progressisti che scambiano l’andare avanti, sempre e comunque, per l’andare nella direzione giusta. La frase prediletta dai superbi, dagli orgogliosi, dagli autoritari, che amano porre gli altri di fronte al fatto compiuto, al gioco ormai fatto, perché danno per scontato di aver capito tutto, mentre gli altri non hanno capito nulla. La frase che rivela una immensa povertà di sostanza umana, perché privilegia l’ideologia alla realtà concreta. Non ha importanza quel che è nelle cose: importa solo che l’Idea venga rispettata, adorata, applicata, ovviamente calandola dall’alto. Da loro. Essi sono gli esecutori della divina Provvidenza, gli unici interpreti autorizzati dello Spirito di verità. E intanto si sono dimenticati, da cristiani, della cosa essenziale: che l’uomo è peccatore.
Si tratta di una deviazione apostatica che parte da lontano. Precede addirittura l’Umanesimo e il Rinascimento. Già negli ultimi secoli del Medioevo, pullulavano i teologi cristiani, come Pietro Abelardo, i quali sostenevano che l’uomo può comprendere e spiegare quasi tutto quel che serve per la vita eterna. Si erano scordati che la fede è credere nell’invisibile e fidarsi dell’indimostrabile; si erano dimenticati del Mistero. Ebbri di orgoglio, esaltavano la ragione umana come unico strumento di conoscenza, tanto delle cose di quaggiù che di quelle di Lassù. Credevamo di aver capito tutto, e invece non avevano capito. Si erano scordati l’essenziale; avevano peso di vista la cosa più importante.
La sana teologia cristiana non ha mai negato o disprezzato la ragione, non l’ha mai avvilita ed emarginata; ma non l’ha mai neppure idolatrata. La sana teologia cristiana è mirabilmente impersonata da San Tommaso d’Aquino, una delle menti più acute nella storia del pensiero umano: il quale, quando non riusciva a comprendere sino in fondo, razionalmente, una questione relativa alla fede, andava a pregare in chiesa, abbracciando l’altare col Santissimo, e restava tutta la notte in preghiera, se necessario, bagnandolo di lacrime e supplicando Dio di aprire la sua mente, di aiutarlo e di colmare la sua umana debolezza.
Ma poi sono arrivati gli uomini piccoli: i Bacone, i Cartesio, i Galilei; e, un poco alla volta, hanno fatto la loro comparsa anche dentro la Chiesa, anche nella teologia cattolica. Un poco alla volta, silenziosamente, strisciando come serpenti, si sono insinuati dappertutto. Al principio del XX secolo, san Pio X si è reso conto del pericolo e ha lanciato un fermo grido d’allarme, un netto altolà, comminando la scomunica ai cosiddetti modernisti. Non è stato ascoltato; anzi, il tenace rancore dei cattolici modernisti ha covato pazientemente il desiderio di rivincita, non ha mai smesso di tramare nell’ombra, ed è balzato fuori, impunemente, trionfante, all’epoca del Concilio Vaticano II, prendendo il timone della Chiesa stessa. Ha mal digerito la canonizzazione di Pio X e ha seguitato a propalare le sue dottrine razionaliste, laiciste, gnostico-massoniche. Oggi quei signori stanno celebrano il loro trionfo, che essi credono definitivo. Indietro non si torna, ripetono, con tono di sfida e quasi di minaccia. Hanno fabbricato un Cristianesimo su misura per l’orgoglio luciferino dell’uomo moderno: un Cristianesimo dove non si parla quasi più di peccato e redenzione, tanto meno di Peccato e Redenzione con le lettere maiuscole: del Peccato originale e della Redenzione di Gesù Cristo, Figlio di Dio e Dio egli stesso.
Di che cosa parlano, allora, questi teologi progressisti e questi preti demagoghi? Parlano di tutto ciò che piace agli orecchi del mondo: della dignità dell’uomo, del perdono a chiunque (pentito o non pentito dei propri peccati), del diritto all’inclusione e all’accoglienza (anche di chi, come Giuda Iscariota, vorrebbe tradire e pugnalare la Chiesa alle spalle), della misericordi illimitata di Dio. Ma che vuol dire “illimitata”? Che il peccatore impenitente sarà accolto nel Regno dei Cieli, insieme alle sue vittime innocenti, come se nulla fosse stato? Questo, sia chiaro, non è affatto il vero Cristianesimo: nel Vangelo, quello vero, risuonano le parole del divino Maestro alla peccatrice: Va’ in pace, e non peccare più. E non peccare più! Gesù non le ha detto: Vai, e seguita a peccare, tanto sarai perdonata comunque. Non le dice affatto questo; nossignori. Le dice: Vai, e non peccare più. Le dà un comando, anche se espresso con dolcezza, perché Egli è un Maestro mite con i peccatori pentiti. Ma non lo è con i peccatori arroganti. I profanatori del Tempio, li cacciò fuori a pedate nel sedere. E ad Erode Antipa, che lo interrogava per dileggio e per curiosità oziosa, non rispose, né gli disse una sola parola. Gesù era buono, non buonista.
I teologi progressisti e i preti demagoghi sono maestri di buonismo, cioè maestri di una falsa dottrina, che non ha nulla a che fare col Vangelo. Il Vangelo non proclama una dottrina buonista,  per il semplice fatto che parte dalla constatazione che l’uomo è peccatore. Se non fosse peccatore, che bisogno ci sarebbe stato della Incarnazione? L’uomo avrebbe potuto salvarsi da se stesso; e sarebbero stati sufficienti i maestri di saggezza umana, come Socrate, Platone, Buddha. Invece, per il Vangelo, l’uomo non è capace di salvarsi da solo, perché la sua natura è inclinata al male. Ecco lo scandalo; ecco la parola impronunciabile per i falsi maestri di dottrina cristiana, per i buonisti a oltranza: dire che la natura umana è inclinata verso il male. E invece è proprio così, e il Cristianesimo, quello vero, quello del Vangelo, parte proprio da questo fatto. Io sono la vite, dice Gesù, voi i tralci. I tralci, da soli, non possono fare nulla: non danno alcun frutto, vengono tagliati e gettati via, nel fuoco, perché non servono a niente. Viene da domandarsi se abbiamo mai letto il Vangelo, quei signori, se lo abbiamo mai letto veramente. Come può essere sfuggito loro questo fatto, che è il fondamento di tutto il resto? C‘è una sola spiegazione: lo hanno letto, sì, ma non lo hanno compreso. Il loro cuore, indurito dall’orgoglio, si è chiuso davanti al messaggio della Verità. Ad essi è capitato quel che Gesù diceva dei Giudei i quali si credevano a posto con Dio, solo perché osservanti della Legge mosaica nella maniera più rigida: Perciò io parlo loro in parabole, perché vedendo non vedano, e udendo non odano, né comprendano. Così si adempie in loro la profezia d’Isaia, che dice: Voi udirete ma non intenderete; guarderete ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, essi sono diventati duri d’orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi e on odano con gli orecchi, e non intendano cl cuore e non si convertano, e io li guarisca. Ma beati i vostri occhi perché vedono, e i vostri orecchi perché odono (Matteo, 13, 13-16).
Ed ecco perché ai teologi progressisti e ai preti demagoghi piacciono i teologi come Teilhard de Chardin, autore di una rielaborazione gnostica, naturalistica e panteistica del cristianesimo,  e i preti come don Lorenzo Milani, protagonista di una interpretazione libertaria, socialmente rancorosa e priva di qualunque umiltà, dell’azione pastorale del sacerdote; ecco spiegato perché ad essi non piace san Tommaso d’Aquino, non piace san Massimiliano Kolbe, non piace san Pio da Pietrelcina, non piacciono Bernadette Soubirous o i tre pastorelli di Fatima, non piace suor Faustina Kowalska, e non è piaciuto Benedetto XVI (tanto che lo hanno costretto a dimettersi dal soglio pontificio). Tutti questi ultimi hanno in comune una cosa molto semplice: la piena coscienza della natura peccatrice dell’uomo e l’assoluta indispensabilità della Redenzione, così come la testimonianza che Dio (e Maria Vergine, per suo conto) si rivela agli umili e ai semplici, ma rimane nascosto agli orgogliosi e ai superbi. San Tommaso non piace loro, come non piace Benedetto XVI, per la loro distinzione della fede e della ragione, necessarie entrambe, ma più necessaria la prima; i veggenti bambini non piacciono loro (come non piacciono quelli di Medjugorje) perché ricordano loro un cristianesimo da santino, da fanciulli, e, probabilmente, perché ricordano la loro infanzia, quando andavano al catechismo, mentre essi vogliono sentirsi adulti e “responsabili”, insomma cristiani aggiornati con il terzo millennio; san Massimiliano Kolbe non piace, perché parlava troppo dell’Immacolata Concezione di Maria (cioè del Peccato originale, che contraddistingue tutti gli altri esseri umani) e suor Faustina Kowalska, perché aveva il torto, come anche san Pio da Pietrelcina, di aver visto l’Inferno con le anime dannate, e di aver percepito la tremenda presenza del Demonio. Inferno, Demonio, peccato, punizione: che brutte parole! Esse suonano scandalo ai sensibili orecchi dei teologi modernisti e dei preti demagoghi, i quali vorrebbero parlare solo di un Cristianesimo sciropposo, misericordioso, gioioso, gaudioso e rassicurante, insomma di un Cristianesimo senza Peccato e senza Redenzione: di un Cristianesimo ridotto a morale, per giunta a morale relativa, valida quanto altre morali, quella giudea, quella islamica, quella buddista, quella atea: tutte insieme appassionatamente, a maggior gloria dell’uomo (se non proprio anche di Dio).
A questo punto, bisogna domandarsi a quale gioco essi stiano giocando. Stanno distruggendo le basi stesse del Vangelo: non lo sanno? Se non lo sanno, sono dei poveri imbecilli; se lo sanno, sono strumenti del Male. Di quel Male di cui non parlano mai. Ci sono preti, vescovi e teologi “cattolici” i quali negano l’esistenza del Demonio, e che la buttano in ridere. Anche per questo preferiscono i don Lorenzo Milani ai Jean-Marie Vianney, il mite curato d’Ars, che non predicava la protesta sociale e non suggeriva ai bambini della sua parrocchia di scrivere lettere contro i professori, ma confessava le anime peccatrici per ore ed ore, tutti i santi giorni. Jean-Marie Vianney, lui, il Diavolo l’aveva visto: ne aveva ricevuto anche i colpi. Sapeva che l’uomo è peccatore e che, senza l’aiuto di Dio, è perduto. Anche padre Pio lo sapeva e ne parlava spesso, continuamente. I veri uomini di Dio predicano la conversione, la preghiera, il silenzio e l’ascolto della parola di Dio. Gli altri, predicano la protesta, i diritti, la rabbia, la disobbedienza, l’azione sociale quale rimedio ai mali dell’umanità...