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Ernst Nolte. L'allievo di Heidegger che odiava Habermas

di Luciano Lanna - 23/08/2016

Ernst Nolte. L'allievo di Heidegger che odiava Habermas

Fonte: ildubbio

Ernst Nolte, lo studioso scomparso ieri a 93 anni d'età, forse resterà nell'immaginario - insieme al suo maestro Martin Heidegger e allo scrittore-filosofo Ernst Jünger - come uno dei tre grandi patriarchi del pensiero tedesco del Novecento. Ovvio il riferimento alla filosofia perché, anche se pochi lo sottolineano, Nolte è stato soprattutto un rigoroso filosofo, uno studioso che si è andato a interrogare teoreticamente sulla parabola drammatica del "secolo breve". Fu l'italiano Augusto Del Noce, il quale con lui ebbe un prolungato carteggio, a riconoscergli il merito di aver sottolineato che "senza la chiave filosofica la storia contemporanea non si intende, e la reciproca è vera perché senza approfondimento della storia contemporanea non si può fare filosofia: mai come oggi appare chiaro il senso della famosa frase di Hegel che la filosofia è il proprio tempo appreso con il pensiero". Nato a Witten nel 1923, Nolte fu a Friburgo allievo di Heidegger  e di Eugen Fink, noto esegeta nietzscheano, con il quale nel '52 conseguì il dottorato. Filosofo di formazione e vocazione, come dicevamo, si è personalmente dedicato all'interpretazione storico-filosofica del Novecento, insegnando all'università di Marburgo e fino alla pensione nel 1991 alla Freie Universität di Berlino. Sebbene l'eco della polemica sulla cosiddetta "storiografia revisionista" di Nolte si sia con gli anni attenuata, il suo lavoro e la sua produzione bibliografica furono caratterizzati da quella che Del Noce definiva interpretazione "transpolitica" della storia contemporanea, una lettura cioè che faceva leva, più che sulle vicende politico-sociali e sul dato economico, sulle ideologie e i loro intrecci considerati in una prospettiva "epocale". Il nucleo essenziale di essa risiedeva nel legare strettamente il fascismo al bolscevismo e nel considerarli insieme come una sorta di "correlati" storici. All'inizio degli anni 70 Ernst Nolte insieme, appunto, al cattolico Del Noce, ma anche a storici come George L. Mosse e Renzo De Felice, introduce scandalosamente la necessità di una nuova interpretazione del fascismo che si poneva oltre quella etico-liberale della "malattia morale" di crociana memoria e quella, vetero-marxista, rappresentata da György Lukács, il quale aveva parlato di processo verso l'irrazionalismo "da Schelling a Hitler. Per Nolte, invece, c'è un legame genetico tra il comunismo e il fascismo che glieli fa ascrivere, sia l'uno che l'altro, all'ambito del totalitarismo. È del 1963, infatti, il primo libro che abbia tentato un'esaustiva comprensione storico-filosofica del fascismo: Der Faschismus in seiner Epoche,  tradotto in Italia come I tre volti del fascismo.  Con quell'opera Nolte tenta di individuare una "essenza" unitaria del fascismo, in cui il primo grado sarebbe rappresentato dall'Action française, il secondo dal fascismo mussoliniano, il terzo dal nazionalsocialismo tedesco. Un'interpretazione "sovrastrutturale" dei fascismi che, se fece subito storcere il naso ai custodi della lettura del fascismo quale banale reazione capitalistica, non convinse neanche Del Noce, il quale distingueva il nazionalismo dal fascismo e il mussolinismo dal nazismo, rifiutando di ricondurli a un'essenza comune. Anzi, per il filosofo cattolico dentro il fascismo italiano si poneva una certa continuità tra la rivoluzione mazziniana e quella mussoliniana e si evidenziava "una continuità, pur nell'opposizione, tra fascismo e azionismo". Certo, sarà lo stesso Nolte, anni dopo, ad ammettere quelle differenze: «Per me è molto significativo - ammise - che il giovane Mussolini, nel 1923, dicesse: "Io sono un fascista costituzionale. Se ci fosse solo il fascismo il mondo sarebbe noioso. Io non voglio un mondo simile, ci devono essere contraddizioni, contrapposizioni?". Poi - proseguiva Nolte - il Duce fu spinto dalla cose, dai suoi compagni di partito più radicali e dai suoi stessi avversari, a eliminare gli altri partiti e a instaurare un regime totalitario». E più avanti, ancora più esplicito: "Mussolini non ha concentrato in una figura tutto quanto considerava nemico. Non ha creato, cioè, la figura dell'ebreo. Per Hitler invece l'ebreo è il condensato di tutto quanto egli avversa. Il capitalismo è giudaico, la massoneria è giudaica. La socialdemocrazia vuol dire marxismo e il marxismo è giudaico. Tutto ciò non c'è in Mussolini?». C'è insomma, da subito, in Nolte la comprensione dello sterminio totalitario degli ebrei come caratteristica centrale e specifica del nazismo. C'era, soprattutto, nella sua interpretazione l'intento di fornire la spiegazione razionale di un fenomeno altrimenti destinato, con l'alibi della condanna senza appello - quella del "male assoluto", indiscutibilmente legittima ma limitata al piano del giudizio morale - a un'inevitabile "rimozione" storiografica. Più di vent'anni dopo, nel 1986, Nolte scatenò di nuovo le polemiche con il cosiddetto Historikerstreit, una feroce discussione tra storici e filosofi tedeschi - uno dei suoi più agguerriti oppositori fu Habermas - con un articolo che parlava di "nesso causale" tra bolscevismo e nazismo, più in particolare tra "le realtà di sterminio del movimento ideologico precedente, quello comunista, e quelle del successivo anti-movimento del nazionalsocialismo radical-fascista". Lo stesso Olocausto poteva andare andare letto come un'iper-reazione alla Rivoluzione di ottobre, scrisse in un libro apparso l'anno successivo, intitolato La guerra civile europea 1917-1945. Nazionalsocialismo e bolscevismo. E se in Italia proseguiva la strategia dell'attenzione nei confronti della sua opera, fatta non solo di polemiche ma anche della sincera interlocuzione - basti pensare ai rapporti non solo con Del Noce e De Felice ma anche con Leo Valiani - in Germania si scatenò un violento ostracismo nei suoi confronti. Una sua intervista televisiva gli costò la fine della collaborazione con la Frankfurter Allgemeine Zeitung. E prima dell'esclusione dai media qualcuno aveva provveduto a incendiargli la macchina. Per non dire di quando venne assalito a Berlino insieme a un gruppo di studenti cattolici che l'avevano invitato per una conferenza, impedendogli l'ingresso in Università e cercando di sfigurarlo con il lancio di liquido corrosivo sul volto. L'assalto teppistico fu rivendicato come una "punizione" per aver calunniato la "lotta del popolo russo per la libertà" e più in generale perché i suoi detrattori lo ritenevano un "nazista" tout court. "Ma se le tesi di Nolte sulla guerra civile europea come scontro fra i due totalitarismi, comunista e nazista, non gli potevano essere perdonate nemmeno dopo la caduta del Muro, ciò non significa - commentò su La Stampa Mario Baudino - forse che quella "guerra civile" non è ancora finita, che quel passato non vuol passare e in alcuni casi non passa? ". Definitive le parole pronunciate dallo stesso Nolte, intervistato nel 2003 in Italia da Massimo de Angelis: «La memoria non deve essere unilaterale. E allora, così come l'analisi del nazionalsocialismo deve condurre all'analisi di altri regimi totalitari, così la memoria dell'orrore del nazionalsocialismo deve ravvivare la memoria di altri orrori, per esempio quelli dei gulag, ma anche di altri magari potenziali. Io non sostengo - concludeva Nolte - l'idea di un generale oblio, piuttosto penso a una più ampia memoria cui corrisponda anche una certa dose di oblio».