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Yemen, la guerra dimenticata

di Alberto Negri - 24/08/2016

Yemen, la guerra dimenticata

Fonte: ilsole24ore

Perché la Siria è ovunque sui media e lo Yemen resta una guerra dimenticata? La risposta non è soltanto nella geopolitica e negli esiti di una battaglia decisiva per la divisione delle sfere di influenza in Medio Oriente. E' anche nella foto del piccolo Omran che ha commosso il mondo. Ci sono state immagini ancora più drammatiche della stessa Aleppo dove si sono visti i corpi dei neonati estratti dai genitori dalle macerie, eppure sono passate a lungo sotto silenzio. Ma in questo momento si vuole una tregua che salvi la faccia al fronte sunnita e agli alleati degli occidentali che stanno perdendo il conflitto dopo l’ingresso in campo della Russia in appoggio ad Assad e al suo alleato iraniano.
In realtà un cessate il fuoco duraturo per salvare i civili non sarà possibile fino a quando a combattere ci saranno gruppi come al-Nusra, l’ex fronte qaedista appena riciclato tra l’opposizione “rispettabile” che gli americani vorrebbero utilizzare in chiave anti-iraniana e anti-russa. L’eliminazione di al-Nusra è da mesi la richiesta di Vladimir Putin agli americani e a Erdogan, sponsor dei jihadisti. La tregua passa da un accordo tra questi attori. Se Omran è finito sotto le macerie non è solo per colpa dei jet di Putin ma anche dei piani sauditi e turchi per rifornire di armi i ribelli, soprattutto i più radicali che da molto tempo hanno oscurato la cosiddetta opposizione “moderata”. 
Ma non si parla di tregua in Yemen, dove 2,5 milioni di persone sono alla fame, per il motivo contrario a quello siriano. Qui i sauditi, che guidano una coalizione arabo-sunnita contro gli Houthi, sciiti zayditi appoggiati dall’Iran, stanno massacrando la popolazione civile e bombardano gli ospedali come quello di Medici senza Frontiere. Secondo un rapporto Onu questa coalizione, appoggiata dagli Usa, è responsabile del 60% dei morti e dei feriti tra i bambini. Gli Stati Uniti, senza alcuna autorizzazione del Congresso, hanno dato carta bianca a Riad per far fuori i ribelli ma i sauditi si sono impantanati in un Vietnam arabo, dove per altro usano i caccia già dal 2009: allora, quando incontrammo nel Nord Yemen i ribelli Houthi, pittoreschi e male armati, nessuno avrebbe mai immaginato che si sarebbero impadroniti della capitale Sana. Da una prospettiva geopolitica, la Russia appoggia anche in Yemen il fronte sciita sostenuto dall’Iran e l’ex presidente Ali Abdullah Saleh, un tempo alleato degli Usa, si è spinto a offrire basi a Mosca.
Soltanto adesso gli americani, dopo un infuocato editoriale del New York Times che accusa Washington di complicità nei massacri, rendono noto che in giugno si sarebbero ritirati dalla cellula per la pianificazione degli attacchi aerei in Yemen, pur continuando a sostenere i sauditi. 
L’opinione pubblica non si deve soltanto commuovere ma anche ragionare su quello che stiamo facendo da alcuni decenni nel mondo arabo, altrimenti si scivola in un’inutile retorica. Negli otto anni di presidenza del democratico Barack Obama gli Usa hanno venduto a Riad 110 miliardi di dollari di armi, aumentando di recente le forniture per ammorbidire un alleato furibondo dopo l’accordo con l’Iran sul nucleare. «C’è un’impronta americana su ogni vittima civile in Yemen», ha affermato il senatore democratico Chris Murphy, dopo che il dipartimento di Stato ha approvato un’altra fornitura da oltre un miliardo di dollari di carri armati a Riad. 
Ma i Saud, al terzo posto mondiale per spese militari e grandi acquirenti dei bond americani, sostengono con una quota del 25% la campagna elettorale della signora Hillary Clinton, «nonostante sia una donna» come ha reso noto lo stesso vice principe ereditario Mohammed bin Nayef. Il principe è stato insignito della Legione d’Onore, perché i sauditi hanno lo straordinario merito di avere salvato l’Areva, l’industria nucleare francese che aveva ormai consegnato i libri al tribunale fallimentare. Da un parte la Francia proibisce il burkini, dall’altra sostiene un regno assolutista tenuto in pugno da una tribù di cinquemila principi del sangue che usa la pena di morte a tutto spiano contro i suoi oppositori ed è il maggiore finanziatore della versione più conservatrice e retrograda dell’Islam. Certo la diplomazia religiosa del regno e i soldi versati ai centomila imam addestrati in 40 anni dai sauditi sono benvenuti quando incrociano gli interessi occidentali: una vecchia storia cominciata nel 1979 quando si trattava di fare la guerra all’Urss in Afghanistan sostenendo i mujaheddin, poi diventati i “barbari” del decennio successivo. Lo stesso accade oggi con i jihadisti in Siria quando combattono per i “buoni”.
Dalle nostre parti con una mano si impugna la bandiera del laicismo, dei diritti umani, della fratellanza tra i popoli, sventolando il Manifesto di Ventotene, con l’altra si guarda con attenzione al portafoglio. Ma in tempi di crisi si deroga sui princìpi e anche sui prìncipi sauditi riforniti di armi dagli europei. È con questo atteggiamento assai interessato con cui l’Occidente dà costantemente ragione a Riad, che lo Yemen si disintegra e affondano anche le opportunità di correggere le ingiustizie mediorientali.