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Gli Usa usano i curdi per mantenere la crisi in Medio Oriente

di Salvo Ardizzone - 29/08/2016

Gli Usa usano i curdi per mantenere la crisi in Medio Oriente

Fonte: Il Faro sul Mondo

 

Con l’Isis in crisi gli Usa puntano ai curdi per mantenere la tensione in Medio Oriente: li usano per colpire Siria, Iraq, Iran e ricattare la Turchia.

 

L’appoggio sempre più massiccio che gli Usa stanno fornendo aicurdi è tutt’altro che disinteressato, e solo indirettamente è finalizzato alla lotta all’Isis; nella realtà mira a un duplice obiettivo: quello massimo, di realizzare attraverso loro l’antico programma di smembrare Siria ed Iraq e mantenere un’influenza sull’area; quello minimo, di suscitare una nuova crisi che continui a paralizzare il Medio Oriente anche se saranno costretti a lasciare la zona.

Con l’Isis in crisi e i takfiri ridotti ovunque sulla difensiva, si avvicina il momento cruciale del conflitto che ha insanguinato Siria ed Iraq: quando si ridisegneranno gli equilibri futuri di un Medio Oriente che avrà visto la vittoria dell’Asse della Resistenza e dei suoi alleati. È in questo contesto che molti leader curdi iracheni e siriani stanno tentando di sfruttare la fase finale della guerra per averne il maggior utile possibile.

Gli Usa, da parte loro, con il prossimo collasso dell’Isis e la crisi profonda in cui stanno sprofondando le altre sigle “ribelli”, vengono privati delle pedine attraverso cui impedivano la stabilizzazione dell’area, con la certezza della vittoria dell’Asse della Resistenza stretto in un’alleanza che s’avvia a divenire strategica con la Russia. Una prospettiva catastrofica per Washington, che verrebbe espulsa da un’area cruciale divenuta stabilizzata, coesa e contraria ai suoi interessi.

In questa ottica, assecondare le massime ambizioni dei curdi e puntare su di loro in Iraq e Siria, permette a Washington di rimanere in gioco. La preparazione delle operazioni su Mosul, l’espanzione verso Manbji e le aree arabe del nord della Siria, la prossima offensiva su Raqqa, servono agli Usa per accampare crediti nella lotta all’Isis assai più grandi di quelli effettivi.

Per questo la copertura dei media sui curdi è stata tale da far passare la ridicola fola che siano stati i peshmerga e le milizie dell’Ypg gli unici che abbiano combattuto i Daesh con efficacia, ed oscurare totalmente la strenua lotta, reale questa, condotta dagli Eserciti di Siria ed Iraq insieme ai loro alleati sciiti.

L’accelerazione che gli Usa hanno dato al loro impegno si spiega col fatto che chi prenderà Mosul in Iraq e Raqqa in Siria, sarà incoronato dai media l’eroe vincitore dell’Isis, anche se esso è stato fiaccato da altri in cento battaglie. Un simile patrimonio politico e di immagine servirà agli Usa e servirà ai disegni separatisti dei curdi, sposando in pieno i disegni di Washington.

I curdi vivono in quattro Paesi: Turchia, Siria, Iraq e Iran; tre di essi appartengono al Fronte della Resistenza; giocando la carte del separatismo curdo, eccitato a bella posta da Washington, essi vengono coinvolti in un’altra crisi che dovrebbe distoglierli dai loro programmi di lotta all’Imperialismo Usa e al sionismo. Il quarto Paese, la Turchia, ha dato prova di grande spregiudicatezza ed ora, per una coincidenza d’interessi, prova a flirtare con Mosca e riavvicinarsi all’Asse della Resistenza; per Washington i curdi sarebbero uno strumento efficace per ricattare Ankara se necessario.

Come detto all’inizio, lo spazio mediatico e il completo appoggio che Washington sta concedendo ai curdi, serve a regalar loro un peso nel riassetto di Siria ed Iraq dopo la sconfitta dell’Isis e dei takfiri, finalizzato a smembrare quei Paesi attraverso la creazione di un loro Stato. Quand’anche non dovessero riuscirci, cosa assai probabile, gli Usa, scacciati dalla vittoria dell’Asse della Resistenza, abbandonerebbero l’area dopo aver creato tutti i presupposti di una secessione e di una nuova crisi.

Per concludere, abbandonato l’Isis, ormai in crisi e comunque sempre meno governabile, gli Usa hanno scelto i curdi come loro nuovo strumento per mantenere l’instabilità della regione.