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I teologi progressisti hanno sequestrato la fede e lasciato il gregge orfano della Verità

di Francesco Lamendola - 06/09/2016

I teologi progressisti hanno sequestrato la fede e lasciato il gregge orfano della Verità

Fonte: Il Corriere delle regioni

 

Il momento, inutile negarlo, è di una gravità estrema. In pericolo è la fedeltà della Chiesa alla sua missione divina; in pericolo sono la dottrina e la pratica del clero e dei fedeli; in pericolo è la vita soprannaturale delle anime, confuse e frastornate da parole e da esempi negativi, scellerati, o, nel migliore dei casi, incoscienti e sommamente imprudenti. Non è solo la società profana che ogni giorno sprofonda di più nella palude mefitica del relativismo e dell’edonismo grossolano, specialmente l’edonismo sessuale; è la stessa dimensione della fede che sta subendo, forse, la prova più dura che mai i seguaci di Gesù abbiano dovuto affrontare, nel loro complesso, dai tempi delle persecuzioni nella Roma antica. E la cosa più drammatica è che l’assalto alla cittadella della fede non viene portato avanti apertamente, in maniera franca e riconoscibile, da nemici che si presentano come tali, senza infingimenti; bensì in maniera subdola, insidiosa, proprio dall’interno della Chiesa, e proprio da parte di coloro i quali dovrebbero tenere accesa la fiaccola per illuminare la notte del mondo: ma essi hanno nascosto la fiaccola sotto il moggio e son piombati al buio, e al buio, come ciechi incoscienti, stanno trascinando anche gli altri, verso il precipizio del nichilismo e della sua compagna inseparabile, la disperazione

Il mondo moderno è, alla lettera, disperato: dietro la facciata scintillante del “benessere”, del “progresso”, della “felicità”, esso cova un male gravissimo, incurabile, del quale inconsciamente si compiace; e la sua disperazione deriva, precisamente, e nonostante le illusorie conquiste della tecnica e gli effimeri trionfi della “cultura dei diritti”, nel fatto di aver perso la speranza, e, in particolare, di aver smesso di credere nell’amore di Dio per gli uomini. Da quando gli uomini hanno ritenuto di doversi “emancipare”, gettando via da sé il timor di Dio e strappando i veli dei misteri sacri - che non sono contrari alla ragione, ma superiori ad essa, di quanto il cielo è superiore alla terra -, con l’assurda pretesa di poter spiegare tutto, anche la Rivelazione, con il solo strumento della ragione calcolante, ebbene, da quel momento gli uomini, o meglio, quella particolare umanità malata e degenerata, costituita dagli uomini moderni, ebbri di superbia intellettuale e privi del timor di Dio, hanno imboccato la via della disperazione: una via dalla quale non c’è ritorno, perché non può essere redento chi nega il bisogno della redenzione, e non può essere salvato chi non ammette affatto d’essere in pericolo.

Quasi per cautelarsi, per mettere le mani avanti, i teologi modernisti tacciono del peccato e delle sue conseguenze; non parlano più dell’Inferno, o, se ne parlano, lo fanno per dileggiare coloro i quali ancora vi credono: come se, per un cristiano, credere nel Giudizio, nell’Inferno e nel Paradiso, sia una questione di gusti personali, e non un preciso articolo di fede, tolto il quale anche il resto dell’edificio finirebbe per sgretolarsi e rovinare al suolo. Costoro, del resto, parlano sempre di meno anche della vita dopo la morte: si direbbe che la loro prospettiva si sia rimpiccolita, che non abbracci più la dimensione dell’eterno, ma si limiti alla realtà presente: e, infatti, si vantano di voler costruire un mondo migliore, qui e ora, non ricordando le parole di Gesù: il mio Regno non è di questo mondo. Ecco dive i ha portati la tanto celebrata “svolta antropologica” del Concilio Vaticano II, condotta da uomini come Karl Rahner e Walter Kasper: a ignorare il mistero di Dio e a glorificare l’uomo; il che è precisamente l’essenza del peccato originale, quello commesso da Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden. Valeva la pena, giungere a un simile esito, cioè all’auto-liquidazione del cristianesimo, smuovere mari e monti, parlare di svolte e di rinascite, di ecumenismo e di pluralismo, e rintronare gli orecchi dei fedeli con i ritornelli cari a tutti i progressisti d’ogni tempo e paese: la giustizia, il progresso, la pace, ma senza più la Verità, e senza l’amore e il timore di Dio?

Scriveva il padre stimmatino friulano Cornelio Fabro (Flumignano di Talmassons, Udine, 24 agosto 1911-Roma, 4 maggio 1995), teologo e filosofo, sapiente traduttore e conoscitore dell’opera di Kierkegaard, nel 1974, chiosando, in parte, un saggio di G. May (Niedergang und Aufstieg der Seelsorge, apparso su una rivista cattolica tedesca due anni prima, nel 1972), ma dimostrando di possedere un occhio veramente profetico, al punto che le sue parole sembrano un’analisi precisa della situazione odierna, a distanza di quarant’anni (da: C. Fabro, L’avventura della teologia progressista, Milano, Rusconi Editore, 1974, pp. 285-302, passim):

 

Bisogna partire da un fenomeno che è decisivo e insieme sorprendente per la Chiesa cattolica, cioè la determinante anzi DOMINANTE POSIZIONE DELLA TEOLOGIA NELLA CHIESA ATTUALE. Essa sembra essere diventata, da una Chiesa di vescovi, una Chiesa di professori. Devo in verità correggermi: dominante non è la teologia semplicemente, ma  una determinata forma di teologia che si chiama, con la modestia che le è propria, teologia del progresso, che io però indico come progressista. […] Evidentemente questa teologia progressista non ha nulla a che fare con il vero progresso, che si chiama avvicinamento alla perfezione – ed è questo in verità vero progresso -, cui il Signore della Chiesa ci invita. Il progresso autentico afferma i valori presenti e cerca di svilupparli, non li distrugge. Il progressismo invece contiene un programma di totale insicurezza.  Ciò che esso spaccia per progresso è un verità regresso, cioè disgregazione di valori, svuotamento di contenuti, distruzione di forme: in breve una demolizione, una liquidazione di cui una volta un professore di teologia dogmatica mi disse “La liquidazione si può fare soltanto UNA VOLTA!”. Le opposizioni nella Chiesa non sono affatto tra conservatori e progressisti. Non si tratta infatti di una diversa impostazione della medesima eredità cattolica che da nessuna è negata, ma si tratta della FEDELTÀ ai valori cattolici o del loro tradimento. […] Io non esagero se dico che la guida della Chiesa è passata di fatto  in larga parte dai pastori autorevoli e responsabili a teologi progressisti e irresponsabili. […]

Il PROCEDIMENTO è sempre il medesimo: un paio di teologi progressisti di cartello si trovano insieme, elaborano qualche manifesto o altro proclama, lo pubblicano, fanno rumore, un gregge di seguaci si unisce a loro e dà man forte al coro, i mass-media prendono la palla che è loro lanciata e attizzano l’agitazione: la maggioranza dei vescovi tace, si mostra impressionata, benché alcuni siano impressionati non tanto dagli argomenti quanto dal vortice scatenatosi, un gruppo si dichiara solidale con i manifestanti, altri fanno dichiarazioni contrastanti che vengono subito diffuse dappertutto e impediscono ogni formazione di un’opposizione, ambedue i gruppi cominciano a esercitare insieme una pressione sul Papa. Il Papa è spaventato, indugia, indietreggia, compromette quelli che erano pronti a introdurla, il progetto conteso è lasciato cadere oppure è modificato secondo il desiderio dei manifestanti.  […] Così la Chiesa un po’ alla volta – e questo va tenuto bene in vista – per quel che riguarda la decisione dei pastori è scivolata in una situazione di carenza di guida la quale, sia nel campo della dottrina sia in quello della disciplina, opera con crescente disintegrazione Ogni positiva dichiarazione dei vescovi è contraddetta subito da quelle negative di molti teologi modernisti. Ultimo esempio: l’aborto. […] I teologi progressisti hanno creato ISTITUZIONI che devono consolidare il loro dominio. Il mio pensiero va alle commissioni dei teologi di diversi campi e alla rivista “Concilium”. Il suo dominio, belle case editrici, nelle riviste, nei giornali è solidamente fondato e pressoché completo, così che senza esagerazione si potrebbe parlare di un cartello progressistico di opinione, anzi di un monopolio di opinione. Al suo influsso soggiacciono e nella maggioranza SOCCOMBONO da anni i pastori della Chiesa, il clero e i fedeli. […] In seguito al monopolio ideologico dei progressisti non è possibile illuminare in grande stile il popolo fedele su ciò che negli ultimi anni si è fatto nella Chiesa. Così l’enorme processo di liquidazione dei valori cattolici non è venuto alla piena coscienza dei più o su vasta scala. Vastissimi circoli del clero e di laici ne sono infetti. […]

La crisi della cura d’anime ha la sua radice principale, precisa il May, nella CRISI DEI PASTORI D’ANIME… Conoscete gli slogan: il sacerdozio dev’essere demitizzato, il patriarcalismo demolito, la Chiesa democratizzata. […] Ci sono sacerdoti il cui corso della giornata è determinato dai programmi della televisione, sacerdoti che trascurano regolarmente i propri doveri di pietà sacerdotale. Ci sono sacerdoti i quali da mesi, se on da anni, non ricevono più il sacramento della confessione malgrado le prescrizioni ecclesiastiche ancora vigenti. […]

Con la perdita della fede è connesso L’ALLENTARSI DELLA PIETÀ. La capacità per la preghiera personale viene obliterata o non sufficientemente formata. I fedeli si sono quasi completamente dimenticati di pregare per sé […] prima o dopo la santa Messa. Ma è ovvio insiste il May, che la preghiera sta e cade con la preghiera personale. La riforma liturgica, vista nel suo complesso, non ha fortificato la fede né approfondito la pietà. Piuttosto il rispetto per l’Iddio santo, per la sua maestà e il suo giudizio, i suoi misteri e la sua parola ha lasciato il posto in misura angosciante alla superficialità, alla leggerezza, anzi alla frivolezza in rapporto al sacro. […] Il TIMORE DI DIO sembra scomparso dalla Chiesa; il timore di Dio di cui la Scrittura dice che esso è l’inizio della sapienza e un dono dello Spirito Santo. […] Lo SPIRITO DI PENITENZA è cessato da molto tempo, e non ultima causa è la demolizione della disciplina penitenziale. […] La gioia infantile tra i cattolici tedeschi è spaventosamente diminuita. Di questo è responsabile, per una parte notevole, l’EDONISMO sessuale al quale certi teologi morali con la tolleranza dei vescovi hanno assegnato una patente di franchigia. L’epidemia delle separazioni prende i cattolici con sempre maggior forza. Del tutto comune è fra i cattolici l’aspirazione al piacere, al godimento e alle soddisfazioni in una misura preoccupante al posto del compimento del dovere, della rinuncia e del’autosacrificio. […]

Tra le cause più determinanti dell’allontanamento dei fedeli vanno indicate l’introduzione del culto interconfessionale e la depravazione della predicazione cristiana. Quando i frequentatori della chiesa sono oltraggiati dal pulpito, quando gli atei vengono loro presentati come modelli, quando un umanesimo universale sostituisce l’Evangelo e le verità della fede vengono apertamente negate, allora simili comportamenti con l’andare del tempo scuotono la pazienza anche dei migliori cattolici […]. Una responsabilità non meno lieve, secondo il May, spetta alla RIFORMA LITURGICA per aver lasciato briglia sciolta al dilagare degli esperimenti di ogni genere. La cosa più sacra che la Chiesa possiede, l’Eucaristia, è diventata un campo di giostra di ideologi e fanatici tra la costernazione e la dolorosa sorpresa dei fedeli. Anche l’abbandono del canto gregoriano, della lingua latina e della musica ecclesiastica ha avuto il suo peso. […]

In conclusione: la Chiesa si trova coinvolta in una CRISI DI DIMENSIONI ENORMI. Non ancora tutti i responsabili hanno preso coscienza della tremenda serietà della situazione. Molti - e quanti! – si consolano ancora con i resti di una vita religiosa che essi on hanno suscitata ma ricevuta. Una pietra, esposta a lungo ai raggi del sole, si mantiene per un cero tempo calda, anche dopo che il sole è tramontato. Nel cattolicesimo tedesco c’è ancora qualche forza e qualche vita create dalle precedenti generazioni di laici e sacerdoti. Di questo capitale si nutre ancora il progressismo. Ma che sarà quando esso sarà completamente in rovina?

 

A questa analisi severa, dura, impietosa, formulata, peraltro, in base ad una conoscenza diretta di quel che stava accadendo nelle diocesi e nelle parrocchie tedesche, ma che, oggi, si può estendere all’intero panorama della Chiesa cattolica di ogni Paese d’Europa, padre Fabro, nonostante tutto, faceva seguire una serie di indicazioni e di suggerimenti per una ricostruzione di ciò che, per imprudenza, trascuratezza o peggio, si era demolito. Secondo lui, la situazione era gravissima, sia sul piano dottrinale che disciplinare, non però del tutto compromessa, non irreparabilmente sfuggita di mano. Esistevano ancora, secondo lui, dei margini di ripresa: dei margini umani, beninteso; perché a Dio tutto è possibile.

Ebbene, oggi tali margini si sono ulteriormente ridotti; in molti casi, non esistono più, ed è stato oltrepassata la soglia di non ritorno, come un copertone d’automobile di cui sia stato consumato interamente il battistrada, e che rischia ormai di esplodere a causa dell’attrito che si produce correndo sull’asfalto. I vescovi, da spettatori che erano, si sono fatti parte in causa nel processo di modernizzazione e protestantizzazione della Chiesa cattolica; e il papa stesso, questo papa, Francesco, ha assunto il ruolo che, quarant’anni fa, veniva svolto da alcuni spregiudicati teologi d’assalto, con le tecniche descritte lucidamente da padre Fabro. Oggi è proprio dal pulpito più alto, quello de successore di Pietro, che i cattolici si sentono grandinare addosso – per usare le parole del Nostro – parole sconcertanti, rimproveri ingenerosi, lodi sperticate di personaggi la cui azione è stata, per una vita intera, e senza ripensamento alcuno, anticristiana, libertina e brutalmente edonistica: Quando i frequentatori della chiesa sono oltraggiati dal pulpito, quando gli atei vengono loro presentati come modelli, quando un umanesimo universale sostituisce l’Evangelo… allora simili comportamenti, con l’andare del tempo scuotono la pazienza anche dei migliori cattolici. Come si devono sentire i buoni cattolici, oggi? Si aspettano parole di conforto, d’incoraggiamento, di speranza, ma odono discorsi di tutt’altro tenore: discorsi che paiono dettati da uno spirito che ha poco a che vedere con la Rivelazione e con la Tradizione cattolica, ma che ricordano molto, moltissimo, lo spirito del mondo, nel senso giovanneo della parola. E la prova ne è che piacciono tanto, quei discorsi, ai peggiori nemici della Chiesa: ai massoni, ai radicali, ai progressisti atei e materialisti, ai protestanti e ai seguaci di altre religioni, aggressive e in piena espansione, che non esitano a scatenare delle vere e proprie persecuzioni anticristiane. Ma papa Francesco lo nega: perfino davanti al cadavere di padre Hamel, sgozzato sull’altare al grido di Allah akbar!, egli nega che vi sia un terrorismo islamico, o un islam violento; evoca il fantasma di un fondamentalismo cattolico altrettanto “colpevole”, non si sa bene di che cosa; predica e anzi ordina l’accoglienza indiscriminata di ciascuno, distorcendo le parole e lo spirito della Buona Novella; non spende una parola di approvazione o di simpatia per quanti si mobilitano a sostegno della famiglia naturale e cristiana, contro l’aberrante ideologia gender, ma, in compenso, si compiace del fatto che i musulmani entrino nelle chiese cattoliche a pregare, durante la santa Messa, come se questo fosse il modo giusto di trarre una lezione dal martirio di padre Hamel e come se ciò non fosse, invece, una vera e propria profanazione della santa Messa e dell’Eucaristia.

Insomma: quarant’anni fa il pericolo, per la fedeltà della Chiesa alla Rivelazione, era grande, ma veniva dal basso, da gruppi di teologi progressisti e da qualche pastore impazzito; oggi il pericolo si è avvicinato, è ingigantito, e viene anche e soprattutto dall’alto: il cattivo esempio parte proprio dai pastori, da coloro i quali, come dice il profeta Ezechiele, dovrebbero custodire il gregge, e invece l’hanno abbandonato, non curandosi delle pecore smarrite, ferite, minacciate dalle bestie feroci. La Chiesa, denunciava Cornelio Fabro nel 1974, è scivolata in una situazione di carenza di guida da parte dei pastori, anche perché ha voluto modernizzarsi, inseguire le mode, dire le cose che piacciono al mondo: ha abdicato al proprio ruolo, alla propria missione, al proprio dovere: si è fatta ancella della modernità, nei suoi aspetti peggiori: l’edonismo, il relativismo, l’egoismo eretto a sistema di vita e contrabbandato per legittimo perseguimento del proprio bene. Ma il bene dell’uomo non è, per un cattolico, né potrebbe mai essere, fuori delle parole di Gesù Cristo: Io sono la Via, la Verità e la Vita; e i pastori del gregge dovrebbero custodirle con tutte le loro forze, con tutta la loro buona volontà, e con tutta l’umiltà necessaria, Ecco, questo – soprattutto – è venuto a mancare: lo spirito di umiltà, del servizio silenzioso, dell’impegno sobrio e, se possibile, nascosto. La smania di apparire, di essere lodati e ammirati, ha contagiato tutti, a partire dai teologi, e poi si è diffusa tra le file del clero, dai cardinali fino all’ultimo prete: la smania di “modernizzare” la parola di Dio, di “attualizzare” i comandamenti, di farsi apprezzare tacendo sulle verità scomode ed enfatizzando, al contrario, gli aspetti della predicazione più graditi ad un pubblico (usiamo volutamente questa parola, che dovrebbe essere incongrua e oltraggiosa nel vocabolario cristiano) superficiale e desideroso di essere autorizzato a togliersi la croce dalle spalle, per indossare, al suo posto, gli abiti da discoteca, da spiaggia, da divertimento.

Basta con la Quaresima; basta con la teologia della paura; basta con la religione del pianto, delle spine, della rinuncia. Vogliamo godere! Vogliamo cogliere tutte le occasioni, rimuovere ogni ostacolo al raggiungimento del nostro piacere! Questo è ciò vogliono i cattolici modernisti e progressisti; questo è ciò che dicono, dal pulpito, preti sciagurati e incoscienti, e che insegnano, dalle cattedre, teologi impazziti di superbia e di vanità. Il problema, oggi, non è solo, né principalmente, di crisi delle vocazioni: il problema non è che ci sono sempre meno preti, ma che quelli che ci sono fanno sempre meno i preti, e sempre più i seminatori di confusione, di disordine, di disorientamento spirituale. Eppure Gesù era stato chiarissimo, nella durezza delle sue parole: Sarebbe meglio, per chi dà scandalo a uno di questi piccoli, dalla fede semplice, che si legasse una macina da mulino al collo, e si gettasse nel mare… Come non si sentono tremare le vene e i polsi, riflettendo su queste parole del Vangelo (se pure lo fanno, e se lo fanno con un minimo di umiltà), i teologi dello scandalo e i vescovi e i sacerdoti del relativismo, della confusione e della permissività generalizzata? Teologi e sacerdoti che non parlano mai del timor di Dio; che non parlano mai del dovere morale e del sacrificio; che non parlano mai del male e del peccato, e, di conseguenza, della grazia e della redenzione; che parlano poco anche di Dio, e pochissimo della vita eterna, ma molto, in compenso, anche troppo, della costruzione di un mondo migliore, qui e ora, come se questo fosse il vero senso del cristianesimo e come se questo Gesù fosse venuto ad insegnare, coi discorsi e con l’esempio. E come se la Croce, sulla quale è morto, e che rappresenta il nocciolo del suo messaggio (nessuno ha un amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici), non contasse  più nulla, ma fosse solo un pezzetto di legno o di metallo, simbolo d’un cristianesimo antiquato e un po’ infantile, al quale è subentrato – per fortuna! - il cristianesimo adulto