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San Francesco, il faqîr degli Italiani

di Enrico Galoppini - 04/10/2016

San Francesco, il faqîr degli Italiani

Fonte: Il Discrimine

Oggi è la Festa di S. Francesco, Patrono d’Italia, e da modesto “arabista” vorrei condividere qualche considerazione riguardante il concetto di “povertà”.

I termini arabi per indicare “povertà” e “povero” sono rispettivamente faqr e faqîr. Dal secondo origina – per vie che ora non sto a spiegare – il nostro “fachiro”, ma l’idea di “povero” veicolata da faqîr (e dal verbo iftaqara: “essere carente”, “privo di”) è molto diversa da quella che, affidandosi alla sola spiegazione economico-sociale, si è fatta oggigiorno la maggior parte delle persone.

Il “povero”francescanamente inteso è il “povero di Spirito”. È “povera” infatti la condizione umana ordinaria, in quanto mancante di quella Verità “vista”, “udita” e “gustata” da Francesco (i sensi non sono altro che un’immagine di altri e più elevati mezzi per attingere la Verità, ma anche questo, nell’era di continui programmi dedicati al “buon cibo”, è alquanto frainteso…).

Il santo è dunque colui che ha chiara come il sole la condizione di “povertà”, di “miseria” dell’uomo rispetto al suo Signore, di fronte al quale è nulla e senza il quale è nulla. “Ricco” (ghaniyy), invece, è colui che può “fare a meno di”, che può “prescindere da”. Ed ecco così spiegato perché al-Ghaniyy è uno dei nomi divini (Iddio non ha bisogno di nulla essendo assolutamente autosufficiente e sussistente per Se stesso), mentre i fuqarâ’ (pl. di faqîr), che corrispondono esattamente ai “poverelli” di Assisi, sono coloro che dedicano la loro vita alla ricerca costante di Dio impegnandosi, sforzandosi senza sosta (gihâd) in vista dell’unico obiettivo sensato di questa vita che, confrontata al Reale, assume le sembianze di un’ombra o di un sogno.

vacca_sheikh_musulmaniLa celebre arabista ed islamologa Virginia Vacca, nella sua traduzione delle Vite di Sheikh Musulmani del “santo musulmano” ‘abd al-Wahhâb ash-Sha‘rânî (Edizioni Paoline, Milano 1960) optò – in luogo di altri termini, pure diffusi nelle traduzioni di opere simili, quali sûfî o murîd -proprio per il termine “poverelli” al fine di rendere l’arabo fuqarâ’ usato per i “cercatori di Verità” dell’Islâm. Una scelta a nostro avviso molto appropriata, perché dà la misura dell’analogia facilmente ravvisabile (sempre che non si sia animati da un pregiudizio settario ed esclusivista) tra la “cerca” spirituale degli “uomini di buona volontà” di questa o quella religione.

Ed è pure il caso di notare che murîd significa letteralmente “colui che vuole”, essendo la parola in questione il participio attivo del verbo arâda (“volere”). Si comprende così per il tramite della lingua araba che la “via spirituale” è un percorso lungo il rafforzamento della volontà, perché l’uomo ordinario che citavamo all’inizio, quello cioè soddisfatto della sua condizione “normale”, non sa nemmeno cosa sia la volontà, scambiandola di continuo con le pulsioni ed i desideri dettatigli dal suo ego (nafs).

La povertà anche materiale (San Francesco si spogliò di tutto quel che possedeva, come il Buddha e come tutti gli Inviati d’Iddio) può essere un segno della lampante consapevolezza realizzata intimamente che questa cosiddetta “realtà” è solo una parvenza della Realtà Suprema, ma guai a chi – in tempi di esagerazioni economico-sociali – intendesse vedere nella mera indigenza materiale una condizione che, automaticamente, fa spuntare l’aureola in capo, come purtroppo anche troppi religiosi fan credere a masse di cui cercano un consenso a buon mercato.

san_francesco_cantico_creatureLa povertà materiale, difatti, quando non è gradita ed anzi è una sorta di una camicia di forza non piace a nessuno, né può costituire un deterministico punto di partenza per una “vittoria” spirituale. Sia il ricco che il povero (ancora intesi dal punto di vista del tenore di vita materiale) hanno le medesime possibilità di seguire la Via. Tutto dipende dal valore che danno a questo mondo, che non va disprezzato, ma certo va relativizzato per quello che è, ovvero una “possibilità”.

Una possibilità che San Francesco, il nostro faqîr in quanto italiani, indica ancora a tutti, senza distinzione alcuna.