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Chi s’agrappa all’Italia sta difendendo il Ducato di Parma nel 1860

di Giovanni Pucci - 22/10/2016

Chi s’agrappa all’Italia sta difendendo il Ducato di Parma nel 1860

Fonte: Giovanni Pucci


C’è un parallelismo taciuto tra il Risorgimento italiano ed il processo di unificazione europea; taciuto poiché tira in ballo proprio il mito principale (per la verità riscoperto relativamente da poco ed assai impolverato) dei neopatrioti nostrani. Cos’è stato difatti il Risorgimento? Un processo politico (che ha alternato diplomazia ed interventi militari) volto alla creazione di uno Stato nazionale chiamato Italia. Stato che con quel nome e con quei confini, e se per questo neanche con quei simboli e con quella lingua ufficiale, non era mai esistito. Il progetto vide il suo compimento nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia. In seguito alla guerra del 1866 con l’annessione del Veneto e del Friuli e nel 1870 con la presa di Roma ebbe più o meno la configurazione attuale. Si dovette aspettare infatti sino alla fine della Prima Guerra Mondiale per veder condotto sotto la sovranità italiana quello che sarà poi denominato Trentino-Alto Adige. Una lunga evoluzione quindi, portata avanti da soggetti diversi in modi differenti per fini eterogenei, che fece diventare popolazioni con culture, lingue ed identità diverse cittadine di un medesimo soggetto statuale.

Non molto diverso dal processo di integrazione europa, no? Sicuramente i nazionalisti dell’ultima ora, che in molti casi individuali sono rotti a tutte le esperienze e dopo mille peregrinazioni politiche hanno scoperto magicamente nel 2016 termini come identità, sovranismo e nazione, sono pronti a gridare che l’Europa è un’invenzione mentre l’Italia esiste. Certamente. Il punto è che esiste perchè qualcuno l’ha fatta. Tanto che in un qualsiasi sussidiario se ne può trovare la data di nascita a dimostrazione che prima di tale data appunto non esisteva. Ora, chiarito questo non marginale aspetto, è forse più interessante chiedersi perché sia stata così fortemente voluta. Voluta innanzitutto da poche ed influenti personalità (élite direbbero quelli bravi), da coraggiosi visionari con lucide ed apparentemente impraticabili idee in testa che hanno saputo incarnare lo spirito del tempo: ovvero un corso della storia che non poteva più prevedere minuscoli e ininfluenti staterelli, che erano in ultima analisi strutture fantoccio in mano ad altri e più potenti Stati (continuando con i parallelismi vi viene in mente nulla?) e che avviava in tutto il Vecchio Continente la formazione dei moderni Stati-nazione; l’Italia ci arriverà infatti da buona penultima, succeduta solo dalla Germania. Nessun movimento di popolo quindi ma una grandiosa costruzione che vide al suo servizio le migliori intelligenze e virtù dei nostri antenati e che laddove le contingenze lo richiedevano forzò necessariamente le cose: se d’altronde si fosse aspettato di convincere anche l’ultimo contadino analfabeta duosiciliano è legittimo il sospetto che la carta politica della Penisola sarebbe ancor oggi un puzzle impazzito.

Non è quindi alla mera difesa dell’esistente che si deve battere chi dice di avere a cuore l’identità, l’appartenenza e il diritto di perpeturare il proprio stile di vita. Altrimenti costui nel 1860 avrebbe dovuto logicamente schierarsi col Ducato di Parma e Piacenza contro il crescente ed ambizioso Regno di Sardegna che da lì ad un anno avrebbe poi finalmente assunto la denominazione di Regno d’Italia. Non c’erano forse cittadini del suddetto Ducato per i quali il termine Italia non significava assolutamente nulla e che erano fieri e contenti di veder garrire il gonfalone ducale? Ovviamente sì. Ma altrettanto ovviamente tali sentimenti non potevano impedire e non impedirono l’unificazione italiana. Tanto più (e qui il paragone con i nostri tempi si fa purtroppo cristallino) che l’organismo statuale al quale essi si sentivano legati non aveva da tempo più alcun senso. Si trattava di un territorio riassegnato alle dipendenze dell’Impero austriaco dopo il Congresso di Vienna, senza alcuna indipendenza, autonomia e sovranità. Assai simile alla situazione dell’odierna Repubblica italiana, nata già espropriata dei suoi poteri non però dall’Ue, come ripetono ossessivamente gli eurofobici, ma dalla globalizzazione, dai mercati e dalle agenzie di rating, dalle comunicazioni satellitari, dalle transazioni a tempo zero, dall’immigrazione di massa, dagli spostamenti senza fine di capitali, merci e uomini, nonchè da una servitù culturale, economica e militare verso quello che viene definito pudicamente come ‘alleato’ d’oltreoceano che perdura da più di 70 anni.

Il problema dell’attuale Ue non è quindi quello di fondare una nuova sovranità continentale a scapito degli Stati che sono già svuotati di ogni sovranità e che non hanno nessuna chance di recuperla ma quello di dissolvere tali poteri verso il… nulla. L’Ue è un’istituzione anonima, volutamente sfuggente e che rifugge la volontà di potenza come gli animali notturni scappano dal Sole. Ciononostante la creazione di un potere politico continentale (sia esso uno Stato grandeuropeo, una Federazione o una Confederazione) riconosciuto all’esterno e sopratutto conscio di sè, dei propri confini e degli interessi propri alle genti che lo abitano resta l’unica possibilità di ridare significato e dignità alle esistenze degli europei e per declinare la globalizzazione in un senso opposto al disumano procedere del mondialismo, attualmente vincente in ogni aspetto ed unica ideologia rimasta in campo. L’alternativa è giocare a fare i difensori di un folklorico Ducato di Parma contro le pulsioni unitarie italiane mentre l’Imperatore d’Austria se la ride e ci lascia fare.