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Ha perso la presunzione.

di Enrica Perucchietti - 05/12/2016

Ha perso la presunzione.

Fonte: Enrica Perucchietti

Ha perso la presunzione. Chi voleva proseguire il programma della P2, di smantellare la Costituzione, è stato sconfitto dal voto popolare, dimostrando che il consenso conta ancora qualcosa. Anzi, moltissimo. Ed è per questo che le coscienze vengono da sempre cooptate, irretite, manipolate. Perchè il nostro consenso è fondamentale ma troppo spesso ce ne dimentichiamo.
Ha perso un premier che si è autosabotato personalizzando il referendum accecato dalla presunzione. “Non pensavo mi odiassero così tanto”, ha commentato stanotte ancora a caldo… non lo pensava perché non si è mai degnato di guardare oltre la finestra del proprio castello di carte. 
La gente è stanca, vuole un cambiamento che non sia un cambiamento a caso, un peggioramento o un salto nel vuoto, non si fida più di promesse mancate e parole al vento. La gente è stanca dei giochi di potere, degli intrighi di palazzo, degli interessi delle lobby.
Molti erano concordi nel giudicare l'ascesa del Rottamatore a Palazzo Chigi un azzardo: i fili del potere che aveva sapientemente mosso avrebbero potuto bruciarlo. È stato proprio lui ad ammetterlo alla prima conferenza stampa del Consiglio dei Ministri, il 12 marzo 2014, quando dichiarò «non ho paura a rischiare tutto me stesso» e che qualora quanto promesso non si fosse concretizzato sarebbe stata conseguente la sua uscita dalla scena politica. L’unica promessa mantenuta, nei fatti.
Renzi, ha dato prova di sapersi fare amare e poi detestare dalle masse e al contempo temere dai colleghi. Nei fatti ha dimostrato di essere in grado di eliminare l'avversario (sia esso anche in apparenza un "amico" o un collega di partito) al di là delle rassicurazioni sbandierate a mezzo stampa (o cinguettate via twitter): così è accaduto a livello locale con Lapo Pistelli e Michele Ventura, nel PD con Pier Luigi Bersani, Massimo D'Alema, Stefano Fassina e Gianni Cuperlo, nel governo con Enrico Letta. Costoro sono stati semplicemente “rottamati” per fare spazio alle aspirazioni politiche di Renzi. 
La politica italiana ci ha consegnato esempi perfetti di come si possa essere più o meno spregiudicati per ottenere il potere: la parola d'ordine è “ambizione”. Basta essere abbastanza ambiziosi per farlo e il premier uscente ha dimostrato di essere dotato di questa virtù politica in abbondanza. Ecco, troppo. Bisognerebbe poi capire a quale obiettivo tale ambizione sia votata e sei il «fine giustifica i mezzi», aforisma nato da un'interpretazione fuorviante di un concetto espresso da Machiavelli nel suo Principe: eppure per il filosofo fiorentino la Ragion di Stato viene prima di qualunque ambizione personale, in quanto il Governante è e deve rimanere "servitore" e non padrone dello Stato. Nozione che forse nei secoli si è persa a beneficio di interessi squisitamente egoistici. E Renzi ha perso di vista lo scopo, facendo della cieca fiducia in se stesso e della presunzione la sua unica strada. E si è scontrato con la quotidianità e con l’elettorato.
Ne parlavo (e prevedevo) ampiamente nella mia biografia non autorizzata, Il lato B. di Matteo Renzi (Arianna Editrice). Fuori e dentro il Partito si vociferava da anni e con sempre maggiore insistenza che l'aspirazione di Renzi, più che al potere, mirasse al "comando" fine a se stesso.
Emergevano degli aneddoti in apparenza ridanciani, che sollevavano però un sipario inquietante sull'uomo-Renzi e sulla sua attitudine a dare ordini senza conoscere le modalità delle richieste e la fattibilità di quanto imposto: Renzi ordina, sta ai suoi collaboratori - assessori (prima) ministri (dopo) - trovare il modo di realizzare quanto imposto. Per questo si iniziò presto a equiparare l'allora sindaco a un novello Signore e Firenze a un suo personalissimo Feudo. 
Dall'altra molti sostengono - in maniera bipartisan - che Renzi se ne esca ad hoc con delle richieste anche insolite o infattibili ("sparate" le chiama qualcuno) semplicemente per distrarre i giornalisti da qualcosa che in quel momento non va e rischierebbe di appannare la sua figura. Renzi è infatti un maestro di comunicazione e dell’arte della manipolazione mediatica. 
Quando però questo gioco viene esagerato, diventa endemico, diventa virtuale, irreale, quando si riduce la politica a farsa, allora si rischia che poi pezzi del fondale del teatro su cui si recita inizino a crollare, trascinando con sé anche l’attore di scena e i suoi figuranti.