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La “canaglia” trumpiana, gli esclusi e l’Istinto collettivo di sopravvivenza

di Eugenio Orso - 07/12/2016

La “canaglia” trumpiana, gli esclusi e l’Istinto collettivo di sopravvivenza

Fonte: Pauperclass

 

La risposta globalista ai bisogni popolari nell’occidente e nel nord del mondo non è stata come quella della celebre Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, al popolo francese in occasione delle rivolte per il pane: “S’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche”! La risposta globalista ai ceti medi in declino e ai lavoratori è ancor peggiore, perché nel nostro caso, avanzando gli squilibri sociali, le insufficienze di reddito e la disoccupazione, le brioches non sono neppure in agenda …

La risposta globalista ai bisogni vitali della popolazione è racchiusa nel binomio precarietà/esclusione, nel senso che l’alternativa a una precarietà lavorativa ed esistenziale sempre più spinta è l’esclusione completa del soggetto, la sua invisibilità nella società e tutte le conseguenze nefaste (isolamento, sensi di colpa, addirittura suicidio) del cosiddetto fallimento individuale. In verità, il fallimento non è mai “individuale”, come si vuol far credere grazie all’atomizzazione sociale e alla conclamata scomparsa dei legami comunitari e di classe, ma è conseguenza diretta e sanguinosa della dominazione elitista, che ha messo le sue radici in occidente grazie all’affermazione del modo di produzione neocapitalista finanziario.

La risposta della moderna “canaille” postrivoluzionaria all’élite globalista, simboleggiata da Soros & C. e ai suoi lacchè sub-politici, come Obama, Clinton, Merkel, Hollande, Valls, Sarkozy, Cameron, Tsipras, Renzi, per ora è prigioniera dei meccanismi del voto liberaldemocratico e non si estrinseca in disordini di piazza, incendi di edifici pubblici e sedi di partiti pro-elitisti, o scontri con la polizia. Non siamo ancora giunti al punto di ebollizione sociale, mentre la “canaille” di Maria Antonietta, che avrebbe dovuto acquietarsi mangiando brioches, ci arrivò sotto la guida dell’emergente borghesia rivoluzionaria, il 14 di luglio del 1789.

Per ora, le masse ridotte a nuova canaglia e neoplebe, non ancora dimentiche dell’effimero benessere raggiunto nella seconda metà dell’altro secolo, votano alle elezioni politiche, alle presidenziali e per i referendum in un disperato tentativo di far sentire la loro voce e affermare la propria esistenza, nel nuovo ordine sociale neocapitalista, quale novella classe Pauper non ancora consapevole di esserlo. Quella voce che i servi governativi delle élite non ascoltano e, fin tanto che si sentiranno protetti dai loro potenti padroni, dai sistemi repressivi in essere, dalla costrizione che caratterizza il modo di produzione neocapitalista, continueranno bellamente a ignorare.

Sappiamo che negli Usa, in occasione delle presidenziali d’inizio novembre, la “canaglia” che prima non votava si è iscritta in buon numero per partecipare al voto, dalla “Rust Belt” dei cimiteri industriali al Texas e alla Florida, consentendo l’elezione di Donald Trump, espressione di una “destra populista” che potrebbe dar loro finalmente una voce – I am your voice! Tuonava Trump nei comizi, indicando l’uditorio con gesto eloquente.

Una “canaglia” simile a quella trumpiana si è manifestata, con grandi numeri, anche nel voto al recente referendum costituzionale italiano, solo che in tal caso ha votato – sicuramente “di pancia”, come direbbe con insopprimibile disprezzo un radicale chic o un’anti-populista piddino – contro qualcuno e contro qualcosa. Contro l’illusionista di Firenze, al servizio delle grandi banche d’affari d’oltreoceano, e contro il suo tentativo di scardinare definitivamente una costituzione già scardinata e in buona parte inapplicata. Un voto di massa in negativo, a differenza della “canaille” trumpiana statunitense, che ha votato in positivo, sedotta da Donald Trump e dal suo programma. Un programma politico che non è solo muro con il Messico ed espulsione degli islamici (come hanno cercato di farvi credere), ma soprattutto abolizione dell’Offshoring Act, a favore degli industriali che delocalizzano distruggendo i posti di lavoro negli States, la ricontrattazione degli accordi internazionali globalisti, penalizzanti per il popolo, come il Nafta, il ritiro dal Partenariato Trans Pacifico e la rinuncia al TTIP fra le due sponde dell’Atlantico.

La “canaglia” italiana che non votava più ed è tornata in buon numero alle urne, il 4 dicembre scorso, a differenza di quella nordamericana non ha, però, un solido riferimento politico, che sia un personaggio emergente e ciclonico, come Trump, o un partito di vera opposizione al sistema elitista dominante. Per questo la nostra “canaille” (lo scrivo con affetto e un po’ di pena) può solo votare in negativo, cioè contro qualcuno e qualcosa.

Fin tanto che anche in Italia non emergerà una personalità anti-sistema degna di questo nome – tale non è il comico Beppe Grillo, che in passato ci fece molto divertire – o, comunque, una forza politica portatrice di un programma anti-liberista e quindi “rivoluzionario”, la “canaglia” italiana potrà solo votare contro, mai in positivo, per un programma politico alternativo, per un leader veramente rappresentativo, per una speranza che oggi latita!

Potrebbe anche darsi che messi alle strette, colpiti dalla crisi strutturale che continua implacabile accompagnandosi al declino dell’economia italiana, questi “mascalzoni” che devono pagare il conto salato della globalizzazione e dell’euro, si stufino di votare una volta e per tutte, passando come ultima ratio alle vie di fatto. In tal caso dovrebbero farlo senza una vera guida politica, esponendosi alla repressione violenta e al rischio di sconfitta, perché l’Italia è terra di collaborazionisti delle élite dominanti (piddì), di false opposizioni parlamentari (cinque stelle) e di opposizioni debolissime (Lega).

Ci sono, però, degli aspetti rilevanti che accomunano la “canaglia” italiana a quella trumpiana in America.

Il primo aspetto comune è che tutti costoro sono gli esclusi dai (supposti) benefici della globalizzazione neoliberista, ai quali resterà, in futuro, soltanto la scelta fra la precarietà lavorativa ed esistenziale, con redditi via via decrescenti, o l’esclusione tout court e l’”invisibilità” totale. Questo esito sarà inevitabile, poiché è nel DNA neocapitalista spingere le differenze sociali – e la compressione materiale e psicologica dei dominati – fino alle estreme conseguenze.

Il secondo aspetto comune è che fanno tutti parte della nuova classe dominata neocapitalista, in fondo alla piramide sociale, cioè la Pauper class. Prima se ne renderanno conto e meglio sarà, perché l’aspetto soggettivo coscienziale della classe (come avrebbe detto un Filosofo del calibro di Antonio Gramsci) è di cruciale importanza. La piena consapevolezza dell’appartenenza alla classe degli sfruttati crea legami di solidarietà, spinge consapevolmente e collettivamente alla lotta e muove la storia nella direzione giusta. Perché la storia si muova nella giusta direzione evolutiva, tuttavia, tale consapevolezza da sola non basta. E’ necessario che compaiano capi e aggregazioni politiche ostili all’élite dominante e disposti a rappresentare le istanze della “canaglia”, facendosene carico. Così fece Lenin, con il Partito dei Bolscevichi e i Soviet alternativi al parlamentarismo borghese e vinse la sua storica battaglia rivoluzionaria, grazie all’appoggio della massa di contadini poveri nell’Ottobre Rosso.

Il terzo aspetto è il comune “Istinto collettivo di sopravvivenza”, che è emerso sia nel voto alle presidenziali Usa di novembre sia in quello referendario italiano dei primi di dicembre. L’argomento l’ho trattato una prima volta qui: http://pauperclass.myblog.it/2016/11/16/lo-strano-populismo-del-xxi-secolo-rivolta-cosciente-delle-masse-o-istinto-collettivo-sopravvivenza-eugenio-orso/. Riporto di seguito il finale del mio articolo: “Per quanto mi riguarda, in prima battuta, rilevo che l’”establishment” finanziario-globalista-occidentale (che qualche cameriere ci vende come se fosse una civiltà) è stato battuto non da un voto di massa razionale e informato, che spinge il popolo a rivoltarsi coscientemente, ma da una sorta di “Istinto collettivo di sopravvivenza”. E’ proprio questo istinto (che al momento non saprei definire diversamente) che spinge le masse, il popolo sempre più “populista” e impoverito dalle élite, a fare esattamente il contrario di ciò che “suggeriscono” i servitori dell’”establishment”, a non cedere al ricatto per paura, perché una paura più grande lo attanaglia: quella di non riuscire neppure a sopravvivere, in futuro, se le cose dovessero andare avanti così …”. La “canaglia”, trumpiana e italiana, per ora si limita a votare obbedendo al predetto istinto e facendo esattamente il contrario di ciò che vorrebbero le élite. Costoro, da bravi “mascalzoni” (lo scrivo con affetto), rigettano tutte le lusinghe e resistono, più che in passato, ai ricatti economici, alla paura che i media servi e i politici collaborazionisti seminano. L’obbedienza non è più assicurata ed anche la manipolazione incontra dei limiti.

Verrà il giorno in cui la “canaille” dell’inizio del terzo millennio diventerà classe sociale a pieno titolo, con la coscienza di esserlo e la consapevolezza della reciproca solidarietà …

Per ora, questi ”mascalzoni” che se ne fregano delle adozioni gay, dell’accoglienza illimitata nei confronti dei migranti e di tutti i capisaldi del politicamente corretto, questi reietti della globalizzazione neoliberista che votano contro i candidati politici delle élite e rigettano riforme costituzionali penalizzanti, obbediscono a un potente Istinto collettivo di sopravvivenza, per una sorta di “autoconservazione di massa”, mettendo sempre di più i bastoni fra le ruote all’onnipotente Establishment neocapitalista e ai suoi camerieri.