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Trump potrà rappresentare un’alternativa alla linea finora attuata da Obama?

di Enrico Galoppini - 01/01/2017

Trump potrà rappresentare un’alternativa alla linea finora attuata da Obama?

Fonte: Il Discrimine

Enrico Galoppini,  Trump ha vinto le elezioni presidenziali USA. Possiamo dire, come tutti i media mainstream, che le ha vinte imprevedibilmente?

Sinceramente, devo dire che mi aspettavo la vittoria del candidato Repubblicano, fosse solo per un banale indizio: tutti – e sottolineo tutti – i media occidentali (che, non lo si dimentichi, sono espressione di quella stessa “finanza globale” che sta portando il mondo alla rovina) tifavano per la Clinton in una maniera che definirei esagerata e ‘sospetta’. Nella loro sperticata partigianeria, specialmente nei giorni che precedevano il voto, si percepiva la loro sicumera di cartapesta, la falsa coscienza di chi stava inseguendo un pio desiderio, un wishful thinking, malgrado i “sondaggi” dessero per spacciato Donald Trump. Ma stavano mentendo tutti spudoratamente. A mezza bocca, persino alcune “pasionarie” dell’informazione cosiddetta “progressista”, due giorni prima della débacle, davano come finalmente possibile un esito “imprevedibile”, il che mi confermò in un’impressione che avevo avuto per tutta la campagna elettorale.

Come spiega l’informazione compatta nel sostegno a Hillary Clinton? E lo sgomento di gran parte dei giornalisti mainstream di fronte al risultato delle elezioni?

Come accennavo, i media occidentali sono la fabbrica del consenso al servizio della finanza “globale” (o “apolide”, il che è lo stesso). Questi potentissimi ambienti in grado di corrompere tutti col denaro perseguono un disegno di dominio planetario che prescinde dagli interessi specifici di questo o quello Stato, di questa o quella Nazione. Essi, pertanto, non si fanno scrupolo alcuno di mandare in crisi (una crisi permanente che descrive un’intera epoca!) anche quegli Stati che una lettura superficiale della storia e delle relazioni internazionali vede come gli unici soggetti della politica. Nell’era del dominio della finanza, gli Stati, col loro potenziale demografico, industriale e militare, sono un mero strumento di una hybris che travalica i semplici interessi economico-finanziari per mirare dritto alla riduzione di tutto e tutti ad una massa informe di individui senza qualità, di contenitori da riempire di ogni astruseria e follia contro natura.

trump_hitlerQuesta premessa, che andrebbe sviluppata e che potrebbe sembrare fuori tema, è necessaria per comprendere il comportamento di quei ‘burocrati’ che in fondo sono i giornalisti arruolati (il termine non casuale) nella fabbricazione del consenso ricorrendo ad una miscela venefica di luoghi comuni, suggestioni, idee fisse e pretese “questioni di principio” usate tatticamente a seconda del compito assegnato dal committente. Ma stavolta non ce l’hanno fatta, ed ecco spiegato il loro livore misto a vendetta che trasuda persino dalle loro espressioni facciali: esso altro non è che il riflesso dello stato d’animo di chi, dietro di loro, è stato sconfitto sonoramente, per giunta attraverso una consultazione popolare. Certo, si può discutere su come il sistema e la legge elettorali sono architettati affinché tutto resti entro determinati limiti ‘rassicuranti’, ma un fatto è che questa volta la “consultazione democratica” si è rivolta contro chi pensava di usarla per inscenare la consueta mistificazione del consenso popolare uscito dalle urne. Ecco perché alcuni di questi “professionisti” dell’informazione (o della menzogna!) adesso schiumano di rabbia e, contraddicendo i loro “principi”, rimettono in discussione – come è già avvenuto per la Brexit – la legittimità di una politica affidata al giudizio delle urne.

 

Ci spiega quali sono le differenze nei programmi dei due candidati? La vittoria di Trump cosa potrebbe significare?

Hillary-Clinton-regina-del-caosPer prima cosa bisogna ricordare che Trump ha dovuto lottare parecchio, all’interno del Partito Repubblicano, per imporre la sua candidatura. Evidentemente, certi poteri, prevedendo la disfatta, gli avevano predisposto attorno un “cordone sanitario”, affinché emergesse un candidato repubblicano meno “alternativo” rispetto alla Clinton.

Quest’ultima, di fatto, si presentava in politica interna come la continuatrice della “linea Obama”: mantenimento della “riforma sanitaria”, allargamento dei “diritti civili”, politica di “accoglienza” verso gl’immigrati irregolari, attenzione alle “politiche ambientaliste”. Ma a parte queste istanze gradite ad un’opinione pubblica “progressista”, la vittoria della “prima donna candidata alla Casa Bianca” (definizione ossessivamente ripetuta per tutta la campagna elettorale) avrebbe significato soprattutto altri regali suddetti finanzieri senza Patria, altre “lacrime e sangue” (specialmente per la classe media) ed altre guerre “democratiche” in giro per il mondo.

Trump ha dato voce a quell’America che, spregiativamente, i radical chic chiamano “populista” (lo fanno anche in Europa) e che secondo loro si esprime solo e sempre con “la pancia” (i “progressisti”, invece, sono “colti” e “ragionevoli”). È l’America che lavora sodo, ma che a fronte di tanto sudare vede una classe dirigente che, da quasi vent’anni, con le sue imprese “messianiche” all’estero e il suo favore per il mondo dei “vip”, ha ignorato quelle che sono le basilari esigenze del cittadino americano medio, che non vuole essere tartassato oltremisura, pretende un barlume di “sicurezza” e non ne vuol sapere di sperperare le vite dei suoi figli e denaro pubblico per andare ad “esportare la democrazia”.

Sappiamo che i politici e i leader occidentali non sono soggetti autonomi, ma hanno alle spalle corporazioni potenti. Cosa ha reso possibile la vittoria di Trump e come la spiega?

Questo forse “lo sappiamo” noi, ma in giro non c’è molta consapevolezza, se con ciò s’intende un’informazione che vada oltre i mugugni contro “la casta” (peraltro alimentati dal sistema stesso con libri e trasmissioni ad hoc). Trump ha poi dalla sua parte il non trascurabile vantaggio di essere straricco di suo, il che lo rende senz’altro più autonomo rispetto al classico politico-marionetta ligio ai desiderata di chi gli ha predisposto la carriera.

Così titola "il manifesto" del 12 nov, 2016

Così titola “il manifesto” del 12 nov, 2016

La vittoria di Trump la si può inoltre spiegare a partire dagli “scandali” che, inevitabilmente, sono emersi in campagna elettorale. Il tycoon è stato accusato in poche parole di due cose: “razzismo”, in quanto vorrebbe usare il pugno duro verso i clandestini; “sessismo”, in quanto sarebbe – né più né meno come Berlusconi – un inguaribile ed incorreggibile “donnaiolo” (il che è oltretutto ridicolo in quanto proprio il marito dell’altra candidata è un noto tombeur de femmes). La Clinton, di contro, ha visto la sua immagine completamente massacrata dalle e-mail che, “provvidenzialmente”, qualche ‘manina’ portava allo scoperto, segno che in certi importanti gangli dell’apparato statale c’era chi non ne poteva più della linea intrapresa, prima dall’amministrazione Bush, e poi da quella Obama, con tutti i cosiddetti neocon in posizioni-chiave. Da una parte, così, avevamo un Don Giovanni ricco sfondato (caratteristiche esecrabili quanto si vuole, ma ancora “legittime” e per certi aspetti “simpatiche”), dall’altra, una persona dal rapporto coniugale burrascoso che non aveva dimostrato alcuno scrupolo nel rovinare la vita ad intere nazioni (Siria e Libia, fra le altre), senza alcun ritegno per la stessa sicurezza del personale americano (emblematica la vicenda dell’ambasciatore a Bengasi fatto massacrare dai “ribelli”). Ma c’è dell’altro, perché sono anche emersi legami inquietanti tra certo mondo “progressista” in prima linea per le “libertà illimitate” ed ambienti in odor di “satanismo” ufficialmente dediti a forme estreme di “arte”. In estrema sintesi, Trump per chi l’ha votato incarnava “il sogno americano” (la libertà di fare i miliardi senza tanti problemi), la Clinton l’ulteriore degenerazione e la pratica fine di esso, e cioè “l’incubo americano”.

Nella prospettiva dei rapporti con la Russia, l’amministrazione Trump potrà rappresentare un’alternativa alla linea finora attuata da Obama?

trump_putinQuesto, innanzitutto, in Europa e in Italia ce lo auguriamo tutti vivamente. Se con “tutti” non intendiamo certi ambienti che, che ad elezioni appena svolte, affermano che “il possibile asse Trump-Putin non può che preoccupare l’Europa”.

Abbiamo capito bene?! In otto anni di presidenza Obama siamo arrivati al fondo delle relazioni tra i due Paesi, coi paesi europei che – anziché approfittarne per rafforzare il legame con Mosca – si sono appiattiti sul diktat euro-americano applicando alla Russia – come all’Iran… – delle “sanzioni” giustificate da una “punizione” per il comportamento di Mosca in Ucraina e in Siria… L’Italia, nello specifico, s’è attenuta alla linea euro-americana in maniera ridicola, tanto che i danni per vari settori della nostra economia sono stati molto rilevanti.
Ed ora che – con l’elezione di Trump – si preannuncia una “distensione” tra Usa e Russia, di che cosa si dovrebbero preoccupare gli europei? Di poter, finalmente, togliere le “sanzioni” (ovviamente applicate in maniera più zelante degli stessi americani)? C’è di che sbalordirsi: anziché rallegrarsene, hanno “paura” di essere “scavalcati” dall’America nelle relazioni con Mosca!

Ma anche stavolta è necessaria una precisazione. Gli “europei” che qui ho nominato sono le cricche cooptate nella dirigenza dell’Unione Europea, non i leader riconosciuti dai vari popoli europei (difatti i vari euro-burocrati sono personaggi che a casa loro, qualora si presentassero a delle elezioni, non supererebbero la soglia dello zero virgola per cento). Questi signori sono “preoccupati” a ragion veduta: sono i “tecnici” dell’euro, tanto per dirne una, quelli cioè che devono tutto alla loro amicizia con le medesime classi dirigenti americane succedutesi negli ultimi tre lustri.

Che direzione prenderà la situazione in Siria? 

nemici_siriaSe la “distensione” con la Russia, in nome della guerra (per davvero) al “terrorismo” non sarà una mera promessa da marinaio, in Siria (e in Iraq) la rotta dei “ribelli” d’ogni ordine e grado pagati coi petrodollari sarà assai rapida. Con grave scorno di chi, Arabia Saudita e Qatar in testa, hanno pensato di poter approfittare della solida alleanza con gli Usa (e gli altri occidentali) per inseguire il sogno di asfaltare, sotto una spessa coltre di “letteralismo” e “modernismo”, quattordici secoli di tradizione.

 

Trump e il mondo islamico, che cosa prevede?

Prevedo qualche problema, perché con Obama era tutto uno scambio di effusioni, sin dal famoso discorso del Cairo della “mano tesa” che, in apparenza, andava in controtendenza rispetto alla linea Bush.

Naturalmente, parlare genericamente di “mondo islamico” non basta, ma è doveroso operare dei netti distinguo. La linea dell’ultima presidenza è stata incentrata sull’alleanza coi Fratelli Musulmani: ove era possibile metterli al comando per via elettorale (Tunisia, Egitto) ci si è risparmiati l’insurrezione armata, che invece è quel che è accaduto, col determinante aiuto americano, in Libia e in Siria.

Ma il progetto è fallito miseramente in entrambe le modalità, in particolare nella prima, perché in Tunisia e in Egitto, i Fratelli Musulmani sono stati estromessi in pochi mesi dalle stanze del potere. Mentre la sovversione armata ha comunque dato i suoi frutti, perché Libia e Siria, al momento, sono due ‘buchi neri’ nella mappa del mondo, piuttosto che due regioni con le quali i vicini possono prosperare insieme.

Obama-and-Saudi-King-AbdullahQui bisogna capire bene una cosa. E per farlo propongo un esempio istruttivo. Per molti musulmani che inclinano verso una delle varianti del “riformismo islamico” – quello cioè che ha inteso rompere, nella dottrina e nella prassi, con una tradizione di saggi e dotti musulmani, oltre che con una religiosità “popolare” stratificatasi in quattordici secoli ma bollata tutta come “innovazione” e “superstizione” – il presidente russo Vladimir Putin è una specie di “diavolo”, né più né meno come lo dipinge la propaganda occidentale. Eppure a Mosca è sorta la più grande moschea d’Europa (se ancora vogliamo considerare “Europa” la Russia al di qua degli Urali…), i musulmani della Federazione Russa stanno esperendo, come del resto i loro vicini cristiani ortodossi, un revival della loro spiritualità, il presidente ceceno Kadyrov – che ascolta i consigli dei saggi dell’intera umma – rappresenta un baluardo, nel Caucaso, contro ogni forma di modernismo estremista camuffato da “ritorno alle origini”.

Per tornare alla domanda, più che interrogarmi sugli effetti delle sparate “anti-islamiche” del nuovo presidente, soprattutto rivolte all’interno, dove la “questione islamica” viene ricompresa – come fa da noi la Lega Nord – in quella “immigratoria”, mi concentrerei sulla questione seguente: sono i musulmani stessi ad essere chiamati a saper riconoscere, innanzitutto, chi è “il lupo travestito da agnello”, ovvero discernere l’amico dal nemico, che è poi la prima basilare operazione per potersi permettere di fare politica.

Detto questo, è bene anche non farsi soverchie illusioni. Ci sta benissimo che dopo l’appeasement con l’Iran (più scenografico che sostanziale), questa nuova fase della politica estera degli Stati Uniti (che non vorremo certo credere ripiegarsi in uno splendido “isolazionismo”) si caratterizzerà per una ripresa delle provocazioni contro la Repubblica Islamica, anche se non si comprende come ciò potrebbe avvenire volendo contemporaneamente impostare rapporti migliori con la Russia.

Secondo lei, il cosiddetto establishment lascerà che Trump metta in atto il programma, soprattutto in politica estera, o lo “ammaestrerà” in qualche modo? Cosa dobbiamo aspettarci?

Un libro che spiega per filo e per segno chi è Obama e perché è stato "costruito"

Un libro che spiega per filo e per segno chi è Obama e perché è stato “costruito”

In America può succedere di tutto, anche l’assassinio politico fatto passare per “tirannicidio”. Se a Obama hanno dato il “Nobel preventivo per la Pace”, Trump, se certa campagna d’odio rivolta contro la sua persona non cesserà, potrebbe diventare la vittima del “tirannicidio preventivo”, e cioè prima che il personaggio in questione abbia potuto dare prova di essere per l’appunto un “tiranno”.

Un uomo del genere, che già in campagna elettorale ha dato prova di saper incassare molto, andrà avanti diritto per la sua strada, tanto più che, come dicevo, è sostenuto da quell’America che non sopportava più la fine del “sogno americano”. C’è da attendersi che i media si comportino come han fatto qui in Italia con Berlusconi, ovvero attaccandolo di continuo ed anche sulla base dei pretesti più assurdi, anche se negli States, a differenza che in Italia, la magistratura non è infiltrata da elementi ostili perché pronti a recepire input esterni.

Vorrei proseguire il parallelismo con Berlusconi, perché secondo me è assai istruttivo. Nella crisi nera della politica, il mondo economico esprime un personaggio che sbaraglia la concorrenza, contro il quale si scatena tutta la canea del “progressismo” anche quando fa qualcosa di buono per tutti (vedasi l’abolizione dell’IMU sulla prima casa o “l’amicizia” con la Russia e la Libia). Questa storia noi l’abbiamo già vista, perché sebbene non lo si voglia riconoscere, l’Italia, nel bene e nel male, è sempre un ‘laboratorio’ dove gli altri imparano. Non per niente in America studiano (senz’altro più e meglio di noi) la storia dell’Impero Romano e le idee dei “geni” del nostro Rinascimento.

A Trump si presenta l’imperdibile occasione di entrare nella storia. Quello che, alla fine, affondato dallo “spread”, dal sangue ancora caldo di Gheddafi e dalle minacce di vedersi rovinato (e forse anche qualcosa di peggio), Berlusconi non ha saputo fare quando glie se n’era presentata l’occasione. Ma forse, chissà, certi personaggi che hanno fatto una fortuna, o sono “limitati” nella loro forma mentis imprenditoriale o – cosa assai più probabile – non possono spingersi più di tanto nel contestare tutto un assetto di poteri, poiché in fondo – malgrado si ripeta il luogo comune del self-made man – chi accumula ricchezze straordinarie deve sempre rendere conto ad altri della sua invidiabile posizione.

In Italia, queste elezioni hanno scatenato un tifo da stadio pro-Clinton. Come lo spiega?

burqaLo spiego con una frase lapidaria: siamo una colonia americana. Davvero, vorrei invitare i lettori a non prendere sul serio quello che scrivono o dicono i commentatori italiani più “accreditati” ed “autorevoli”, perché se è vero come è vero che l’Italia è una succursale degli Stati Uniti, non può esistere in alcun modo, tranne che in certe nicchie, un’informazione seria, imparziale, e, soprattutto, capace di far comprendere ai nostri connazionali che in occasioni come questa non vi era in ballo una partita tra “la prima donna candidata alla Casa Bianca” e uno schifoso “sessista” e “razzista” miliardario; la battaglia tra la “democrazia”, i “diritti”, la “libertà” e un “fascismo eterno” alla Umberto Eco; la guerra del Bene contro il Male.

C’era dell’altro, ovviamente, ma questo la maggior parte di chi prova ad informarsi non l’ha potuto capire.

Ma per stavolta, lungi dall’illudermi su un’America finalmente “in ritirata” che lascia finalmente in pace il resto del mondo e l’Italia in primis, vorrei godermi, assieme ad altri che l’hanno trovata insopportabile e disgustosa nella sua faziosità e piaggeria, la Waterloo dei mass media “progressisti” e radical chic, pur nella consapevolezza che resta praticamente in gran parte da costruire un’alternativa sovranista al presente stato di cose.

Fonte: “Tempi di Fraternità“, n. 1, a. XLVI, gennaio 2017, pp. 14-17 (per gentile concessione