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Un destino siriano

di Giorgio Da Gai - 09/01/2017

Un destino siriano

Fonte: Arianna editrice

La Siria è una nazione dove per secoli hanno convissuto fedi e popoli diversi. Un Paese governato da una dittatura; ma che viveva in pace, le condizioni di vita erano dignitose e la libertà religiosa era garantita. Oggi è un Paese devastato da cinque anni di guerra civile che ha fatto oltre 300 mila morti, milioni di profughi e distrutto l’economia nazionale. L’offensiva per la liberazione di Aleppo è iniziata a novembre e si è conclusa a dicembre con la vittoria delle forze lealiste. Ora che la battaglia di Aleppo è finita, le truppe lealiste potranno concentrare i loro attacchi nelle zone ancora occupate dai ribelli: a Idlib roccaforte delle milizie islamiste; e a sud a Raqqa, la capitale del sedicente Califfato. Ad Aleppo si è combattuta una battaglia decisiva per le sorti del conflitto, le forze armate siriane appoggiate dai miliziani di Hezbollah, dalla Guardia Rivoluzionaria Iraniana e dall’aviazione russa hanno conquistato la parte orientale della città, che dal 2012 era in mano ai ribelli. Dichiara Vitaly Churkin, ambasciatore russo all’ONU: «le operazioni anti-terrorismo sono concluse” e “i ribelli e le loro famiglie stanno ora passando attraverso i corridoi umanitari nelle direzioni che hanno scelto volontariamente, inclusi quelli in direzione di Idlib». Idlib è una cittadina sul confine turco controllata dai terroristi di Fateh al sham (ex Fronte Al Nusra - Al Qaeda), qui sono diretti la maggioranza dei ribelli che si sono arresi con le loro famiglie. L’esodo dei civili è stato difficile per il fuoco degli “irriducibili” che sparavano sulla popolazione in fuga e sulle forze lealiste. Si tratta di fanatici terroristi che si ostinano a combattere una battaglia persa. Aleppo è la capitale economica della Siria come Damasco è quella politica. Da Aleppo è possibile controllare il confine turco dal quale passano i volontari e i rifornimenti che alimentano il Califfato e le milizie islamiste. Discorso analogo vale per i traffici illeciti di petrolio e di reperti archeologici, che dal Califfato arrivavano in Turchia per essere destinati al mercato interno o all’esportazione. Alla vendita del petrolio proveniente dal Califfato ci pensavano le navi cisterna delle compagnie di navigazione di Bilal Erdogan (il figlio del presidente turco). L’intervento russo ha inflitto un duro colpo ai traffici della famiglia Erdogan e ai rifornimenti dei ribelli.

 

Da quando le sorti della battaglia di Aleppo sono state favorevoli ad Assad, Europa e Stati Uniti hanno messo in atto la solita commedia, un condensato di cinismo e d’ipocrisia. I mass media ci hanno mostrato le immagini strappalacrime degli effetti dei bombardamenti russo - siriani: le vittime civili (bambini in particolare), ospedali bombardati, quartieri ridotti a cumuli di macerie; la popolazione assediata che sopravvive in condizioni disperate, o che cerca la fuga. Le cancellerie di Stati Uniti ed Europa invocavano la cessazione dei combattimenti per permettere l’evacuazione e il soccorso dei civili assediati nei quartieri est di Aleppo. La verità è diversa. Damasco non ha rifiutato la tregua per impedire l’evacuazione dei civili dalle zone assediate; ma per impedire ai ribelli assediati di ricevere aiuti e di riorganizzarsi in vista di una possibile controffensiva. Le cancellerie occidentali sanno che i ribelli non consentono ai civili la fuga, ma accusano Assad e la Russia di ostacolare la creazione di corridoi umanitari. Ad Aleppo come a Mosul, i ribelli adottano le tattiche della guerra asimmetrica: usano i civili come scudi umani, o come kamikaze in attentati suicidi. In questo modo cercano di impedire alle forze regolari di sfruttare la superiorità militare o infliggono alle stesse pesanti perdite. Il terrorista siriano Abu Nimr usò la figlia di sette anni come kamikaze nell’attentato al commissariato di polizia di Midan (Damasco 16.12.2016). Nella Mosul assediata dalle truppe irakene fu scoperta una fossa comune con 284 vittime (tra queste anche bambini) civili che l’Isis usava come scudi umani. I bombardamenti russo - siriani non hanno lo scopo di terrorizzare la popolazione civile, non è questa la strategia di Damasco. Terrorizzare la popolazione civile per indurre il nemico alla resa era la strategia dei bombardamenti alleati e tedeschi durante la seconda guerra mondiale: Londra (1940) Dresda (1945) e le tante città italiane martoriate dai “liberatori”. La strategia dei bombardamenti russo - siriani è quella di annientare le forze ribelli senza distinzione tra “estremisti” e “moderati”. Il sostegno ai ribelli “moderati” è un pretesto dell’Occidente per abbattere il regime siriano e indebolire l’Iran. Infatti, le forze che si oppongono ad Assad sono in maggioranza islamiste e non “moderate”; inoltre, quelle “moderate” si schierano con le formazioni islamiste quando si tratta di combattere il regime siriano e i suoi alleati (vedi l’E.S.L. nella battaglia di Aleppo). Le milizie islamiste sono inquadrate nel sedicente Califfato e in Jaish al fatah (Esercito della Conquista). Questa coalizione nasce nel febbraio del 2016 per riunire in un unico fronte le forze islamiste non legate al Califfato, tra queste troviamo anche Fateh al sham (ex al Nusra - al Qaida). Alcune di queste milizie sono legate ai Fratelli Mussulmani e hanno il sostegno del Qatar (Felaq al Sham - Legione della Grande Siria) altre sono legate alla Turchia; altre ancora sono sostenute dai Salafiti e hanno il sostegno dall’Arabia Saudita (Ahrar al-Sham - Uomini Liberi della Grande Siria). L’Esercito della Conquista conta circa trenta - quarantamila uomini, si tratta di truppe motivate, bene addestrate e armate (vedi i missili controcarro Tow donati dall’amministrazione Obama). I ribelli “moderati” se esistono sono rappresentati dall’ESL (Esercito Libero Siriano) una formazione militare che non ha la forza per sconfiggere la canaglia islamista e per imporsi in un Paese dilaniato da anni di guerra civile. In Siria a combattere il terrorismo islamico sono: l’esercito siriano, la Russia, le milizie sciite e quelle curde del YPG (Unità di Protezione Popolare). I curdi sono ostili ad Assad ma hanno combattuto le milizie del Califfato che volevano impossessarsi del Royava (la regione del Kurdistan siriano al confine con la Turchia). Per le cancellerie occidentali le vittime civili non sono tutte uguali; alcune sono “carne di porco” e come tali non meritano lacrime o interventi militari a loro protezione. Carne di porco è la popolazione dei quartieri occidentali di Aleppo colpita dall’artiglieria ribelle. Carne di porco sono le vittime degli Stati Uniti e i loro alleati che dai Balcani al Medio Oriente hanno fatto uso di “bombe intelligenti” e di droni. Armi che dovevano colpire obiettivi militari, ma cadono anche su quelli civili: feste di matrimonio, funerali, ospedali, abitazioni, mezzi pubblici e sfortunati cooperanti (come l’italiano Giovanni Lo Porto). Se alle vittime dirette dei bombardamenti aggiungiamo quelle indirette, provocate dai conflitti che gli Stati Uniti e i loro alleati hanno scatenato o alimentato, le vittime superano il milione. Carne di porco sono le vittime della coalizione a guida saudita impegnata nello Yemen a soffocare la rivolta dei ribelli sciiti huthi. Dall’inizio della campagna militare (marzo 2015) 12 mila civili sono stati uccisi. Gli sfollati sono più di 3 milioni (su 27 milioni di abitanti), metà della popolazione vive di aiuti umanitari e solo un bambino su dieci arriva all’età di cinque anni.

 

Per l’Occidente la tragedia di Aleppo è stata un pretesto per criminalizzare il regime siriano e i suoi alleati. Per Hillary Clinton il regime siriano, la Russia e l’Iran sono “l’asse del male”. In verità il vero “asse del male” è rappresentato dai tagliagole del Califfato e dall’eterogenea galassia jihadista. Il terrorismo islamico ha potuto crescere e prosperare grazie agli errori e alle connivenze degli Stati Uniti e dei loro alleati: la Gran Bretagna, la Francia, la Turchia e le ricche monarchie del Golfo. Quest’ultime sono anche il riferimento ideologico del radicalismo mussulmano (l’Islam sunnita wahabita). Questi Stati “canaglia” sostengono il terrorismo ma non subiscono le sanzioni economiche o l’embargo sulle armi; anzi possono contare sulle forniture militari e stipulare importanti contratti con l’Europa e gli Stati Uniti. A 257 milioni di euro ammontano le forniture militari italiane all’Arabia Saudita; a Valles il 13 ottobre 2016, il cialtrone di Hollande vieta il burkini ma firma con l’Arabia Saudita un contratto da 10 miliardi di euro (armi comprese). Il governo siriano combatte il terrorismo ma subisce le sanzioni europee; quest’ultime più che indebolire il regime affamano la popolazione siriana.

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati per difendere i loro interessi hanno destabilizzato l’Asia e il Nord Africa; e non hanno combattuto o, peggio, hanno sostenuto l’Islam radicale. Tutto questo ha creato le condizioni per la nascita e per lo sviluppo del terrorismo islamico che ora dilaga in tutto il mondo. In Iraq l’eliminazione di Saddam Hussein (maggio 2003) fece precipitare il Paese nel caos e permetterà la nascita del sedicente Califfato (aprile 2013). Nel settembre del 2015, per contrastare questa minaccia nasce la colazione anti Isis guidata dagli Stati Uniti, i principali sostenitori sono la Francia, la Gran Bretagna e i Paesi del Golfo Persico. La Coalizione finge per un anno di “bombardare” il Califfato, perché il vero nemico della Coalizione sono Assad e i suoi alleati, che l’Isis combatte. Per un anno, gli Stati Uniti colpirono il Califfato con una media giornaliera di 48 bombe; mentre nel lanciarono 1039 sull’Iraq (2003) 364 nel Kosovo (1999) 230 in Afghanistan (2001) e 6123 durante la prima guerra del Golfo (1991). Gli attentati di Parigi (settembre 2015) e l’intervento russo (ottobre 2015) spinsero la Coalizione a colpire con determinazione il Califfato. Questo cambio di strategia ha permesso all’esercito iracheno e alle milizie curde di penetrare a Mosul (Iraq). In Libia, la caduta di Gheddafi (ottobre 2011) fu possibile grazie all’appoggio politico e militare degli Stati Uniti, della Francia e della Gran Bretagna. Con la caduta del tiranno beduino il Paese cadde nel caos e il Califfato poté penetrare in Libia e fare di Sirte la sua roccaforte. Il prezzo del cinismo e dell’idiozia dei nostri governi, lo stanno pagando le popolazioni dell’Asia e dell’Africa; e lo paghiamo anche noi, con gli attentati terroristici e l’invasione di migliaia di profughi che non siamo nelle condizioni di accogliere. Profughi che potrebbero ospitare le ricche monarchie del Golfo: hanno la stessa fede religiosa, lo spazio fisico e le risorse per accoglierli. Profughi utili ad Ankara per ricattare l’Europa estorcendo denaro, sei miliardi di euro da destinare all’accoglienza dei profughi nei campi turchi; oppure imponendo la libera circolazione dei cittadini turchi nell’Unione. Non ha limiti il delirio di arroganza e di stupidità delle cancellerie occidentali: «Assad deve andarsene». «La soluzione alla crisi siriana non può essere militare». È questo il “mantra” che sentiamo ripetere ogni giorno. In realtà la soluzione alla crisi siriana è un problema essenzialmente militare, la sconfitta della canaglia islamista e dei Paesi che la sostengono. Cacciare Assad significherebbe condannare la Siria a una situazione d’instabilità permanente; oppure trasformare la stessa in rifugio e base operativa del terrorismo islamico. Il governo siriano forte dell’appoggio russo e iraniano è l’unica forza politica che può sconfiggere la canaglia islamista e assicurare la stabilità del Paese. Questo non esclude l’uscita di scena di Assad, ma il suo destino deve essere deciso dal popolo siriano e non dalle potenze straniere o da formazioni terroristiche.

 

Il miglioramento delle relazioni tra Russia e Turchia ha influenzato l’esito della battaglia di Aleppo e segnerà anche l’intero conflitto siriano. Ankara sta togliendo il sostegno ai ribelli per il timore delle ritorsioni di Mosca e perché considera gli Stati Uniti un alleato inaffidabile o peggio un potenziale nemico: Washington si rifiutò di consegnare alle autorità turche l’iman Fethullah Gülen, presunto ideatore del golpe del 15 luglio 2016; Washington appoggia la creazione di uno Stato curdo che potrebbe minare l’integrità territoriale della Turchia. Gli Stati Uniti vogliono che la Turchia rimanga un docile strumento della Nato e non divenga una potenza regionale, capace di scelte autonome e divergenti da quelle atlantiche. Questo irrita e spaventa Ankara e la spinge nelle braccia di Mosca. Non si tratta di un “matrimonio d’amore” ma di una scelta obbligata. I successi militari di Damasco e la tregua concordata con i ribelli “moderati” potrebbe portare la pace o almeno ad un congelamento del conflitto. La Russia, l’Iran e la Turchia si stanno accordando sul futuro della Siria: rimarrà intatto l’asse sciita (Iran, Siria e Libano - Hezbollah) e Assad rimarrà al potere; la Russia rafforzerà la sua presenza militare in Siria, quindi in Medio Oriente e nel Mediterraneo; Ankara avrà mano libera nel Royava per impedire la nascita di uno stato curdo ai suoi confini. Ad Astana in Kazakistan si terrà la conferenza di pace.

 

In Siria sono stati sconfitti gli Stati Uniti, l’Europa, i loro “tirapiedi” locali (Arabia Saudita e Qatar) e la canaglia islamista: i primi volevano cacciare Assad e sostituirlo con un loro burattino; i secondi trasformare la Siria in una teocrazia sunnita. L’Occidente potrebbe accreditarsi come interlocutore credibile solo con un radicale cambio di politica estera, quella attuale è stata disastrosa negli effetti e criminale nei metodi. Il 20 gennaio Trump entrerà alla Casa Bianca, le sue aperture verso Mosca potrebbero favorire la soluzione della crisi siriana. Che Dio benedica la Siria e il suo popolo. Buon anno.