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Il mondo unipolare è finito, per sempre

di Federico Pieraccini - 14/01/2017

Il mondo unipolare è finito, per sempre

Fonte: L'Antidiplomatico

 
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La precedente serie di tre articoli ha analizzato i meccanismi che muovono le grandi potenze. I temi maggiormente approfonditi hanno riguardato la comprensione della determinazione degli obiettivi e delle logiche che accompagnano l’espansione di un impero. Le teorie geopolitiche, la trasposizione pratica in dottrine di politica estera e le azioni concrete che gli Stati Uniti hanno svolto per aspirare ad un dominio globale. Infine, il terzo articolo, ha riguardato particolarmente Iran, Cina e Russia e come abbiano adottato, nel corso degli anni, svariate iniziative di natura culturale, economica e militare per respingere l’assalto perpetuo alla loro sovranità da parte dell’occidente. Infine, specifica attenzione è stata rivolta alla spinta americana verso l’egemonia globale e come ciò abbia in realtà accelerato la fine del ‘momento unipolare’, facendo emergere un ordine mondiale multipolare.
 
In questa quarta e conclusiva analisi mi focalizzerò su un possibile cambiamento strategico nell'approccio alla politica estera da parte di Washington. L’ipotesi più verosimile è che Trump intenda provare ad impedire la completa integrazione tra Russia, Cina e Iran.
 
La fallimentare strategia dei neoconservatori e dei neoliberali in politica estera, ha radicalmente ridotto il ruolo e l’influenza di Washington nel mondo. Alleanze importanti sono state forgiate senza l’approvazione degli Stati Uniti e sempre più, il modello mondiale immaginato agli inizi degli anni 90’ da Bush a Kagan e tutti firmatari del PNAC, va in frantumi. La vittoria di Donald Trump è stata, con ogni probabilità, l’ultimo colpo decisivo ad una serie di strategie applicate in politica estera che hanno finito per compromettere la leadership globale, tanto desiderata dagli Stati Uniti. Ultimo esempio, in ordine temporale, il cessate il fuoco in Siria raggiunto grazie ad un’intesa tra Turchia e Russia. Niente Stati Uniti.
 
L’assalto militare, mediatico, finanziario e culturale, agitato per decenni con successo da Washington, ha finalmente conosciuto un argine, grazie all’asse rappresentato da Iran, Russia e Cina. Il recente successo mediatico (RT, Press TV e molti media alternativi), politico (Assad rimane presidente della Siria), diplomatico (negoziazioni in Siria senza Washington come intermediario) e militare (Liberazione di Aleppo dai terroristi) di questa triade, ha prodotto effetti importanti negli affari interni di paesi come Regno Unito e Stati Uniti.
 
La contemporanea ricerca, senza tregua, della maggioranza dei rappresentanti politici nazionali dell’occidente di un modello di globalizzazione vincente ha favorito lo sviluppo di un turbo capitalismo parassitario e una complessiva avocazione della sovranità nazionale. Risultati come Brexit e Trump hanno mostrato il rigetto completo, delle popolazioni locali, nei confronti di un sistema economico e politico completamente falsato.
 
In Siria, Washington e il suo asse di alleati fantocci, è uscito di scena senza riuscire a raggiungere il proprio obiettivi strategico di rimuovere il governo di Assad. In termini nazionali, tutto lo spettro politico da Bush a Clinton, passando per Obama è stato spazzato via anche e soprattutto per i fallimenti economici e politici dei mesi recenti. In una catena senza fine di propaganda, i media, cavallo di battaglia delle élite, hanno perso la loro battaglia di credibilità, raggiungendo vette elevate di immoralità e parzialità.
 
Donald Trump è emerso, con in mente con una strategia di politica estera ben precisa, forgiata da svariati pensatori politici dell’area realista come Waltz e Mersheimer. Innanzitutto, cestinare tutta la recente politica neocon e neoliberal di interventi stranieri (R2P - Diritto a Proteggere) e campagne di soft power a favore dei diritti umani. Mai più risoluzioni delle Nazioni Unite, subdolamente utilizzate per bombardare nazioni (Libia). Trump non crede nella funzione centrale del Palazzo di Vetro e lo ha ribadito ripetutamente.
In generale, l'amministrazione Trump intende terminare la politica dei cambi regime, le interferenze nei governi stranieri, primavere arabe e rivoluzioni colorate. Non funzionano. Costano troppo in termini di credibilità politica, in Ucraina gli Stati Uniti sono alleati di sostenitori di Bandera (figura storica che collaborò con i Nazista) e in Medio Oriente finanziano o sostengono indirettamente al qaeda e al nusra.
 
Queste tattiche di guidare da dietro (‘leading from behind’) non portano ai risultati desiderati, il M.O. è nel caos, con un emergente asse Mosca-Teheran sempre più solido. In Ucraina, il governo di Kiev sembra incapace di rispettare gli accordi di Minsk, ma altrettanto impossibilitato a muovere una nuova campagna militare senza garanzie dai partner Europei e Americani.
 
C’è un asso nella manica, che Trump può giocarsi nei primi mesi della presidenza, per non essere costretto ad intervenire nella complicata situazione in Medio Oriente ed in Ucraina. Incolpare Obama del caos precedente, cancellare le sanzioni nei confronti della Federazione Russa e lasciare l’iniziativa a Mosca nella regione mediorientale. In un colpo solo, il futuro presidente può così decidere di non decidere direttamente sul M.O. o in merito all’Ucraina, evitando un ulteriore coinvolgimento e compiendo finalmente una decisione nell'interesse nazionale degli Stati Uniti.
 
Rimanere consapevolmente passivo nel confronto degli sviluppi in Medio Oriente, specie sul fronte siriano, saldamente in mano Russa, enfatizzando al contempo lo sforzo contro daesh in cooperazione con Mosca, rivelerebbe una strategia sensata. Un’altra scelta saggia vedrebbe Kiev finire nel dimenticatoio della storia, cestinando le ambizioni Ucraine di riconquistare il Donbass e riprendersi la Crimea. In ultimo, eliminare le sanzioni permetterebbe al futuro presidente di rinsaldare l’alleanza con i partner Europei (una necessità che Trump, diplomaticamente, deve compiere da nuovo presidente in carica), da due anni vittime delle conseguenze di un suicidio economico in nome di una strategia politica fallimentare.
 


Lo scopo finale, di questa fase iniziale del progetto di Trump, porterebbe Mosca e Washington a normalizzare le relazioni e gli alleati Europei più disposti ad una collaborazione attiva con l’amministrazione Trump. Il Medio Oriente entrerebbe in una fase di decrescita della violenza con all’orizzonte una fine del conflitto in Siria.  
 
Questa parte del piano di azione di Trump è stata ampiamente annunciata durante i mesi che hanno portato alla sua elezione, da lui direttamente o da persone del suo Staff. Il messaggio implicito è di cercare dialogo e cooperazione con tutte le nazioni.
 
Probabilmente, ciò che si cela dietro a queste intenzioni benevole, è in realtà un’esplicita volontà di provare a spezzare la cooperazione tra Russia, Iran e Cina. Il motivo è derivante dalle conseguenza che comporterebbe, per gli Stati Uniti, una vera e propria alleanza militare, culturale e militare tra Pechino, Mosca e Teheran. Finirebbero per rendere molto meno rilevante Washington, in un futuro prossimo, sullo scacchiere internazionale.
 
Più realisticamente, Trump mira a spostare il focus degli Stati Uniti dall’Atlantico al Pacifico, laddove risiedono i maggiori interessi commerciali statunitensi nel futuro. Il focus cambia, dal Medio Oriente al Mar Cinese del Sud e dell’Est. Le motivazioni geopolitiche dietro questa decisione e le teorie coinvolte sono stati affrontate in maniera approfondita nel primo articolo. In sintesi, Trump intende accelerare il pivot-asiatico di Obama, apportando delle profonde modifiche. Liberare risorse grazie alla pacificazione con Mosca e aumentare la disponibilità militare (“Build Up Our Military” --In termini navali) nel Pacifico. Puntare molto sull’aspetto bilaterale delle relazioni tra alleati (“Free Riders” --Giappone, Corea del Sud) in chiave contenimento Cinese.
 
Il jolly che Trump spera di potersi giocare nel rompere l’alleanza, si chiama Russia. Grazie alla pacificazione precedente con Mosca, Trump spera di ottenere un remake grottesco della strategia di Kissinger con la Cina nel 1979. In aggiunta, una promessa di non interferenza in Medio Oriente contro Iran e Siria da parte degli Stati Uniti.

In uno scambio molto improbabile, l’amministrazione Americana spera di poter convincere il Cremlino che nessuna azione verrà presa in Medio Oriente contro Mosca e i suoi alleati, compreso l’Iran, in cambio di un aiuto nel contenere la Repubblica Popolare Cinese. In tal senso, la scelta di personalità molto discutibili per curare i rapporti tra Trump ed Israele, unito alla forte retorica di Trump contro la Repubblica Islamica e la altrettanto dure risposte di Teheran alle minacce del futuro presidente, sembrano accontentare i ruoli e la retorica di tutte le parti in causa. Una sorta di bilanciamento delle posizioni dei vari schieramenti, dettato da risentimenti storicamente motivati. Per Teheran e Tel Aviv, è più facile litigare che firmare accordi. Il trattato internazionale sul nucleare Iraniano continuerà, per questo motivo, ad essere un forte punto di tensione, ma anche il garante di un improbabile rottura degli accordi, ancor meno di azioni militari.
 
Il problema per la futura amministrazione è la consistenza dell’offerta di non interferenza di Trump in Medio Oriente. E’ un bluff che durerà poco. Putin è ben consapevole, in nessun caso Washington è in grado di intervenire per modificare le sorti dell’equilibrio di potere che si sta formando in Medio Oriente.
 
Trump ignora o fa finta di non voler vedere, da buon negoziatore, che ben poche carte nel suo mazzo possono essere appetibili per Mosca. L’alleanza tra Mosca, Pechino e Teheran è salda e certificata da scambi strategici in molteplici settori. Un trend in enorme crescita. La guerra in Siria ha dimostrato gli effetti di un’effettiva coordinazione tra le tre nazioni. L’aggiunta della Repubblica Islamica Iraniana alla SCO rafforzerà ulteriormente i legami di sicurezza. Senza dimenticare che il corridoio Nord-Sud, tra Russia e Iran, garantisce inoltre stabilità in un’area del globo dove il pericolo sovversivo del terrorismo è sempre presente.
 
Durante il periodo di sanzioni, Russia e Cina hanno firmato il più importante ed immenso accordo commerciale della Storia, sigillando lo sguardo-ad-est di Mosca. Una pianificazione strategica che va ben oltre il quadriennio di un presidente americano.
 
Se Trump spera di ottenere una cooperazione di qualche genera da parte di Putin, si illude, ma dovrà comunque e necessariamente cooperare contro il terrorismo in Medio Oriente, calmierando le nazioni alleate di Washington che sovvenzionano il terrorismo nella regione. Dovrà rimuovere le sanzioni e resettare il rapporto internazionali tra Washington e Mosca, liberando l’Unione Europea da una situazione controproducente di contrapposizione con la Federazione Russa. Infine dovrà decidere di ignorare definitivamente la vicenda Ucraina e della Crimea, seppellendo una delle pietre angolari della tattica e strategia dei neoconservatori (Zbigniew Brzezinski): contrapporre in termini militari vincenti, l’Ucraina alla Federazione Russa.
 
Trump sa di partire da una situazione di inferiorità nei negoziati con Mosca e Pechino, dovendo perseguire un obiettivo immenso come la rottura dei rapporti tra Cina, Russia e Iran. Il vantaggio, dal suo punto di vista, sta tutto nell’avere molto margine di trattativa con Mosca, visti i livelli abissali dei rapporti tra Putin e Obama.
 
Naturalmente, se Trump dovesse realmente imbarcarsi in una missione del genere, vorrebbe ottenere garanzie ben precise in merito al futuro atteggiamento di Mosca verso Pechino. Nientedimeno, partendo appunto da una situazione di inferiorità, non potrà che acconsentire a fare la sua parte, rimuovendo tutti i paletti iniziali e riabilitando la Russia sulla scena politica occidentale. Mosca ha tutto da guadagnare da questa situazione.
 
Trump spera così di avere dalla sua parte la Federazione Russa, procedendo quindi a convincere nazioni come Giappone, Filippine e Corea del Sud, che l’unica strategia percorribile preveda di limitare l’influenza Cinese in Asia. L’effetto naturalmente sarà contrario  a quello sperato, favorendo così l’integrazione Eurasiatica (AIIB e Via Della Seta 2.0), come ha dimostrato Obama e il suo tentativo di imporre il pivot-asiatico e i vari trattati commerciali (TPP).
 
Con la rimozione delle sanzioni, finalmente, molti paesi dell’Unione Europea potranno riprendere la loro azione di integrazione energetica e tecnologica con il continente eurasiatico e con la Russia in particolare. Il Giappone, con ogni probabilità, sarà in grado di firmare il trattato di pace con la Russia, senza violare i suoi obblighi con Washington. In generale, la rimozione delle sanzioni alla Russia vedrà accelerare molti progetti messi in stand-by dalle tensioni tra Washington e  Mosca
 
L’atteggiamento di Trump, se deciderà di avere una postura aggressiva contro Pechino, metterà l'élite Cinese di fronte all’evidenza. Washington non intende avere rapporti paritetici con la Pechino. Trump ha già più volte ribadito, rilanciando il pensiero di Mearsheimer, preminente teorico geopolitico contemporaneo, che afferma da più di un decennio come la crescita Cinese sia una minaccia per gli Stati Uniti quale ruolo di superpotenza. Mearsheimer sostiene che nel giro di pochi anni, grazie alla crescita del PIL (Nominale) e demografica, la Repubblica Popolare Cinese sarà la prima potenza militare al mondo.
 
Trump intende concentrare tutti i suoi sforzi in termini di politica estera su questo fattore. Per riuscirci, ha compreso della necessità di avere dalla sua parte svariati attori regionali (Giappone, Corea del Sud, Vietnam, India, Filippine) e soprattutto la Federazione Russa, oltre ad un cambiamento epocale che sposterà le attenzioni di Washington dall’Atlantico al Pacifico.
 
Idealmente, per Mosca, Pechino e Teheran si giungerà al momento delle scelte definitive. Una stagione in cui la politica nazionale di queste nazioni dovrà comprendere quale scelte adottare. Mentre per Teheran, le carte sono scoperte, con un ruolo da leader regionale, per Mosca e Pechino la partita è più complicata.
 
Molto dipenderà da quanto Pechino abbia intenzione di contrapporsi apertamente ad eventuali azioni ostili di Trump. Mosca, da molti anni, affronta apertamente e questiona quotidianamente l’ordine mondiale guidato da Washington. Pechino sembra più restia, comprensibilmente, ad uno scontro frontale. Con ogni probabilità, Trump e il suo atteggiamento realista in termini di politica estera, porterà le élite Cinese a comprendere che la svolta ad Ovest definitiva è l’unica strategia percorribile. Non più condivisione con Washington dell’ordine mondiale, ma la costruzione con attori diversi, di una realtà mondiale multipolare, con più poli: Washington, Nuova Delhi, Mosca, Teheran, Londra e Pechino.
 
Realisticamente, è arduo pensare che la nuova amministrazione possa alterare la partnership strategica formata tra Cina, Iran e Russia.
 
In fin dei conti, Trump si trova a ripercorre i medesimi passi dei suoi predecessori, semplicemente cambiando angolo di approccio e cercando di mischiare ulteriormente le carte. La scelta di migliorare il mondo con cooperazione e rispetto reciproco non combacia esattamente con le aspirazioni dello stato profondo americano che chiedono guerra, caos e conflitto.
 
La grande differenza che vedremo con un candidato come Trump è banale. Una volta falliti i tentativi diplomatici nei confronti di Pechino, invece di raddoppiare gli sforzi con azioni militari o terroristiche, la strategia verrà abbandonata. Le espressioni forti contro Pechino, il paventato aumento della spesa militare per il Pacifico (per accontentare l’apparato militare industriale) e la retorica contro Iran (per accontentare la lobby israeliana) serviranno per calmierare le intenzioni dello stato profondo, mentre Trump proverà a concentrarsi molto su Economia e Sicurezza (lotta al terrorismo), meno sulla politica estera.
 
Conclusione Serie
 
La fine di questa serie porta a riflettere sul fattore più importante accaduto recentemente. Il progetto di egemonia globale che avrebbe dovuto realizzarsi con una presidenza Clinton è stato scongiurato. L’inevitabile scontro militare con Russia, Iran e Cina è stato scongiurato grazie anche alle azioni preventive di questi paesi, oltre alla sconfitta della candidata democratica. Uno smacco enorme per l’establishment prono al globalismo e all'imperialismo statunitense.
 
L’emergere di un ordine mondiale multipolare ha cambiato l’interazione, tra nazioni, nel campo delle relazioni internazionali. Washington non è più l’unico riferimento e questo mutamento rappresenta l’origine della transizione da una realtà unipolare dominata dagli Stati Uniti.
 
I meccanismi che regolano le grandi potenze hanno variato forma e contenuto, giungendo ad una forma quasi inedita di scenario internazionale. Il futuro ordine mondiale multipolare, storicamente instabile come ambiente di nazioni, è invece foriero di stabilità, grazie all’azione delle nazioni contrapposte alla superpotenza americana. La chiave di un futuro ordine mondiale sostenibile è la neonata sinergia tra Pechino, Mosca e Teheran quale contrappeso economico, militare e culturale rispetto agli Stati Uniti. L’unione e l’alleanza di queste tre nazioni ha generato un nuovo super-polo, in grado di bilanciare con efficacia l’azione spesso distruttrice di Washington.

Più che ordine mondiale multipolare, siamo di fronte ad una situazione di due super-potenze, di cui la seconda fondato sull’integrazione tra dozzine di nazioni su più di due continenti. Una nuova era che ci accompagnerà per i prossimi decenni. Il mondo unipolare è finito, per sempre!