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La Bugia dell’Alchimista

di Luca Valentini - 14/01/2017

La Bugia dell’Alchimista

Fonte: Ereticamente

Per i tascabili de La Lepre Edizioni e grazie all’ammirevole impegno della ricercatrice Maria Fiammetta Iovine, nel 2013 è stato pubblicato un vero e proprio romanzo di autentica natura iniziatica sulla famosa quanto enigmatica Porta Magica del Marchese Palombara, sita a Roma, a firma di un autore, la cui personalità è anch’essa velata da non pochi criptici interrogativi, cioè Jason D’Argot, che consigliamo vivamente ai lettori di EreticaMente. La caratteristica di tale scritto, ove, al di là di Massimiliano Palombara, emerge e si evidenza tutta la solare personalità della protagonista principale, Cristina la ricercatrice, è la sua meditata bi-dimensionalità, una inerente la giovane donna nelle sue infaticabili indagini alla ricerca dell’origine e di un senso da attribuire alla famosa Porta, l’altra inerente le vicende umane dello stesso Marchese, come se la prima dimensione, raggiunti alcuni livelli liminali, potesse aprire il varco sottile della reminiscenza, concedendo alla studiosa di rivivere, quasi in prima persona, l’esistenza del personaggio intorno a cui gravita la propria ricerca, indi penetrare attivamente nella seconda dimensione. Tale, secondo il nostro giudizio, risulta essere un espediente narrativo quanto mai efficace nel render anche l’ignaro lettore attore principale ed attivo della labirintica conquista della Verità.b-1

D’altronde, sia la materia trattata, quella dell’arcana dottrina ermetico-alchimica quanto lo scrivere romanzato, hanno dai tempi antichi avuto una stretta connessione, potendo un mezzo espressivo non diretto, mediato come quello del mito o del racconto, aprire quei sigilli interpretativi, di comprensione partecipativa, che una mera analisi ermeneutica, di natura schiettamente asettica e raziocinante, non ha la capacità di operare, per un chiaro limite di dominio di appartenenza:

…chi scoprisse quei segreti, i quali volli seppellire con me, conviene che sia persona assai saggia, cioè timorata, poiché si troverà più pronta a perdere tutto per acquistarsi una vera sapienza”(Addì 16 luglio 1685, p. 34).

Risulta essere, infatti, esemplare  e significativo lo status in cui Cristina, durante le numerose visite all’archivio ed alla villa della famiglia Palombara, viene a trovarsi. Durante le diverse scoperte simboliche, tra cui la derivazione dalla Commentatio de phamarco catholico dei glifi ermetici riporatati sulla Porta oppure la comprensione che potessero convivere diverse interpretazioni circa la decifrazione di detti simboli, come se ci fossero percorsi organicamente compenetrati tra loro che concorressero egualmente e differentemente, ma simultaneamente alla realizzazione della Grande Opera, la ricercatrice aveva assunto una posizione di assoluta preminenza sulla scena, anche rispetto al padrone di casa. La lente di osservazione del narratore, pertanto, pur permanendo sull’enigmaticità della ricerca posta in essere, individua mirabilmente un’ulteriore centralità, un secondo fuoco polare, cioè l’esperienza estatica di chi internamente scandaglia cifre, gigli, cartigli, ma in realtà seziona e sublima una realtà non fuori da sé, ma di cui magicamente si sente parte integrante e formante, “Sentì il cuore scoppiarle di gratitudine” (p. 80). Tali poliedricità ermeneutiche ci conducono al particolare colloquio che Cristina intrattiene con l’ammiraglio Marigliano, circa la natura angolare della Porta Magica, circa la natura basilare e realizzativa della stessa, come è, naturalmente, una pietra angolare in ogni edificio sacro:

La pietra angolare è invece unica: rappresenta il compimento dell’Opera, perché è l’Uno che ne è la fine, ma al contempo anche il principio”(p. 151).

Nella medesima circostanza, l’espressione finale dell’ammiraglio avvalora quanto da noi precedentemente espresso:”Finchè non conoscerà meglio se stessa, ci saranno alcuni aspetti che continueranno a sfuggirle. Noi, invece, desideriamo che lei riesca nella sua impresa”(p.152). Quanto riportato assume una valenza primaria nel contesto complessivo della narrazione, perché l’uso di termini come “impresa”, il riferimento ad un “noi” presuppone che il tutto si riferisca non ad una superficiale ricerca storiografica in riferimento ad uno dei testi più enigmatici dell’Alchimia, ma che, al contrario, vi sia esplicitata una reale dimensione palingenetica del cercatore e che la propria vicenda umana possa e debba necessariamente essere ricollegata ad un dato ambiente iniziatico che, dal ‘600 a 400 anni dopo, si relaziona ermeticamente, quindi sottilmente, col simbolismo alchimico della Porta del Marchese Palombara e della sua famosa opera, La Bugia.

Quel “noi” pronunciato nella città di Napoli, a nostro modesto parere, non è assolutamente casuale, se il mondo iniziatico ove tutta la vicenda si riconduce può tranquillamente determinarsi nei diversi riferimenti a personaggi come Federico Gualdi, come il Santinelli, come il barone H. T. Tschoudy[1], mondo che esprime l’intreccio tra Rosa+Croce tedesca ed ermetismo italico-alessandrino, che, transitando anche per le personalità di un Bruno, di un Campanella, di un Dalla Porta, riaffora nella antica sapienza napoletana, che è alla base dell’Antiquus Ordo Aegypti di Raimondo di Sangro Principe di Sansevero. Il testo, inoltre, offre spunti di riflessione e di approfondimento, pur nella suo forma romanzata, anche circa i legami del Marchese di Palombara con altreb-2 personalità importanti dello scenario post-rinascimentale dell’Ars Regia, cioè la regina Cristina di Svezia, il gesuita Athanasius Kircher[2] ed il Cavalier Borri. Infine, il circolo uroborico della ricerca si chiude e l’operatore coglie l’essenza dell’Opera, che è primariamente affermazione dell’Unità tramite la molteplicità manifestativa del Cosmo, come lo spettro di colori diversi altro non è che manifestazione della Luce Astrale Una. E’ la sperimentazione identificativa che supera il limite limitante del fenomenico e della ragione, è la sintesi, è il simbolo che si esprime solo tramite la partecipazione diretta e voluta di chi cerca:

La Porta Magica era la prima pietra ma anche la pietra d’angolo, così come rappresentava simbolicamente l’ingresso alle miniere dei filosofi eppure anche lo strumento per far luce nelle loro profondità, allo stesso modo che il VITRIOLUM si rifletteva nei MILVI ORTU e viceversa: come in alto, così in basso”(p. 331).

 

Note:

 

[1] Si presuppone che il Tschoudy proprio in ambienti egizio – napoletani siano venuto a conoscenza di testi come Lux Obnubilata o Androgenes Hermeticus del Santinelli, da cui abbia tratto viva ispirazione per la redazione della Stella Fiammeggiante, catechismo ermetico – massonico che sostanziava un insegnamento ed un riferimento mitico di stretta osservanza isiaca, che, a tal punto, si manifesta non più oscuramente nella decifrazione delle proprie origini.

[2] Non sarebbe, a nostro avviso, uno studio privo d’interesse attuare un’analisi comparativa tra le informazioni storico-simboliche che tale testo narrativo offre e lo studio congiunto, a cura di Anna Maria  Partini e Boris De Rachewiltz, sulla Roma Egizia, in cui Athanasius Kircher riveste un’importanza di prim’ordine.

Luca Valentini

Jason D’Argot – La Bugia dell’Alchimista – Il segreto della Porta Magica del Marchese Palombara – Romanzo – La Lepre Edizioni, Roma 2013