In Italia si è imparato, o meglio, si è cercato di far imparare agli italiani, che il termine populismo indichi necessariamente e unicamente qualcosa di negativo. L'aggettivo populista, ormai, non si nega a nessuno: anche chiunque tenti di fare un ragionamento dotato di mero buon senso, e ben lontano dal politichese dei salotti televisivi, siccome il più delle volte significa dire qualcosa che può facilmente essere comprensibile ai più, viene tacciato di populismo.

A far percepire il termine come negativo sono state tutte le persone - politici e commentatori - che si sono succeduti e succedono nel corso degli anni ai microfoni di ampio spettro che vengono loro concessi, e dunque l'unico messaggio che è passato sul termine, è la loro interpretazione, che neanche a dirlo, è di tipo negativo.

Naturalmente le cose stanno diversamente. A livello scientifico gli studi sul populismo mancano quasi del tutto, se si fanno alcune eccezioni: una tra tutte, alcuni lavori di Marco Tarchi nella sua rivista scientifica Trasgressioni. Si potrebbe dire che tanto abbondano le etichette negative in merito, che ci si riferisca a una persona, a un movimento d'opinione o anche a un partito, quanto manchi una prova o una spiegazione storica e logica del fenomeno. In termini assoluti il populismo non è in realtà né positivo né negativo, ma anzi si tratta di una parola neutra che dovrebbe - dovrebbe - essere usata facendola seguire o precedere da un contesto. Invece (soprattutto, ma non solo) in Italia viene usata negativamente.

Con questo sbagliato metro di giudizio e interpretazione è populista ad esempio Beppe Grillo quando dice che "non ci devono essere condannati in parlamento" così come un qualunque cittadino che osservi come "senza la preferenza diretta non vi sia reale democrazia", oppure anche un movimento che si organizzi, molto semplicemente, per indire un referendum su qualcosa di veramente importante. Anche il movimento che ha promosso il referendum sul no al nucleare e per l'acqua pubblica, da lor signori era considerato populista.

Il punto cardine risiede dunque nel fatto, innegabile, della voragine che si è aperta tra la politica (e i suoi vassalli: economisti o giornalisti che siano) e la società civile. Ovvero tra governanti e governati. Tutto ciò che proviene da un sentire del popolo e che osta il percorso, o i percorsi, che la politica si prefigge, viene tacciato di populismo.

Parallelamente, a questo punto, tutti i cittadini di uno Stato che a vario titolo si sentono distanti e in disaccordo con questa o quella volontà politica dei governanti, avrebbero (avrebbero?) a buon titolo il diritto di considerare questi ultimi come anti-popolo. In tal caso, come si vede, e come dovrebbe essere, il populismo può prendere di colpo una accezione positiva. 

Oggi se ne torna a parlare per l'ennesima ridicola dichiarazione di Napolitano, ma il tema è presente ormai da decenni. E torna fuori, sempre dalle bocche dei soliti noti, alla bisogna.

Ora, è populismo sostenere che aver bruciato presente e futuro delle nostre generazioni per favorire la speculazione internazionale sia un atto criminale? È populismo dire che una classe politica che ha dato ampia dimostrazione di incapacità (ora una parte, ora l'altra) malgrado decenni di sonni strapagati alle Camere sino ad assentarsi del tutto per concedere mano libera e un governo non eletto, sia da sostituire in toto? È populismo dichiarare che si debba realmente tornare a forme di democrazia migliore di quella attuale per esempio inserendo le preferenze dirette e togliendo le soglie di sbarramento?

Per i politici, ovviamente lo è. Per tutto il resto del Paese è invece vero il contrario. Ma guarda un po'. 

E ancora: con lo stesso metro di giudizio, infatti, gli scioperi devono essere fatti "ma senza danneggiare troppo", le manifestazioni possono essere svolte "ma senza alzare troppo i toni" e il "dialogo si può aprire su ogni cosa" ma solo se comunque alla fine viene fatta la volontà di chi vuole imporre quel qualcosa che è proprio il motivo del contendere. Così come, adesso, "ci possono essere un po' di soldi sul tavolo" per gli ammortizzatori sociali ma solo se "viene approvato l'accordo", che naturalmente (sic!) deve essere approvato senza conoscerne, e far conoscere, i punti salienti.

Insomma, se acconsenti a tutto quello che fanno supinamente, va bene, altrimenti sei un populista. Al popolo - ah, il "popolo" - dunque, stanti così le cose, non è rimasto molto di più che sperare nell'arrivo non solo di un vero e autentico populista, ma anche di uno che alle parole faccia seguire i fatti, come la storia ha ampiamente insegnato.