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Un’estate invincibile. La giovinezza nella società degli eterni adolescenti

di Alfonso Piscitelli - 29/01/2017

Un’estate invincibile. La giovinezza nella società degli eterni adolescenti

Fonte: Eurus

Non è tanto un “amarcord” della giovinezza passata, quanto una “metafisica della giovinezza”, come fedeltà a un senso della vita superiore, quella che ci propone Riccardo Paradisi nel suo saggio: uno dei più belli apparsi nel turbolento e imprevedibile 2016 che ci siamo appena lasciati alle spalle. “Un’estate invincibile. La giovinezza nella società degli eterni adolescenti”, edito da Bietti, alterna due registri stilistici: c’è un tono elegiaco, che con eleganza sfoglia pagine di poesie, copioni di film non banali, ricordi di vita personale e collettiva; e c’è un’analisi dell’idea di giovinezza enucleata con un rigoroso esercizio di pensiero.
La giovinezza colta nel suo archetipo non è quella che si spegne non appena i turbolenti bohemien universitari cominciano ad aspirare ad una carriera da notaio (come secondo la celebre invettiva di Ionesco scagliata contro i sessantottini). La giovinezza è un fuoco che alimenta l’anima fino a tarda età, anzi attende la soglia della maturità per provare a sé stessa se quella carica rivelava un’autentica forza d’animo o se piuttosto si riduceva a una scarica ormonale destinata a smorzarsi.
La giovinezza che perdura per tutta la vita è quella che coincide con la fedeltà a una vocazione personale (“dharma” direbbero gli indù), che è stata intravista nella prima giovinezza, ma che solo con la maturità ha saputo precisarsi e orientarsi bene. Se si coglie il “Sé”, ovvero si interpreta la propria natura e il senso del proprio stare al mondo, allora la giovinezza si prolunga come fuoco animatore fino alla tarda sera della vita. Altrimenti si oscilla tra pulsioni adolescenziali, talora autodistruttive, e quel patetico giovanilismo che oggi crea una galleria di mostri televisivi, divertenti e allo stesso tempo ripugnanti.
Nel suo interrogarsi quasi greco-antico sull’enigma della giovinezza, Paradisi incrocia le riflessioni di grandi autori russi. Su tre in particolare sofferma la propria attenzione: Berdjaev, Soloviev e Dostoevskij. Berdjaev rievoca in pieno Novecento l’idea di destino: qualcosa di irriducibile ai meccanismi pavloviani pensati dalle ideologie totalitarie moderne per costringere l’individuo ad essere rotella di un ingranaggio disumano. E uno dei segreti di una esistenza sempre aderente alla propria essenza giovanile è appunto quello di confrontarsi, accettare ed evolversi in sintonia col proprio destino (al proprio “Daimon” come avrebbero detto Eraclito e Socrate).
Il secondo autore, Soloviev, fa vibrare la corda della Bellezza “anagogica”, quella che porta in alto l’uomo come accade nell’amore cavalleresco per la Donna o nella visione del mistico che percepisce l’universo intero avvolto in una Grazia, che ha fattezze femminili e divine insieme. Scrive Paradisi: “Il volto di sophia, ritenuta dai Greci una forza ele¬mentare, un essere creatore che interviene attivamente in seno all’universo, appare a Vladimir Solov’ëv durante il suo viaggio in Egitto del 1875: «Nel rosso porpora del cielo scintillante io vidi il tutto, e il tutto era un’unica persona di muliebre bellezza, entrava a farne parte l’infinito davanti a me e dentro me tu sola». È lo stesso volto che, nella veste di Beatrice, accende a Dante l’alta fantasia, che a Hölderlin, nella persona di Diotima, apre alla conoscenza dell’unità con l’anima del mondo”.
Se non si è amata questa Bellezza che avvolge il mondo e che si incarna in una donna si è mai stati giovani?
Infine, straordinario e complesso è il riferimento a un passo dei “Fratelli Karamazov”. Difficile sintetizzare in poche righe il senso di quella pagina di Dostoevskij. Attorno al feretro di un giovane colto prematuramente dalla morte, gli amici imprimono nella loro anima un’immagine indelebile: il dolore per quell’amicizia spezzata diventa il nucleo eterno di un ricordo a cui essi sempre faranno ritorno nelle vicende dell’esistenza. E quando rischieranno di cadere nella prosaicità dell’esistenza, nel cinismo o addirittura nel male, quel ricordo luminoso, legato alla giovinezza e a un patto di amore giurato su una vita recisa di fresco, rappresenterà la luce che rischiarerà la caduta nelle tenebre individuali. Tale la luce, o se si preferisce il “fuoco”, della giovinezza.