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Come trasformare il caos in cosmo. La funzione irrinunciabile del mito

di Pierluigi Panza - 02/02/2017

Come trasformare il caos in cosmo. La funzione irrinunciabile del mito

Fonte: Il Corriere della Sera

Alla luce del mito. Guardare il mondo con altri occhi (Marsilio) eredita una secolare tradizione che vede nel mito un sistema di comprensione del mondo alternativo a quello dell’Illuminismo, che tanti elementi controprassistici sta rivelando: globalismo senza valori, finanziarizzazione del mondo e riduzione dell’individuo a funzione asservita alla tecnologia, perché «si può viver come bruti pur navigando in borsa e maneggiando l’iPad» nel fantastico Macmondo di Apple…

Oggi che non sono più destra e sinistra ad affrontarsi come visioni alternative, bensì globalismo senza governo e difesa delle comunità con valori identitari, Veneziani prende le parti di queste ultime, che nel mito e nella tradizione àncorano i loro ideali di vita condivisa. Anche se si propone di affrontare il mito «come forma della mente e struttura del pensiero», Veneziani non entra nei tecnicismi della logica o delle neuroscienze per indagare le strutture profonde del pensiero mitico e nemmeno il suo è uno studio sistematico tipo Filosofia delle forme simboliche di Ernst Cassirer.

Anzi, non è un testo di filosofia teoretica, ma uno scritto encomiastico steso con grande ritmo, affabulazione e capacità retoriche. «La mente umana, e la vita che la riflette, abita su due piani — scrive Veneziani —. Al pianoterra c’e la bottega di lavoro e ci sono i luoghi delle necessità, la cucina, il bagno, la porta che immette sulla strada della realtà. Salendo di un piano si va in terrazza e si scorge il cielo, le stelle, il sole e la luna, a volte il mare o le montagne, si de-sidera e si con-sidera»: qui abita il mito, fondamento delle comunità.

Senza trattare del mito in sé o dei miti come si sono manifestati nella vita dei popoli, Veneziani esalta il mito attraverso un’ampia gamma di riferimenti compresa tra Vico, Rousseau, Schopenhauer, Nietzsche, Jünger, Pound, Zolla, Pasolini e Panfilo Gentile (Genio della Grecia) per collocare il mito, più che in uno spazio precategoriale, in quello di produttore di senso.

Le citazioni sono usate in maniera un po’ decontestualizzata, ma il ricco andamento del discorso è padroneggiato dall’autore. I primi grandi nemici del mito e della religione furono gli ideali illuministico-massonici del Settecento, che, prima di ispirare l’attuale globalismo capitalista, furono alla base di quel «Les Dieux étant la Nature» mantra della rivoluzione del 1789 sistematizzato nel celebre Origine de tous les cultes ou Religion universelle (1794) di Charles Dupuis.

L’altro grande distruttore fu Charles Darwin, perché dove c’è evoluzione delle specie non ci può essere forma di comprensione rituale e ciclica. Ma non sono forse, si chiede Veneziani, anche queste delle teologie?

«Il mito è il solo competitore globale che può contendere la sovranità alla tecno-finanza» perché parla alle coscienze, è visione del mondo senza manipolazione. Il mito è evento straordinario, mitofania, meraviglia, racconto che smaschera il caos e lo trasforma in cosmo, metamorfosi, analogia, rivelazione, è ciò che «spezza la linea progressiva del tempo» e «porta agli estremi confini il pensiero, dove finisce l’Occidente e comincia l’Oriente».

Ci sono poi i miti politici, che «si legano ai simboli, all’idealizzazione di una comunità, al ricordo di precursori e caduti, al legame comunitario nel nome di memorie e racconti condivisi», che è forse ciò che oggi manca e ciò verso cui Veneziani indirizza. Il limite di questa visione, come mostrato dal liberale Popper, è di non generare una «società aperta», il cui primo nemico fu, come noto, Platone, un grande ricreatore di miti.

Detta la difficoltà di coniugare pensiero liberale e pensiero mitico almeno sul piano della prassi, Veneziani sposta tutto su una dimensione quasi metafisica, vedendo nelle filosofie di Cartesio, Leibniz, Spinoza delle mitologie razionali che il tempo successivamente smonta e quindi, in definitiva, «un interminabile necrologio della filosofia scritto dai filosofi stessi». Quanto al mito, la sua forza sta, però, nel non rivelarsi, nel coltivare la sua latenza: «Nel momento in cui si esplicita — avverte Raimon Panikkar — cessa immediatamente di essere mito». Quindi, per dirla con il citato Wittgenstein, resta «ciò di cui non si può parlare».