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Trump, l’Islam e le bombe pacifiste

di Marcello Veneziani - 04/02/2017

Trump, l’Islam e le bombe pacifiste

Fonte: Marcello Veneziani

Se ci fosse Oriana Fallaci starebbe oggi con Trump? Bella domanda, molto sconveniente.

Coerente con l’impegno assunto coi suoi elettori, Trump ha chiuso le frontiere per tre mesi agli islamici provenienti da sette paesi. L’occidente progressista e mondialista è insorto indignato, ma fino a ieri accettava senza scomporsi le bombe pacifiste e le guerre umanitarie dei Bush e dei Clinton, di Blair e di Obama lanciate su quei paesi.

Bombardavano gli islamici in casa loro per abbattere regimi autoritari ma colpendo anche popolazioni, a cui imponevano odiose sanzioni. E spianavano così la strada a fanatici e terroristi, guerre tribali, distruzioni immani e giganteschi flussi migratori. Trump ha invece preferito partire dall’opzione opposta, tutelare il suo paese e i suoi confini. Almeno in via di principio mi pare più sensato.

Ma gli orrori degli uni non giustificano gli errori dell’altro. E il conformismo a favore dei primi non deve spingerci per reazione a sposare le azioni dell’altro. Non vediamo il mondo in bianco e nero. La scelta di Trump colpisce tanti per colpire solo alcuni. E colpisce obbiettivi sbagliati. Per esempio l’Iran non è dalla parte dei terroristi, non esporta masse di migranti e non va confuso col sultanato dell’Isis. Perché farsi nemico un grande paese come l’Iran?

È grottesco ma restano ottimi i rapporti degli Usa coi paesi arabi che finanziano il terrorismo e si colpiscono popoli e paesi che subiscono il terrorismo o ne sono estranei. Comunque non c’è da scandalizzarsi, se si considera che perfino negli otto anni dell’umanitario Obama gli Usa hanno espulso una media di 400 mila stranieri all’anno. Ma se li caccia il dem nero, è ordinaria amministrazione…

È necessario allora fare un discorso più ampio e realistico sull’Islam, uscendo dalle semplificazioni e dalle suggestioni alla Oriana Fallaci.

Sulla faccia della terra ci sono più di un miliardo di islamici praticanti. Una popolazione enorme che per giunta figlia molto più di noi. Chi sostiene che siamo in guerra con l’Islam perché ci odia ed è nostro nemico, compie in una sola battuta due colossali errori: primo, non distingue tra chi ci odia e chi è solo un praticante islamico; secondo, regala ai terroristi l’egemonia dell’intero Islam, sciita e sunnita, cioè oltre un miliardo di persone. Un errore simmetrico compie chi sul versante opposto riduce l’odio verso l’Occidente a pochi lupi solitari o ai soli fanatici dell’Isis.

Il ragionamento più realistico da fare è un altro: se, poniamo, i nove decimi degli islamici non vogliono affatto una guerra con l’Occidente e non ci considerano come infedeli da uccidere, quella “piccola minoranza” che ci odia è pur sempre costituita da svariati milioni di persone. Poniamo che sia solo il 10 per cento delle popolazioni islamiche ad approvare il jihad, e che solo uno su cento islamici è pronto a uccidere e solo uno su mille islamici sta già incamminandosi sulla via del terrorismo.

Tutto questo sarà ultra-minoritario sul piano della statistica ma nella realtà si traduce in numeri imponenti: se davvero “solo” il dieci per cento di islamici tifa per il jihad, stiamo parlando di oltre cento milioni di persone; se davvero “solo” l’un per cento è pronto a uccidere per l’Islam, sono dieci milioni di persone; se davvero è già passato al terrorismo “solo” l’uno su mille di loro, si tratta d’un milione di terroristi sparsi nel pianeta, America ed Europa inclusi.

Le dimensioni sono quelle di una guerra mondiale, mica di una questione di polizia internazionale. Una guerra molecolare, e quindi non facilmente affrontabile perché dispersiva, confusa nella miriade di popolazioni, inevitabilmente protetta da alcune reti elementari, di tipo familiare e tribale.

La seconda questione riguarda la religione. Possiamo davvero dire che la colpa di tutto è la religione? A me sembra una sciocchezza perché nel nome della religione, islamica oggi ma anche cristiana ieri – e sottolineo lo scarto temporale tra l’oggi e lo ieri – sono stati commessi crimini orrendi e nefandezze assolute, ma anche opere grandiose di carità, di misericordia e abnegazione.

La religione attiva nell’uomo risorse eccezionali, nel bene come nel male; moltiplica, ingigantisce la natura umana, negli orrori come nella santità. Altrettanto superficiale è la tesi di chi giudica trascurabile e pretestuosa la religione, ritenendo che si tratti solo di un alibi che copre interessi materiali, economici e di potenza, velleità politiche o egemoniche, atti di forza e di prevaricazione dissimulati dietro paraventi ideologici e para-religiosi.

In realtà la storia dell’uomo mostra un inseparabile incastro di motivazioni religiose, ultraterrene, e di ambizioni umane, se non bestiali, comunque arciterrene. La religione, certo, fornisce ai suoi credenti una formidabile motivazione che li spinge alla scommessa assoluta, fino a mettere in gioco la vita propria (e qui siamo al martirio) e la vita altrui (e qui entriamo nel fanatismo). Ma la scelta non discende dalla religione, è frutto degli uomini che abbracciano una fede come imbracciano un’arma.

Vi sono, è vero, religioni che offrono più generosi alibi alla violenza e all’orrore e altre che sono meno aggressive. Vi sono testi sacri come la Torah e il Talmud, il Vecchio Testamento e il Corano che contemplano azioni terribili nel nome di Dio; e ci sono testi sacri come le Upanishad e il Mahabaratha, i canoni buddisti, i Vangeli, che istigano meno alla violenza religiosa e più alla mite bontà. Ma come vengono tradotti i precetti religiosi dipende dagli uomini, dai regimi e dalle epoche.

La ferocia non deriva dalla religione ma da chi la usa come una spada dell’assoluto e si arroga di poter decidere in nome di Dio, in sua vece, chi merita di vivere e chi di morire.

Voi direte: ma non stiamo a sottilizzare, ci sono i terroristi alle porte. Certo, è tempo di agire in modo efficace, ma le azioni e le reazioni alla cieca o solo di pancia non mirano giusto e producono di solito effetti peggiori.