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L’omicidio-vendetta di Vasto: quando la cronaca si fa tragedia greca

di Anna K. Valerio - 10/02/2017

Fonte: Barbadillo

C’è qualcosa di tragicamente esatto nella storia di Fabio Di Lello, che decide di farsi vendetta da solo uccidendo il ragazzo che gli aveva ammazzato la moglie passando con il rosso e falciandola. Una sorta di ricomposizione geometrica del dolore, dell’ossessione, dell’orrore, in quel partire dalla tomba di lei – visitata ogni giorno, respirata ogni giorno – e tornarci, poi, a posare sul marmo la pistola. Una vita, con le sue innumerevoli ore di entropia, che si riassume in un fuggevole inchino, essenziale, stilizzato, da ombre cinesi. È così che Di Lello se ne può andare in caserma quasi sorridente: “sereno” – dice chi lo ha incontrato. Sulla prima pagina di un grande quotidiano nazionale, in mezzo a notizie sempre più sguaiate e inutili, è un haiku, questa storia terribile.

Naturalmente, ora c’è il tumulto del dolore degli altri, i familiari del ragazzo ucciso, che non hanno a proteggerli la strana aureola dell’assassino. Perché i due dolori – lo si vede! – non hanno lo stesso peso, non stanno sullo stesso livello. Tocca il cuore il fatto che un ventiduenne distratto alla guida possa essere stato punito con quattro colpi di pistola letali; soprattutto se si pensa a quanti assassini, a quanti violatori per capriccio sono tranquilli davanti allo schermo dei loro telefonini e nessuna ala di giustizia si è mai sognata di sfiorarli. Ecco, ci si può certo chiedere: perché proprio lui, capretto sacrificale di una questione troppo grande per non colpire a morte qualcuno?

Ma è un’altra cosa.

L’attenzione – il cuore – ritorna subito all’altro, all’assassino. Sette mesi ad aspettare che i tribunali gli restituissero la serenità di una giusta punizione del colpevole. Sette mesi a farsi stordire dalle chiacchiere burocratiche, dall’inutile vicinanza fisica degli ‘amici’, che al massimo gli avranno proposto la fuga: non pensarci. L’ennesima fuga, in un’Italia dove non riesci più a poggiare i piedi su una zolla di terra che non frani. E c’è chi non ama le giostre e la vertigine del cinema o delle canzonette. E neanche il rimbombo, ormai mostruoso, delle parole del web. C’è chi chiederebbe soltanto un po’ di limpidezza, di certezza, di saldezza, di concretezza, di vita vera. Un lavoro vero. Parole vere. Notizie vere. Amicizie vere. Amori veri. Giustizia vera. Verità vera.

La pistola è vera. Lei sì non sa mentire, non ha niente di sofisticato o sofisticabile. Non è un’immaginetta che copiaincolli. Certo, stavolta era troppo, ma è troppo anche vedersi sfuggire la vita, con la sua verità, tra le mani, senza la minima speranza che qualcosa si aggiusti o cambi. Basta il resto della pagina del grande quotidiano a confermarlo. Non cambierà niente e niente si aggiusterà, andando avanti così. Anzi. Con tutta probabilità, le cose andranno sempre peggio ed entro pochi decenni la contraffazione – non l’effetto serra – avrà reso l’aria irrespirabile. Inumana. Allora non sarà più questione di un ragazzo che si accascia per colpa di un disperato con la pistola in mano. Allora saranno decine e decine quelli che nasceranno già accasciati. O smetteranno di nascere.

Il denaro ha comprato e svuotato tutto. Arte. Giornali. Vita. La recita della Giustizia. È un brutto sogno, da cui forse ci sveglierà solo un colpo di pistola.